Pur di dar torto a tutti i costi alla legge 40


di Eleonora Porcu

Da pochi giorni si è concluso in Danimarca il Congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, al quale hanno partecipato i migliori specialisti di tutta Europa, e non solo. È stata un’occasione per confrontarsi sulle novità in campo tecnologico e per saggiare il clima culturale che domina questo campo della scienza e della medicina. La linea di pensiero emergente tra i ricercatori – e ne ho avuto prova a Copenaghen – è che la cosiddetta scienza debba essere libera, non debba avere limiti legali rigidi, in modo che sia lasciata autonomia ai tecnici della riproduzione e libertà di scelta alle coppie. Purtroppo però quello che non si dice è che la libertà di scelta degli aspiranti genitori è sempre relativa perché le coppie si lasciano condizionare dai “prodotti” immessi sul mercato. Se la comunità scientifica mette a disposizione un “prodotto” che rende più facile la fecondazione assistita, le coppie sono talvolta indotte a desiderare di poter accedere a quel “prodotto” anche senza averne una visione critica “tarata” sulle proprie esigenze, senza essere messe in grado, cioè, di giudicare se la metodologia proposta è utile e non interferisce con la propria fisiologia o se, al contrario, è troppo artificiosa. Solo questo consentirebbe uno sguardo libero su ciò che offre il “mercato” della riproduzione assistita.


A Copenaghen alcuni studiosi stranieri, in particolare inglesi, hanno lanciato un allarme sulla fertilità, che sarebbe in forte calo soprattutto tra gli uomini. Bill Ledger, docente all’Università di Sheffield, ha ipotizzato che entro un decennio l’infertilità colpirà non più una coppia su sette come accade oggi ma una coppia su tre. Non condivido del tutto questo allarme perché mi sembra che si tratti di proiezioni molto pessimistiche. Credo piuttosto che oggi esista una maggiore attenzione e accuratezza nella raccolta dei dati che fanno sì che la riduzione della fertilità sia più documentata che in passato. Detto questo, sicuramente nelle società avanzate la fertilità umana, già bassa, non gode di splendide prospettive. Il motivo principale è che la procreazione continua a essere confinata in età poco favorevoli. A ciò si aggiungono abitudini voluttuarie deleterie come il fumo, il consumo di alcolici e di droghe e le malattie sessualmente trasmissibili derivanti da comportamenti sociali ormai consolidati.

Di fronte a questa situazione non rosea, la tendenza degli operatori della riproduzione umana è bivalente. Alcuni ricercatori tendono a promuovere un perfezionamento delle tecniche e di conseguenza vogliono percorrere senza esitazioni la strada della riproduzione di laboratorio. Altri – ma purtroppo sono la minoranza – convertono il grido d’allarme in un appello a modificare le abitudini sociali e a fare “scuola di fecondità”, cioè un’informazione chiara ed esauriente, una prevenzione dei comportamenti scorretti già a partire dall’infanzia e dall’adolescenza.

La maggior parte degli operatori italiani presenti al Congresso ha manifestato un vivo disappunto nei confronti della legge 40. In realtà alcune relazioni riportavano dati negativi rispetto all’efficienza delle tecniche di procreazione assistita, ma altre, a dispetto del tono di contrarietà alla normativa in vigore, mostravano numeri non significativamente diversi dal periodo precedente alla sua approvazione.

A Copenaghen ho esposto i risultati complessivi del mio lavoro sul congelamento degli ovociti e ho concluso che questa tecnica, che pure ha la stessa età del congelamento degli embrioni, non ha avuto la medesima progressione esponenziale di utilizzo. Congelare gli ovociti in Italia è apparso finora più dispendioso e complicato rispetto al congelamento degli embrioni, e oltretutto consigliabile solo a coppie con obiezioni etiche oppure a donne che vogliono salvaguardare la propria possibilità procreativa in caso di malattie che necessitano di terapie aggressive come la chemio. In altre parole, il congelamento degli ovociti, seppur promettente come ho dimostrato anche nella mia relazione, è stata considerata fino ad ora una tecnica collaterale al congelamento degli embrioni, non sostitutiva di essa.


Con il mio lavoro da anni sto dimostrando che si possono congelare gli ovociti anziché congelare gli embrioni, e questa strada è tanto più valida oggi poiché la legge 40 non offre altra scelta. Se preso sul serio, il congelamento degli ovociti offre risultati in termini di bambini nati non significativamente inferiori a quelli ottenuti con l’utilizzo di embrioni congelati.

La mia relazione a Copenaghen è stata accolta con grande interesse; il quotidiano “The Times” le ha dedicato un articolo molto ampio a differenza dei media italiani che hanno mantenuto il silenzio. Ma ha suscitato anche una vivace polemica soprattutto tra i connazionali presenti al Congresso. Molti di loro hanno battuto sul tasto della sperimentalità della tecnica. Io ho ribadito che vanno percorse tutte le strade, che bisogna fare ricerca di base ma che dobbiamo anche proporre il congelamento degli ovociti nella clinica medica, altrimenti non si uscirà mai dalla fase sperimentale. Di fatto se parliamo di sperimentalità, allora tecniche come il congelamento degli embrioni o la Icsi (l’iniezione dello spermatozoo nell’ovulo e il trasferimento in utero, ndr) sono state adottate a suo tempo molto rapidamente, senza che fossero uscite dalla fase sperimentale. Anzi, se vogliamo dire le cose come stanno, la fecondazione assistita nel suo complesso è tuttora sperimentale perché a oggi non abbiamo risposte assolute sulla salute a lungo termine dei bambini concepiti in laboratorio. I motivi che sottostanno all’ostilità dei colleghi italiani alle mie ricerche sono evidenti: sdoganare il congelamento degli ovociti come tecnica sostitutiva a quello degli embrioni significherebbe offrire un sostegno alla legge 40 e far perdere consistenza alla battaglia contro il divieto di congelamento dell’embrione.

Polemiche a parte, sono tornata da Copenaghen comunque soddisfatta, perché noto che si sta creando un piccolo varco nel puro e semplice tecnicismo della fecondazione assistita. Anche se con pochissimo spazio, qualche voce dissonante come la mia inizia a farsi sentire. Credo che lavorando in modo costante con fiducia e pervicacia si riuscirà poco a poco a modificare la mentalità, dominante tra gli operatori della riproduzione assistita, del tecnicismo a ogni costo.

testo raccolto da Antonella Mariani

Da ImpegnoReferendum -Avvenire del 7 luglio 2005