Quale cittadinanza per la famiglia in Europa ?

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA – 15 MAGGIO 2003
Pierpaolo Donati – Università di Bologna
La relazione toccherà i seguenti punti: 1. Il problema: l’Europa vede ancora la famiglia? – 2. Le tendenze attuali e l’esigenza di qualificare il cosiddetto “pluralismo familiare” – 3. La grande sfida: può l’Europa riconoscere una “cittadinanza della famiglia”?

1. Il problema: l’Europa vede ancora la famiglia?



La famiglia è diventata una sfida molto difficile per l’Europa. La può vincere o la può perdere. Vorrei esprimere tale sfida con la seguente domanda: l’Europa potrà continuare a vedere la famiglia come istituzione sociale avente un suo proprio complesso di diritti e doveri di cittadinanza ? In caso negativo, perché ciò non è possibile ? In caso positivo, come ciò può avvenire e a quali condizioni ?


A nessuno, infatti, sfugge il fatto che l’Europa – come entità politica e culturale – mostra crescenti difficoltà a vedere la famiglia. Tra il 1989 e il 1994, la UE è sembrata molto interessata alla famiglia. Ma poi le cose sono cambiate. Fino al punto che l’UE si è dichiarata riluttante a considerarla come oggetto-soggetto di interesse comune, giustificando tale posizione sulla base di una certa interpretazione del principio di sussidiarietà affermato nel Trattato di Maastricht.


Il panorama internazionale ed europeo è ricco di Dichiarazioni ufficiali – da parte dei più svariati organismi pubblici – che riconoscono la famiglia quale cellula fondamentale della società, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU (10 dicembre 1948): “la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato” (art. 16, c. 3). Eppure, gli studi delle scienze sociali mostrano che le politiche effettive vanno esattamente in senso contrario. Per giustificare questa affermazione sarà sufficiente citare tre grandi tendenze.


i) Lo sviluppo dei diritti (sociali, civili, politici, economici) privilegia sempre più l’individuo (o gli aggregati di individui), mentre la famiglia come tale riceve sempre meno un qualche riconoscimento. Si parla di diritti e responsabilità degli individui nelle famiglie, ma non più di diritti e responsabilità della famiglia come tale. Il diritto positivo abbandona la nozione di “responsabilità della famiglia”, il che va di pari passo con la perdita della personalità giuridica della famiglia e di conseguenza il venire meno del riconoscimento del suo ruolo sociale.


ii) La famiglia viene privatizzata, cioè viene considerata una relazione di mera privacy e dunque equiparata ad una qualunque scelta fra relazioni che sono considerate alla stregua di gusti, opzioni e liberi arrangiamenti privati (cioè privi di responsabilità pubbliche).


iii) Il concetto di famiglia diventa indeterminato e tende a coincidere con la semplice coabitazione ovvero “famiglia anagrafica” (in altri termini il concetto di family viene ridotto a quello di household). Sia nelle deliberazioni (Raccomandazioni) comunitarie, sia nelle legislazioni nazionali vengono concessi sempre più ampi riconoscimenti e benefici a forme di convivenza quotidiana le quali, se anche rimangono formalmente distinte dalla famiglia e dal diritto di famiglia, tuttavia legittimano forme di vita in comune che, agli occhi dell’opinione pubblica e dei costumi diffusi, costituiscono un’alternativa alla famiglia (in Francia si parla della famiglia “al plurale”, anziché “al singolare” – famille au pluriel – ed è stato approvato il Pacs; in Gran Bretagna si parla di “famiglie di scelta”- families-of-choice -; in Germania si parla di “compagnie o unioni di vita” – Lebenspartnerschaft – ed è stata istituita la “convivenza registrata” – eingetragene Partnerschaft – cioè la coppia registrata presso gli uffici pubblici, “depositata” come si deposita un marchio; altri Stati – come la Danimarca e l’Olanda – hanno riconosciuto legalmente le unioni di fatto, etero e omo-sessuali, definite per contratto dagli individui interessati).


Viene dunque da chiedersi: l’Europa vede ancora la famiglia? Voglio dire: in quanto entità politica e culturale, l’Europa riesce ancora a distinguere la famiglia rispetto alle altre forme primarie di vita e a riconoscere la famiglia come una forma sociale con funzioni proprie, uniche e insostituibili, rilevanti per la sfera pubblica?


Certamente la risposta non può essere semplice. L’Unione Europea accorda ancora un certo favore alle relazioni di cura fra genitori e figli, e si preoccupa della felicità delle coppie. Di fatto, l’UE non ha ancora sostituito la famiglia con un’altra forma socialmente e giuridicamente equivalente. Inoltre le situazioni nazionali sono abbastanza diversificate. Tuttavia, nel complesso, possiamo dire che la UE tende sempre meno a vedere la famiglia come soggetto sociale specifico ed essenziale per la vita pubblica. Ciò che è in gioco è la relazione familiare in quanto relazione di piena reciprocità fra un uomo e una donna e fra le generazioni che ad essi si legano.


Sembra che la tutela e promozione di questa istituzione sociale importi sempre di meno. Per dirla in grande sintesi, l’Europa vede bensì ancora la famiglia, ma:


a) la considera sempre più come un residuo storico anziché come una istituzione del futuro; la famiglia è “istituzione del futuro” non soltanto perché – nonostante tutto – alla fine sopravviverà, ma perché attraverso l’alleanza della coppia che genera una nuova generazione incorpora in sé la garanzia dell’avvenire della società;


b) tende a restringere la tutela e promozione delle relazioni familiari stabili basate sul matrimonio eterosessuale, a favore di una crescente tutela verso forme di vita che si presentano come problematiche (famiglie spezzate, genitori soli con figli, singles) o altri “arrangiamenti di vita”;


c) non valorizza a sufficienza le associazioni familiari, le quali svolgono funzioni di tutela dei diritti fondamentali legati alla vita familiare (mediante azioni di advocacy e una ampia partecipazione civica e politica), e soprattutto creano reti sociali e producono servizi insostituibili per la vita quotidiana delle famiglie, come l’educazione dei bambini, l’assistenza degli anziani, la cura dei portatori di handicap, l’equità e la solidarietà fra le generazioni.


La Relazione offrirà le prove di questa progressiva riluttanza dell’Europa a vedere la famiglia come istituzione sociale fondamentale creatrice di capitale sociale.



 


2. Le tendenze attuali e l’esigenza di qualificare il cosiddetto “pluralismo familiare”



Lo scenario attuale della famiglia in Europa è contraddistinto da un forte pluralismo sia per quanto attiene agli ordinamenti giuridici e di welfare, sia per quanto attiene alle forme familiari riconosciute. Questa pluralità, osservata nel tempo, mostra segni di convergenza e segni di divergenza. Tuttavia, non è questa la sede per analizzare le tendenze che caratterizzano le famiglie in Europa, invero assai complesse.


Il problema su cui si deve mettere l’accento è la qualità di tale pluralismo, ossia se il pluralismo di cui si parla sia eticamente qualificato oppure no.


Molti segnali indicano che l’Europa, diversamente da altre aree geo-politiche e altri sistemi sociali, ha imboccato la strada del neutralismo o indifferenza etica nel riconoscimento e trattamento delle forme familiari.


Questo pluralismo eticamente indifferente si regge su regimi politici che si caratterizzano come un compromesso fra Stato e mercato tale da escludere altri attori dalla regolazione dell’ordine sociale, se non come meri supporti o elementi integratori dei primi due. Sono quelli che io chiamo sistemi lib/lab in quanto si basano su due pilastri fondamentali: da un lato le libertà individuali in competizione fra loro e dall’altro i controlli pubblici per assicurare l’uguaglianza di opportunità degli individui. In tale assetto lib/lab, qual è lo spazio della famiglia ?


In generale, da un punto di vista sia teorico sia pratico, lo spazio è quello di un soggetto del tutto residuale. Il contesto generale stimola la de-familiarizzazione della società. Tutt’al più riconosce la famiglia come un soggetto di care che è tanto più rilevante per la collettività quanto meno esistano alternative offerte dallo Stato e/o dal mercato.


Questa configurazione della società porta a enfatizzare l’idea che la famiglia, in quanto istituzione basata sul rapporto stabile e continuativo di una coppia con i relativi figli, sia una “relazione impossibile” (come ritengono coloro che danno la primazia culturale e organizzativa al mercato, in particolare nelle visioni liberistiche più radicali) oppure una “relazione minimale” (come ritengono coloro che puntano a riconoscere la famiglia solo o prevalentemente allo scopo di sollevare gli individui dai loro carichi e responsabilità familiari attraverso sempre più numerose e qualificate offerte statali di benefici in cash e in kind da parte del welfare state nazionale e locale, il che avviene in particolare nelle visioni pianificatrici o lab più radicali). In ogni caso entrambe le modalità – liberistiche e pianificatrici, lib e lab – di concepire la famiglia e le politiche familiari operano a favore di un indifferentismo etico come approccio prevalente alla famiglia. In entrambi i casi la famiglia viene ridotta ad una questione di preferenze, gusti e scelte opzionali degli individui. Questo spiega perché la famiglia sia vista sempre più diffusamente come un valore importante, ma privato, come qualcosa (una forma ancora sociale?) che deve essere minimizzata quanto alla sua rilevanza pubblica e sociale, e quindi da rendere neutra sul piano etico-politico.


Non ci si deve meravigliare se, di conseguenza, la famiglia tende a rompersi, a frammentarsi, a diventare una relazione debole e precaria (single stranded) anziché emergere come una relazione solida e sicura (sovrafunzionale o multi-stranded).



 


3. La grande sfida: può l’Europa riconoscere una “cittadinanza della famiglia”?



Molti si chiedono se la famiglia sia ancora una risorsa per l’Europa, o piuttosto non sia divenuta solo un vincolo e un peso storico che ci impedisce migliori traguardi di progresso. Di fatto, negli ultimi anni, la famiglia è diventata un punto cieco per le politiche comunitarie. È diventata un luogo in cui la società implode. In questo senso ne possiamo parlare come di una sfida, e di una sfida di enorme portata. Il futuro dell’Europa, infatti, nel bene e nel male, coincide con il futuro della famiglia. Sono implicate ragioni di civiltà, prima che i diritti soggettivi ad avere gusti, opinioni e preferenze individuali.


Nelle condizioni attuali, l’Europa non può più contare sulla famiglia come risorsa, semplicemente perché la cultura dominante non la considera più una risorsa, ma semmai un vincolo storicamente superato. La società europea vede le proprie risorse negli individui e nei mercati, non certo nelle relazioni familiari. L’affermazione può sembrare molto forte, e in effetti lo è. Ma il punto è che le cose stanno di fatto così.


In ogni caso, la famiglia non è più una risorsa che si possa dare per scontata. Se l’Europa vuole ancora poggiare il suo tessuto sociale sulla famiglia, occorre che la famiglia sia generata in maniera intenzionale, con intenzionalità etica, e che le venga riconosciuta una cittadinanza propria. Gran parte della società europea ha consumato la famiglia senza rigenerarla, e sta oggi terminando il compito che si è prefissata, quello di fare a meno della famiglia come vero e proprio “soggetto sociale”, relegandola tra le scelte (individuali e razionali?) della sfera privata. Se tale scelta sia razionale è un argomento che andrebbe discusso a fondo.


La sfida, allora, riguarda i valori ultimi su cui è fondato il nostro sistema sociale, cioè il livello più elevato delle istituzioni.


La Relazione termina dicendo come, secondo il Relatore, questa sfida possa essere affrontata.


Al centro di tale strategia dovrebbe esserci il riconoscimento della famiglia come istituzione fondamentale della società, avente proprie e insostituibili funzioni sociali, unitamente al ruolo societario delle associazioni familiari. In altri termini occorre riconoscere e promuovere la famiglia quale soggetto di cittadinanza nella Costituzione Europea.