SCENARI. Dalle discussioni sul Corano al rapporto con l’Occidente: parla l’esperto di strategie del mondo arabo Jean-Paul Charnay. Da Parigi Jean-Christophe Ploquin
Cresciuto nell’Algeria coloniale, dove ha studiato diritto islamico, Jean-Paul Charnay insegna alla Sorbona e presiede il «Centre de philosophie de la stratégie». Ha appena pubblicato in Francia un volume sulla strategia della guerra nel mondo arabo (Principes de stratégie arabe, éditions de L’Herne, 650 pp., 29 euro), citando testi che vanno dal Corano a Benladen.
Professor Charnay, come spiega che il testo su cui si fonda l’islam sia ancora così fortemente radicato nella cultura araba, a distanza di quindici secoli?
«Questo dipende, innanzitutto, dalla forma della rivelazione. L’islam non istituisce alcuna teocrazia, né intesa come concezione che pone Dio a iniziatore diretto della storia umana, né come casta di ierocrati al potere. In compenso, però, instaura una logocrazia, ossia la sovranità del verbo divino. Secondo la fede musulmana, l’islam è stato infuso da Dio nella mente del profeta Maometto direttamente in lingua araba. Non c’è scarto tra la parola divina e il Corano. Inoltre, ogni credente ha il diritto e il dovere, secondo la sua devozione e le sue conoscenze, di far riferimento direttamente alla parola rivelata per metterla in pratica. Non esiste intermediario né intercessore e ciascuno sarà giudicato secondo i propri meriti».
Oggi questo rapporto con il testo è più difficile che in passato?
«La percezione che hanno gli arabi del contesto politico internazionale dipende da quello che chiamano neocolonialismo, che si manifesta attraverso non solo con l’America di Bush ma anche con l’Onu, le Ong e la mondializzazione. Dal contadino al grande intellettuale, come Abdoul Qadir-Khan, “padre” della bomba atomica pachistana, le opinioni pubbliche arabe e musulmane rifiutano questo stato di cose; solo una parte è attratta dalla “nostra” democrazia, le “nostre” libertà, i “nostri” diritti dell’uomo. Perché? Perché non è piacevole essere sottomessi a un potere. Non hanno la libertà d’espressione di cui disponiamo noi, non godono delle nostre comodità materiali, non conoscono le luci della città. Questo crea ambivalenza. Vorrebbero le libertà dell’Occidente conservando però una dignità e un’etica morale musulmane».
Perché non riescono a farne una sintesi?
«Si trovano a fare i conti con certi testi della rivelazione coranica, versetti di tecnica giuridica che riguardano ad esempio lo status familiare e patrimoniale, dunque la cellula base della società, o le punizioni corporali, che riflettono una precisa etica personale e collettiva. L’aspirazione ai diritti dell’uomo o all’uguaglianza uomo-donna si scontra con quei versetti che non sono né abrogabili né prescrivibili. La logocrazia, la fede nella Parola di Dio che si dona, creano uno strapiombo sopra la condizione umana, una potente relazione verticale. Un diritto rivelato dice immediatamente cosa è obbligatorio, cosa è possibile, cosa è vietato. È diverso dal cristianesimo, in cui Cristo assume la condizione umana e la vive pienamente fino agli spasimi dell’agonia».
Quali sono i tentativi di compromesso?
«Sono di due tipi. Alcuni autori, che potrebbe essere definiti neo-occidentali, cercano di dimostrare che non è obbligatorio applicare il Corano interamente. Cercano di contestualizzare le rivelazioni coraniche e distinguere i versetti “utili” al mondo contemporaneo da quelli che non sarebbero applicabili. L’altra corrente difende l’approccio classico, secondo il quale non si può cambiare né sopprimere un versetto del Corano, poiché il libro deve essere interpretato nel suo insieme. È la grande pulsione dialettica che percorre la storia musulmana: il ritorno al Corano nella sua integrità. Si constatano dunque due filosofie antinomiche tra Occidente e islam».
Non esiste dunque compromesso possibile tra il mondo musulmano e l’Occidente?
«Finché i musulmani non avranno ammesso che il Corano è innanzitutto un corpus storico, non potranno evitare il ritorno al testo. Ma è all’interno dell’islam che si gioca oggi lo scontro delle civiltà tra i difensori dell’integralità del Corano e quanti vogliono sottrarsi alla sua ossatura istituzionale per considerarlo un testo spirituale donato. Questo scisma si vede operante a livello dell’intellighenzia e delle classe medie emergenti che non esistevano al tempo delle indipendenze. Ciò vale in particolare per l’Iran e l’Algeria. Mentre gli autori degli attentati dell’11 settembre 2001 hanno dimostrato che si poteva vivere all’occidentale e non sopportarlo più. L’islam sembra entrare in una nuova era culturale, civile, spirituale. Ma la trasformazione sarà lunga e si produrrà come uno scontro tra placche teutoniche. Il problema posto da quanti prendono le distanze dall’attuale civiltà musulmana è che cosa ne sarà dell’islam. Se non è più legiferante, che cosa diventa una religione ridotta all’osservanza rituale? Se l’islam deve perdere la sua potenza secolare di strutturazione della famiglia e della società per fondersi nel magma delle civiltà occidentali, che terribile dispersione d’energia! Penso a quanto scriveva François Mauriac nel suo diario la sera di un 24 dicembre: “Stasera l’Occidente si abbuffa”. Certi musulmani cercano fin d’ora di compensare questa perdita con la spiritualità, con il sufismo».
(C) Avvenire, 6-4-2004
(traduzione di Annamaria Brogi
per gentile concessione del quotidiano «La croix»)