Dossier polemica estiva
Ora di religione, sempre meno studenti?
La Repubblica lancia uno scoop sulla scelta dell’ora di religione con dati allarmanti. Solo un milione e mezzo di ragazzi seguirebbe l’insegnamento. Alle superiori dal 2001 ad oggi triplicate le rinunce. La regione con meno adesioni è il Lazio… Ma interviene il Ministero dell’Istruzione con una secca smentita…
«Rilevamenti parziali e protetti, non ancora elaborati statisticamente». Duro intervento del Ministero dell’Istruzione dopo le statistiche uscite ieri su un giornale che riferivano di un presunto calo nella frequenza dell’Irc. Ma quei numeri non appaiono credibili
«Ora di religione, dati non veritieri»
Il Ministero smentisce le cifre sul crollo delle adesioni pubblicate da un quotidiano
Non cala l’interesse per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. E comunque, non esistono dati ufficiali che giustifichino una simile conclusione. Lo afferma il Ministero dell’Istruzione che ieri, con una dura nota, ha preso le distanze da un articolo di Repubblica che forniva cifre attestanti un presunto, e diffuso, calo della frequenza dell’ora di religione tra gli studenti del nostro Paese. Il ministero precisa di non aver «diffuso alcun dato relativo agli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica». Viale Trastevere ha voluto così sconfessare le cifre apparse sul quotidiano romano che «non possono essere in alcun modo veritieri», non riconoscendosi in dati «parziali e protetti, non ancora elaborati statisticamente». Tutte cifre che il quotidiano romano ha pubblicato «assumendosene la responsabilità». «È invece in fase di iniziale elaborazione – continua la smentita del Ministero – un monitoraggio integrativo riguardante, oltre che le opzioni relative all’insegnamento della religione cattolica, molteplici tipologie di allievi, dai disabili ai nomadi, agli alunni in formazione professionale». I dati finali di tale monitoraggio, conclude il documento diffuso dal dicastero guidato da Letizia Moratti, «saranno forniti dal ministro nel corso della conferenza stampa di inizio anno scolastico 2005-2006, già fissata per il prossimo 6 settembre».
Ma cosa aveva scritto ieri il giornale diretto da Ezio Mauro? Puntando l’attenzione su un presunto «calo di interesse degli studenti italiani per l’ora di religione», in un lungo articolo si metteva in risalto come la percentuale dei ragazzi delle scuole superiori che decide di non seguire la materia sarebbe salita «dall’11,7% del 2001 al 37,6% dell’ultimo anno scolastico». Nel 2004-2005, secondo i dati di Repubblica poi smentiti dal Ministero, su un totale di quasi due milioni e mezzo di studenti delle scuole di secondo grado, solo 1.513.819 avrebbe scelto di frequentare l’ora di religione, con un calo quindi di oltre 900 mila unità tra i ragazzi e le ragazze che, una volta a settimana, restano in classe “avvalendosi” dell’insegnamento della religione cattolica. Le percentuali scenderebbero notevolmente negli altri ordini di scuole.
Nelle medie inferiori gli studenti “non avvalentisi” – come vengono definiti tecnicamente gli allievi che decidono di non frequentare l’ora di religione – sarebbero 187.422 (11,2%), cifra che passa a 151.981 (6,1%) nelle scuole primarie (le ex elementari) per scendere a poco più di 93 mila (9,7%) nelle materne. In media – sempre secondo questi dati che viale Trastevere ha definito «parziali» dunque e «protetti», cioè non ancora «elaborati statisticamente» – quasi il 18% degli studenti italiani nell’ultimo anno scolastico avrebbe rinunciato ad avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. A livello regionale il primato dell’allontanamento dalla materia spetterebbe alla Liguria con più del 50% di studenti esonerati. La situazione, sempre secondo Repubblica, migliorerebbe al Centro-sud, dove, se si eccettua il Lazio (55,7% nelle scuole superiori), il fenomeno sarebbe più contenuto. Tutti dati fantasiosi e largamente imprecisi, comunque, come dimostrano non solo la secca smentita del ministero dell’Istruzione, ma anche le cifre reali diffuse regolarmente dall’Annuario della Cei che pubblichiamo in queste pagine.
di Giampiero Mazza
Avvenire 12 agosto 2005
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L’UFFICIO SCUOLA DEL VICARIATO
«Sembra una notizia costruita per innescare una polemica estiva»
Don Manlio Asta, direttore della Pastorale scolastica a Roma: «Facciamo monitoraggi da anni. Se fosse intervenuto un calo di quelle dimensioni ce ne saremmo accorti»
«Sembra tanto una notizia costruita per innescare una polemica di sapore estivo. Una polemica peraltro fin troppo tempestiva, che arriva proprio alla vigilia dell’immissione in ruolo, a settembre, di oltre novemila insegnanti di religione». Don Manlio Asta non trova altre spiegazioni per l’articolo pubblicato ieri da Repubblica, che sbandiera una presunta fuga degli studenti italiani dall’ora di religione. Anche perché, assicura il direttore dell’Ufficio per la pastorale scolastica del Vicariato di Roma, i dati pubblicati dal quotidiano romano cozzano non solo con i rilevamenti dello stesso Vicariato, ma anche con quelli nazionali. «Sono dieci anni che monitoriamo il numero di studenti che a Roma si avvalgono dell’ora di religione – spiega don Asta – con un campione di scuole che supera il 50%. Bene, per materne ed elementari in dieci anni non c’è stata alcuna flessione. Qualche punto percentuale dal 1995 a oggi invece c’è stato alla scuola media, circa il 3% in meno, e alla superiore, meno 5%. Ma siamo lontani dai numeri riportati da Repubblica». Le statistiche del Vicariato, infatti, raccontano di una percentuale di studenti “avvalentisi” alla materna del 94,68% nel 1995/1996, del 94,5% nel 2004/2005. Analogo l’andamento delle elementari: 94,71% dieci anni fa, 94,32% nell’anno appena concluso. Un leggero calo nell’ultimo decennio si registra alle medie: dal 94,26% del 1994/1995 al 90,72% di quest’anno. La flessione maggiore, ma sempre ben lontana da quanto annunciato ieri dal quotidiano romano, è alle superiori, scese dal 78,03% del 1994/1995 al 73,16% attuale. «Sono dati che stiamo monitorando da tempo – spiega don Asta -. Se fosse intervenuto un calo di quelle dimensioni me ne sarei accorto. E anche gli insegnanti di religione con i quali siamo quotidianamente in contatto. Quei dati sono lontanissimi dalla realtà». Don Manlio Asta, che è anche incaricato regionale per l’insegnamento delle religione cattolica, ha il polso di tutto il Lazio. Una regione in cui, a detta di Repubblica, addirittura il 55,7% degli studenti non seguirebbe l’insegnamento della religione cattolica. Secondo il Vicariato, invece, nelle scuole superiori di Roma gli esonerati dall’ora di religione sono inferiori alla metà di quel dato: meno del 27%. «Partecipo alle riunioni degli uffici diocesani del Lazio – spiega – e gli altri direttori mi dicono che le percentuali di Roma “rovinano” la media regionale, che anche alle superiori si aggira sul 95%. Escludo nella maniera più assoluta che nel Lazio gli studenti che non si avvalgono siano il 55%. A Roma sono circa uno ogni quattro, ma nel resto della Regione molto meno, uno per classe». Non solo: «In sintonia con i nostri dati del Vicariato, anche le cifre elaborate dall’Osservatorio religioso del Triveneto parlano di una realtà completamente diversa». Il direttore dell’Ufficio scuola del Vicariato sottolinea un’ultima incongruenza: «Chi ha scritto quel servizio nemmeno conosce l’argomento, visto che afferma che chi non segue l’ora di religione viene “dirottato a svolgere attività alternative che le scuole hanno l’obbligo di organizzare”. Ma non è così da anni. L’assenza di una vera alternativa è un problema che la Cei evidenzia da molto tempo». E il caso Mamiani, dove la percentuale di “non avvalentisi” in alcune classi sarebbe la maggioranza? Don Manlio Asta stavolta sorride: «Se il dato delle superiori romane è calcolato in base al campione di un liceo che, notoriamente, è punto di riferimento della borghesia “radical-chic”, sarebbe altrettanto valido statisticamente prendere il Massimo dei Gesuiti, e parlare di adesione al 100%…». Ma l’inattendibilità totale dei dati riportati, insiste don Asta, è tale per le scuole di ogni ordine: «Falso anche che alle elementari non si avvalga il 10%: a Roma è meno del 6%, e non è un dato rappresentativo per l’Italia, dove la percentuale è ancora minore».
di Luca Liverani
Avvenire 12 agosto 2005
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Religione, sempre meno studenti
Per uno su tre l’ora alternativa
Cala l’interesse degli studenti italiani per l’ora di religione. Nelle scuole superiori infatti la percentuale di ragazzi e ragazze che hanno deciso di non seguire la materia è salito dall’11, 7 per cento del 2001 al 37,6 dell’ultimo anno scolastico. Ormai, uno studente delle superiori su tre non frequenta.
Il dato emerge dalle cosiddette “Rilevazioni integrative” – la raccolta, scuola per scuola, dei dati riguardanti l’istruzione statale e non statale in Italia – che il ministero dell’Istruzione effettua ogni anno. Secondo i dati di viale Trastevere, relativi alla quasi totalità delle istituzioni scolastiche presenti nel territorio nazionale (il 97,6 per cento), nell’anno scolastico 2004/2005 su un totale di 2.426.052 studenti delle scuole secondarie di secondo grado solo 1.513.819 hanno scelto di frequentare l’ora di religione.
Oltre 900 mila, tra ragazzi e ragazze, una volta a settimana sono stati dirottati a svolgere attività alternative, che le scuole hanno l’obbligo di organizzare per coloro che “non si avvalgono”, come vengono definiti nel linguaggio scolastico burocratico.
Negli ultimi anni, il numero degli alunni che durante l’ora di religione escono dalla classe è cresciuto vertiginosamente, raggiungendo, quest’anno, percentuali a due cifre in quasi tutti gli ordini di scuola. Solo a titolo di esempio, in alcune classi del liceo classico Mamiani di Roma, negli ultimi anni il numero di coloro che all’ingresso del prof di religione hanno preferito uscire dalla classe è stato addirittura superiore a quello dei compagni che restavano in aula.
Il tutto, mentre il governo Berlusconi, per la prima volta nella storia repubblicana, ha varato l’immissione in ruolo di 15 mila insegnanti di religione cattolica in tre anni, con i primi 9.229 che prenderanno servizio dal prossimo primo settembre. Per loro è stata prevista una procedura concorsuale ad hoc svolta nei mesi scorsi a livello regionale, con graduatorie per singola diocesi.
Una vera manna caduta dal cielo per gli interessati, finora precari, visto che in alcune regioni (come in Lombardia) il numero dei candidati è stato inferiore, o di poco superiore, ai posti messi a concorso.
Voglia di laicità, alunni stranieri – e nostrani – seguaci di altre confessioni, o disinteresse per la religione a scuola: cosa determina la fuga dalle classi? Probabilmente a provocare l’esodo durante le attività dedicate alla “cura dell’anima” è un mix di cause.
L’ingresso nelle classi italiane di migliaia di alunni stranieri provenienti dai paesi asiatici e africani, passati in vent’anni (dal 1983/1984 al 2003/2004) da 6.104 a 282.683, ha certamente avuto il suo peso, ma probabilmente non basta a spiegare la fuga che si registra nel passaggio dalla scuola media al superiore.
Nella scuola dell’infanzia, infatti, il numero dei piccoli che non seguono le lezioni di Religione sfiora il 10 per cento. Percentuale che cala al 6,1 per cento alla primaria (l’ex elementare) per crescere nuovamente alla secondaria di primo grado (11,2 per cento, alla scuola media).
Nella scuola secondaria di secondo si registra un vero esodo dalle classi, con il 37,6 per cento di ragazzi che a scuola preferisce fare altro anziché Religione. Percentuale che si accresce nelle classi terminali e non varia praticamente se si prendono in considerazione i dati delle sole ragazze. Nelle regioni del Centro-Sud, a eccezione del Lazio, il fenomeno è tradizionalmente più contenuto rispetto alle regioni del Nord, dove in Liguria si sfiora il 50 per cento.
di Salvo Intravaia
La Repubblica – 11 agosto 2005
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L’intervista. Monsignor Rino Fisichella: “Nessun allarmismo
i dati presentano un’Italia a macchia di leopardo”
“Ma nei piccoli centri il trend è in crescita”
CITTÀ DEL VATICANO – “Preoccupati, sì, ma senza esagerare”. Per monsignor Rino Fisichella, vescovo ausiliare di Roma, rettore della Pontificia università Lateranense, e tra i più stretti collaboratori del cardinal vicario Camillo Ruini, presidente della Cei, i dati sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche relativi all’ultimo anno scolastico “vanno analizzati con prudenza, senza allarmismi e con una buona dose di pragmatismo”. Se il dato nazionale del 2004-2005 dimostra che rispetto a 5 anni fa gli studenti che hanno detto “no” sono quasi triplicati, per monsignor Fisichella, che è anche una sorta di “cappellano” di Montecitorio, esso “non rispecchia il reale andamento delle scelte, perché è noto che in Italia nella stragrande maggioranza dei piccoli centri la situazione è diversa: lì gli studenti che scelgono la religione cattolica sono in crescita”.
Monsignor Fisichella, secondo il ministero dell’Istruzione nelle scuole superiori gli studenti che non si avvalevano dell’istruzione religiosa cattolica nel 2001-2002 erano l’11,7 per cento, dato che ora è salito al 38 per cento. Questo cosa significa?
“Significa, a mio parere, che il dato nazionale va analizzato alla luce dei dati che emergono nei piccoli centri e tra piccole e grandi città. Ad esempio, i dati che io conosco mostrano una discotinuità tra piccole e grandi città, e tra le stesse grandi città, come succede a Milano e a Roma. Nel capoluogo lombardo il trend dei “non avvalentisi” in effetti è in crescita da qualche tempo; a Roma no. Agli analisti si presenta un’Italia a macchia di leopardo che va studiata e capita, anche per individuare i problemi, là dove esistono, per superarli”.
Sembra comunque difficile non vedere, in questi dati, una “crisi” dell’attrattiva dell’ora di religione. Non crede?
“Sì. Aggiungo però due cose. Primo, non bisogna mai fermarsi ai soli numeri, ma occorre capire la varie situazioni locali, analizzare i contenuti, la situazione dei docenti, le attese degli studenti. Secondo, occorre – ripeto – distinguere tra grandi e piccoli centri. Ad esempio, nei piccoli centri gli studenti che frequentano l’ora di religione sono in crescita perché la famiglia italiana-tipo è contenta di dare ai ragazzi una solida formazione cattolica. Piuttosto, l’aspetto che mi preoccupa di più è un altro”.
Quale?
“Più che pensare agli studenti che scelgono l’istruzione religiosa cattolica, mi preoccupa chi non si avvale perché rinunzia ad una risorsa e viene meno ad una formazione che, secondo me, non può fare a meno dell’insegnamento della religione e della cultura cristiana. Penso ai ragazzi italiani, a quanti studiano filosofia, lettere, arti, la musica: come possono affrontare queste discipline senza avere una forte base di conoscenza delle nostri radici religiose e cristiane?”.
E’ un fatto, però, che gli studenti delle scuole superiori che hanno detto “no” alla religione cattolica in orario scolastico sono triplicati nel giro di cinque anni. La gerarchia ecclesiale non può far finta di niente.
“Anche se questo dato fa preoccupare, ciò non toglie che la grande maggioranza degli studenti delle superiori ancora si avvale dell’insegnamento della religione cattolica e che nei piccoli centri il dato è in crescita. Io non sono votato al pessimismo per natura, ma se gli “avvalentisi” sono, in fondo, circa il 66 per cento su scala nazionale, un motivo ci sarà”.
Allora, una possibile parola d’ordine dei vescovi italiani potrebbe essere “”grande attenzione, ma senza eccessivi allarmismi”. E’ così?
“Certamente i dati vanno analizzati con cura e capiti, ma non sarei così preoccupato. Certo, c’è da fare un lavoro impegnativo per comprendere questa tendenza negativa emersa a livello nazionale nelle scuole superiori. Se devo parlare in termini di preoccupazione, ribadisco, il mio pensiero in primo luogo va a quegli studenti che non scelgono l’insegnamento della religione cattolica. Sono preoccupato per loro perché rinunciano ad una importante parte della loro formazione culturale”.
di Orazio La Rocca
La Repubblica – 11 agosto 2005