NOI, PIETRO E GESÙ …

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Il Papa: “Pietro insegna che Cristo è il vero Dio, non paragonabile a Buddha, Confucio o Socrate”


«Con la duplice domanda: “Che cosa dice la gente – Che cosa dite voi di me?”, Gesù invita i discepoli a prendere coscienza di questa diversa prospettiva. La gente pensa che Gesù sia un profeta. Questo non è falso, ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità. Anche oggi è così: molti accostano Gesù, per così dire, dall’esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Viene in mente ciò che disse Gesù a Filippo durante l’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14,9). Spesso Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la “gente” ha opinioni diverse su Gesù. E come allora, anche a noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la sua domanda: “E voi, chi dite che io sia?”… Ascoltandolo predicare, vedendolo guarire i malati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero poco a poco a capire che Egli era il Messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo».


Testo integrale

Cari fratelli e sorelle!

Ieri pomeriggio mi sono recato nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove ho celebrato i Primi Vespri dell’odierna Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Accanto al sepolcro dell’Apostolo delle genti ho reso omaggio alla sua memoria e ho annunciato l’Anno Paolino che, in occasione del bimillenario della sua nascita, si svolgerà dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009. Stamani, secondo la tradizione, ci ritroviamo invece presso il sepolcro di San Pietro. Sono presenti, per ricevere il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale saluto. E’ presente anche, inviata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, un’eminente Delegazione, che accolgo con cordiale riconoscenza ripensando allo scorso 30 novembre, quando mi trovavo a Istanbul – Costantinopoli per la festa di Sant’Andrea. Saluto il Metropolita greco ortodosso di Francia, Emmanuel, il Metropolita di Sassima, Gennadios, e il Diacono Andreas. Siate i benvenuti, cari fratelli. Ogni anno la visita che reciprocamente ci rendiamo è segno che la ricerca della piena comunione è sempre presente nella volontà del Patriarca ecumenico e del Vescovo di Roma.

La festa di oggi mi offre l’opportunità di tornare ancora una volta a meditare sulla confessione di Pietro, momento decisivo del cammino dei discepoli con Gesù. I Vangeli sinottici lo collocano nei pressi di Cesarea di Filippo (cfr Mt 16,13-20; Mc 8,27-30; Lc 9,18-22). Giovanni, per parte sua, ci conserva un’altra significativa confessione di Pietro, dopo il miracolo dei pani e il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao (cfr Gv 6,66-70). Matteo, nel testo appena proclamato, ricorda l’attribuzione a Simone da parte di Gesù del soprannome di Cefa, “Pietra”. Gesù afferma di voler edificare “su questa pietra” la sua Chiesa e, in questa prospettiva, conferisce a Pietro il potere delle chiavi (cfr Mt 16,17-19). Da questi racconti emerge chiaramente che la confessione di Pietro è inseparabile dall’incarico pastorale a lui affidato nei confronti del gregge di Cristo.

Secondo tutti gli Evangelisti, la confessione di Simone avviene in un momento decisivo della vita di Gesù, quando, dopo la predicazione in Galilea, Egli si dirige risolutamente verso Gerusalemme per portare a compimento, con la morte in croce e la risurrezione, la sua missione salvifica. I discepoli sono coinvolti in questa decisione: Gesù li invita a fare una scelta che li porterà a distinguersi dalla folla per diventare la comunità dei credenti in Lui, la sua “famiglia”, l’inizio della Chiesa. In effetti, ci sono due modi di “vedere” e di “conoscere” Gesù: uno – quello della folla – più superficiale, l’altro – quello dei discepoli – più penetrante e autentico. Con la duplice domanda: “Che cosa dice la gente – Che cosa dite voi di me?”, Gesù invita i discepoli a prendere coscienza di questa diversa prospettiva. La gente pensa che Gesù sia un profeta. Questo non è falso, ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità. Anche oggi è così: molti accostano Gesù, per così dire, dall’esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Viene in mente ciò che disse Gesù a Filippo durante l’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14,9). Spesso Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la “gente” ha opinioni diverse su Gesù. E come allora, anche a noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la sua domanda: “E voi, chi dite che io sia?”. Vogliamo fare nostra la risposta di Pietro. Secondo il Vangelo di Marco Egli disse: “Tu sei il Cristo” (8,29); in Luca l’affermazione è: “Il Cristo di Dio” (9,20); in Matteo suona: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (16,16); infine in Giovanni: “Tu sei il Santo di Dio” (6,69). Sono tutte risposte giuste, valide anche per noi.

Soffermiamoci in particolare sul testo di Matteo, riportato dalla liturgia odierna. Secondo alcuni studiosi, la formula che vi compare presuppone il contesto post-pasquale, e addirittura sarebbe legata ad un’apparizione personale di Gesù risorto a Pietro; un’apparizione analoga a quella che ebbe Paolo sulla via di Damasco. In realtà, l’incarico conferito dal Signore a Pietro è radicato nel rapporto personale che il Gesù storico ebbe con il pescatore Simone, a partire dal primo incontro con lui, quando gli disse: “Tu sei Simone… ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). Lo sottolinea l’evangelista Giovanni, pescatore anche lui e socio, col fratello Giacomo, dei due fratelli Simone e Andrea. Il Gesù che, dopo la risurrezione chiamò Saulo, è lo stesso che – ancora immerso nella storia – avvicinò, dopo il battesimo nel Giordano, i quattro fratelli pescatori, allora discepoli del Battista (cfr Gv 1, 35-42). Egli andò a cercarli sulla riva del lago di Galilea, e li chiamò a seguirlo per essere “pescatori di uomini” (cfr Mc 1,16-20). A Pietro poi affidò un compito particolare, riconoscendo così in lui uno speciale dono di fede da parte del Padre celeste. Tutto questo, evidentemente, fu poi illuminato dall’esperienza pasquale, ma rimanendo sempre fermamente ancorato nelle vicende storiche precedenti la Pasqua. Il parallelismo tra Pietro e Paolo è suggestivo, ma non può sminuire la portata del cammino storico di Simone con il suo Maestro e Signore, che fin dall’inizio gli attribuì la caratteristica di “roccia” su cui avrebbe edificato la sua nuova comunità, la Chiesa.

Nei Vangeli sinottici la confessione di Pietro è sempre seguita dall’annuncio da parte di Gesù della sua prossima passione. Un annuncio di fronte al quale Pietro reagisce, perché non riesce ancora a capire. Eppure si tratta di un elemento fondamentale, su cui perciò Gesù insiste con forza. Infatti, i titoli attribuiti a Lui da Pietro – tu sei “il Cristo”, “il Cristo di Dio”, “il Figlio del Dio vivente” – si comprendono autenticamente solo alla luce del mistero della sua morte e risurrezione. Ed è vero anche l’inverso: l’avvenimento della Croce rivela il suo senso pieno soltanto se “quest’uomo”, che ha patito ed è morto in croce, “era veramente Figlio di Dio”, per usare le parole pronunciate dal centurione dinanzi al Crocifisso (cfr Mc 15,39). Questi testi dicono chiaramente che l’integrità della fede cristiana è data dalla confessione di Pietro, illuminata dall’insegnamento di Gesù sulla sua “via” verso la gloria, cioè sul suo modo assolutamente singolare di essere il Messia e il Figlio di Dio. Una “via” stretta, un “modo” scandaloso per i discepoli di ogni tempo, che inevitabilmente sono portati a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio (cfr Mt 16,23). Anche oggi, come ai tempi di Gesù, non basta possedere la giusta confessione di fede: è necessario sempre di nuovo imparare dal Signore il modo proprio in cui egli è il Salvatore e la via sulla quale dobbiamo seguirlo. Dobbiamo infatti riconoscere che, anche per il credente, la Croce è sempre dura da accettare. L’istinto spinge ad evitarla, e il tentatore induce a pensare che sia più saggio preoccuparsi di salvare se stessi piuttosto che perdere la propria vita per fedeltà all’amore.

Che cosa era difficile da accettare per la gente a cui Gesù parlava? Che cosa continua ad esserlo anche per molta gente di oggi? Difficile da accettare è il fatto che Egli pretenda di essere non solo uno dei profeti, ma il Figlio di Dio, e rivendichi per sé la stessa autorità di Dio. Ascoltandolo predicare, vedendolo guarire i malati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero poco a poco a capire che Egli era il Messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo. Chiaramente, tutto questo era più grande di loro, superava la loro capacità di comprendere. Potevano esprimere la loro fede con i titoli della tradizione giudaica: “Cristo”, “Figlio di Dio”, “Signore”. Ma per aderire veramente alla realtà, quei titoli dovevano in qualche modo essere riscoperti nella loro verità più profonda: Gesù stesso con la sua vita ne ha rivelato il senso pieno, sempre sorprendente, addirittura paradossale rispetto alle concezioni correnti. E la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell’esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all’azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla “roccia” di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore di Galilea professò con appassionata convinzione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).

Nella professione di fede di Pietro, cari fratelli e sorelle, possiamo sentirci ed essere tutti una cosa sola, malgrado le divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato l’unità della Chiesa con conseguenze che perdurano tuttora. Nel nome dei Santi Pietro e Paolo, rinnoviamo oggi, insieme con i nostri Fratelli venuti da Costantinopoli – che ancora ringrazio per la presenza a questa nostra celebrazione –, l’impegno ad accogliere fino in fondo il desiderio di Cristo, che ci vuole pienamente uniti. Con gli Arcivescovi concelebranti accogliamo il dono e la responsabilità della comunione tra la Sede di Pietro e le Chiese Metropolitane affidate alle loro cure pastorali. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: la sua fede indefettibile, che sostenne la fede di Pietro e degli altri Apostoli, continui a sostenere quella delle generazioni cristiane: Regina degli Apostoli, prega per noi!


Sala Stampa Vaticana