IN UNA SCUOLA DI COMO
Natale islamico: la parola Gesù cede il posto alla parola “virtù” Bambino
Caro direttore, il caso di Rebbio, dove una maestra ha modificato i canti di Natale per “non offendere” gli alunni musulmani, dimostra ancora una volta che non sono gli islamici che ci vogliono ammazzare, siamo noi che ci vogliamo suicidare. Riassumiamo i fatti. Alla scuola elementare statale di Rebbio (una frazione di Como) è prevista, per il 18 dicembre, la tradizionale recita natalizia: canzoni, balli, spettacolo teatrale e lavoretti confezionati dai bambini. Naturalmente la recita va preparata. Bisogna fare delle prove. Ed è qui che la maestra va nel pallone. I bambini, infatti, sono 34, ma due di essi sono musulmani. Oddio, che fare? L’idea è un colpo di genio: far sparire dalle filastrocche la parola Gesù. Genialata nella genialata, si trova in sostituzione un termine in rima: VIRTÙ.
O Virtù d’amore acceso, non ti avessi mai offeso.
Siccome non tutti hanno l’encefalogramma piatto, qualche genitore reagisce. Scrive una lettera alla Padania, e mi permetto di aggiungere “pur troppo”, non perché non abbia stima della Padania, ma perché così adesso si avrà la scusa per dire che è tutta una montatura politica. Comunque. La maestra non parla, il preside dice che c’è un fraintendimento, che i genitori che hanno protestato non hanno capito, che in realtà solo i due bambini musulmani dovevano cantare che dalle stelle scende Virtù. Ci permettiamo di dubitare.
Primo, perché se così fosse non si capirebbe lo sconcerto dei bambini e la protesta dei genitori.
Secondo perché di feste natalizie taroccate nelle scuole statali “per rispetto degli alunni immigrati” ne abbiamo già viste altre, e si sa che la stupidità è contagiosa.
Terzo perché se così fosse avrebbero ben ragione di protestare i genitori dei bambini musulmani: perché costringere i due bambini a festeggiare una festa che non è loro, con l’aggravante di far la figuraccia di essere i due “diversi” nel coro?
Altre domande incombono: ma perché, per non penalizzare due bambini, se ne penalizzano trentadue, facendo perdere loro tutto il Mistero di una festa che resta per tutti noi uno dei momenti più belli, più consolanti della vita? Ma siamo poi sicuri che i due bambini islamici si sarebbero offesi se si fosse chiesto loro, e ai loro genitori: è Natale, una festa della nostra tradizione, preferite partecipare o volete starne fuori? Magari, per voi si può organizzare una festicciola a parte. Altra domanda, la più importante: ma rispettare gli altri significa buttare via la propria storia, le proprie cose più belle? Pare proprio che per molti sia così, purtroppo: il dialogo e l’accoglienza intesa come una tabula rasa di tutto ciò che noi siamo. Ne ho avuto un altro segnale l’altra sera, facendo da moderatore a un dibattito su “Europa e Islam” con due grandi scrittori: uno è Tahar Ben Jelloun, marocchino di nascita e francese d’adozione, autore tra l’altro di quei libri in cui si spiega Islam e razzismo ai bambini; l’altro è Vincenzo Consolo, siciliano di nascita e milanese d’adozione, anche se quando fu eletto Formentini sindaco disse che se ne sarebbe andato schifato da Milano, e invece è rimasto. Dunque: platea folta, molte pellicce, reddito minimo un milione di euro all’anno, direi. Ben Jelloun e Consolo spiegano: troppi pregiudizi sull’Islam, è una religione come le altre, e si sa che in tutte le religioni ci possono essere fanatici e fondamentalisti, anche gli ultimi avvenimenti lo hanno dimostrato. Dicono “ultimi avvenimenti” e uno pensa chissà, forse si riferiscono alle Torri gemelle. Macché: stanno parlando delle elezioni Usa: “Ma sì”, dicono i due “ci sono fanatici da tutte e due le parti, abbiamo visto gli evangelici americani che hanno eletto Bush”. Fantastico: gli evangelici anti-aborto e antimatrimonio gay sono “fanatici” come i kamikaze. La gente applaude: bene, bravi, bis. Clap clap. Si va avanti. Consolo racconta com’era bella la Sicilia islamica: “Fu una rinascita”, dice testuale, progresso nelle arti, nella letteratura, nelle scienze, “e poi che magnifica convivenza, c’erano trecento moschee ma anche chiese cristiane e sinagoghe”. Bel Jelloun fa un po’ di storia anche lui: “La Spagna è stata in buona parte islamica fino a cinque secoli fa, vi sembra giusto che oggi dalla Spagna siano spariti tutti i segni della nostra presenza?”. Giù applausi a tutti e due. Clap clap. Peccato che nessuno dei due abbia detto mezza, dico mezza parola su come la Sicilia e la Spagna (e del resto anche tutto il Nord Africa e non solo) siano diventate islamiche. Con le invasioni armate. Con la guer ra. Quanto alla “magnifica convivenza”, a nessuno dei due viene in mente di dire che cristiani ed ebrei non erano cittadini ma sudditi, tutte le carriere nell’amministrazione e nell’esercito erano riservate ai musulmani. Cristiani ed ebrei, se volevano restare tali, dovevano pagare la “tassa di protezione”, che comportava la confisca della metà (peggio dell’Ire di Prodi) di ogni provento in denaro o in natura. Nella “felice Spagna dei califfi”, a Granada, nel 1006 si procedette addirittura alla confisca totale, e migliaia di ebrei vennero massacrati. Ma tutto questo i due relatori non lo dicono, anzi trovano il tempo per una frecciata su Crociate e Inquisizione, argomenti che in certi ambienti fanno sempre colpo. Giù applausi: clap clap. Non c’è contraddittorio, non c’è possibilità di dialogo. Alla fine un noto imprenditore comasco alza la mano e chiede a Ben Jelloun: “Mi scusi, ma perché non si possono costruire chiese in Algeria, in Iran, in Arabia Saudita?”. Dal pubblico invece del clap clap parte qualche buuuh, ma cosa dici, si possono costruire chiese dappertutto. E Ben Jelloun, con il suo fare da gran signore, prende il microfono per rispondere. Ma parla d’altro. Di tutt’altro argomento. È questo il dialogo, bellezza. Finisce così la serata, con l’imprenditore comasco non allineato che resta basito. Coraggio, è Natale, arriva Virtù bambino.
di MICHELE BRAMBILLA
Libero 5 dic. 04