di Roberto Marchesini
Come si fa a parlare di “tradimento” delle classi lavoratrici da parte della sinistra?
Tutta la filosofia della sinistra, da secoli, è fondata sul continuo divenire, sulla rivoluzione che “è permanente o non è”.
Il fine stesso della rivoluzione è il continuo, incessante, cambiamento. La classe lavoratrice con i suoi diritti è solo uno dei tanti pretesti.
E tre. Dopo Borgognone e Bagnai, anche Becchi si è aggiunto al coro. Tralasciando per ovvi motivi Rizzo, potremmo aggiungerci Sapelli e chissà quanti altri. La cosa, lo confesso, mi stupisce. Stiamo parlando di intellettuali veri, con una cultura vasta e insieme profonda; non dozzinale e raccogliticcia come la mia.
Come è possibile che tutti questi pensatori gridino al «tradimento della sinistra»? La sinistra ha tradito il lavoro, la sinistra ha tradito la classe lavoratrice, al sinistra ha tradito i più poveri, eccetera eccetera. Per come la vedo io, non c’è stato nessun tradimento: la sinistra non è mai stata dalla parte del lavoro, dei lavoratori e dei più poveri.
Ma cos’è la sinistra? Fin dall’origine dell’uso di questa parola in politica, essa ha indicato la parte più avanzata del pensiero rivoluzionario che ha come obiettivo la distruzione dell’ordine del creato, il rifiuto del Logos, il ritorno al chaos originario. Per secoli il pensiero rivoluzionario si è accontentato di opporsi all’ordine facendo l’opposto; per questo motivo è forse più opportuno utilizzare la parola «dissoluzione» (dell’ordine) piuttosto che «rivoluzione». Si pensi al pensiero gnostico, alla predicazione di Sabbatai Zevi e Jakob Frank, ai movimenti ereticali cristiani. Nell’Ottocento questo pensiero si arricchisce di un nuovo formidabile pensiero e diventando a pieno titolo «rivoluzione».
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