I cristiani nelle terre dell’islam

  • Categoria dell'articolo:I diversi islam

MOLTE DIFFERENZE FRA CRISTIANESIMO E ISLAM


Pubblichiamo lo stralcio di un capitolo dell’ultimo libro scritto da P. Piero Gheddo, intitolato “La sfida dell’islam all’occidente (San Paolo edizioni), nelle librerie italiane in questi giorni.
Nel suo ultimo libro l’autore – che ha alle spalle mezzo secolo di studi e di viaggi in quasi tutti i paesi islamici – si prefigge di far conoscere, senza pregiudizi ma con sincerità, il mondo islamico, in relazione con la fede, la cultura e la società occidentale. Il capitolo da cui abbiamo estratto il brano pubblicato qui di seguito (da pag. 48 a pag. 52) è dedicato alle «Molte differenze fra cristianesimo e islam».


di P. Piero Gheddo


 

In quasi tutti i paesi a maggioranza islamica, anche quelli che più si dichiarano “laici” e “liberali”, i cristiani e gli appartenenti ad altre religioni non sono liberi e vengono considerati cittadini di seconda categoria; a nessun musulmano è permesso di cambiare religione, ad esempio, convertendosi al cristianesimo. Nel dicembre 2005 ho visitato il Senegal e il Mali, gli unici due paesi a maggioranza islamica nei quali i cristiani sono veramente liberi e, tra l’altro, gli unici in cui avvengono alcune conversioni dall’islam al cristianesimo alla luce del sole e senza suscitare reazioni negative. Il mistero è storicamente spiegabile. In questi due paesi c’è un islam molto diverso da quello che conosciamo nel Nord Africa e nel Medio Oriente: un islam che non viene dalla conquista militare e dalle conversioni forzate ottenute con la spada, ma è nato dai commercianti arabi e dalle confraternite spiritualiste fondate dai “sufi” (predicatori itineranti, monaci e mistici); un islam molto mescolato con la religione naturale africana che è naturalmente superstiziosa e tollerante. Tutti gli altri paesi a maggioranza islamica non praticano l’autentica libertà religiosa. In molti di questi paesi, i libri di testo scolastici sono pesantemente anti-occidentali e anti-cristiani. Un italiano in Egitto, studioso di arabo e di islam, mi diceva che i giornali egiziani hanno spesso articoli e vignette violentemente anti-cristiani e nessuno interviene o dice nulla. In Indonesia un missionario italiano mi traduceva da un testo scolastico delle elementari gli esempi riportati per insegnare la grammatica, spesso contro il cristianesimo e l’Occidente, specie gli Stati Uniti.
DIRITTI NEGATI
Nel 2004 ho visitato la Malesia, dove i musulmani sono meno del 65% della popolazione; lo stato si proclama laico, ma l’islam è la religione di stato e segno dell’identità nazionale malesiana: per cui gode di tutti i privilegi, mentre le altre religioni sono discriminate. La Malesia è un paese ricco (per il petrolio), evoluto, passabilmente democratico con alternanza al potere di partiti diversi, ben organizzato, con governi filo-occidentali, ma mentalità anti-occidentale diffusa nel popolo islamico. La vera libertà religiosa in Malesia (paragonabile alla libertà di cui godono i fedeli dell’islam in Italia) non esiste. Ecco alcuni esempi.
1) Se un cattolico sposa una musulmana, deve prima convertirsi all’islam. Una donna islamica non può sposare un cristiano.
2) Pronunziare o scrivere il nome di Allah è riservato ai musulmani, i cristiani non possono pronunziarlo. La stampa cattolica deve stare ben attenta a come parla dell’islam, può essere accusata di sentimenti anti-nazionali.
3) Per la stampa locale, che gode di una certa libertà, l’islam è argomento tabù: non può essere minimamente discusso o contestato o riformato. Un vescovo mi diceva che Giovanni Paolo II aveva fatto molto bene a condannare l’intervento americano in Iraq nel 2003-2004 e la piccola Chiesa malese aveva sostenuto con convinzione questa condanna. Però, aggiungeva, bisogna dire che qui in Malesia questo intervento militare «ha avuto un effetto positivo. Prima l’islam era argomento tabù, ora si incomincia timidamente a discutere, nella stampa e nell’opinione pubblica di un certo livello (studenti, professionisti), perché guerre e terrorismi succedono quasi solo in paesi islamici».
4) Nelle scuole e nei lavori, i cristiani (come gli indù e i buddhisti) sono cittadini di seconda categoria, discriminati in vari modi.
5) Il governo favorisce in ogni modo i villaggi islamici e penalizza quelli cristiani e di altre religioni (strade, acqua, scuole, elettricità, ecc.).
6) È quasi impossibile costruire nuove chiese e cimiteri cristiani: non danno il permesso. Ma lo stato finanzia almeno in parte la costruzione di moschee, scuole coraniche e altre istituzioni islamiche.
7) Le librerie cattoliche (ho visitato quelle delle Paoline a Kuala Lumpur e a Kota Kinabalu nel Sabah) non possono esporre libri cristiani in vetrina e nell’interno del negozio; li tengono in una saletta separata, dove è proibito ai musulmani di entrare; soprattutto è proibito vendere libri cristiani a un musulmano.
8) I cristiani non possono far parte dell’alta burocrazia statale né dell’esercito e della polizia, hanno gravi difficoltà ad essere ammessi nelle università: vanno a studiare a Singapore e ad Hong Kong o emigrano all’estero. Ecco perché i membri di religioni non islamiche diminuiscono di numero: chi può emigra.
L’uso della violenza ha caratterizzato l’espansione islamica fin dalle origini e lo stesso Maometto ha condotto guerre contro le tribù che non volevano convertirsi. L’uso della violenza in nome di Dio occupa un posto centrale nella tradizione islamica e la jihad (guerra santa) è ancor oggi un termine ricorrente nell’islam in molti testi e predicazioni con questo preciso significato. Alcuni libri di autori italiani, con la retta intenzione di dare un’immagine positiva dell’islam, affermano che jihad significa “sforzo”, “impegno” e il significato originario «si riassume nell’impegno con cui i musulmani mettono in pratica l’insegnamento di Dio», cioè nella lotta contro le proprie passioni e deviazioni dalla Legge di Dio.
IL SIGNIFICATO DELLA JIHAD
Questo è vero, ma jihad significa anche “guerra per Dio”. Giuseppe Scattolin, missionario comboniano esperto di islam, parlando dei movimenti islamisti sorti per restaurare l’islam come “governo di Dio” sulla terra attraverso la più stretta applicazione della legge islamica, scrive: «Termine chiave della loro lotta religioso-politica è jihad, cioè la “guerra per Dio” contro i poteri della non-credenza e dell’ignoranza religiosa. Il termine jihad infatti, contrariamente a quanto una certa propaganda islamica di stampo irenista diffonde volentieri (tesi molte volte accolta anche da una certa informazione occidentale superficiale), include e non esclude il ricorso alla lotta armata, come tutta la storia islamica sta a dimostrare. Questa ideologia militante e militare ha dato origine ad un grande numero di movimenti islamisti che hanno insanguinato le terre islamiche dall’Oriente all’Occidente». Parlo con un missionario italiano del PIME in Costa d’Avorio, che vive ai confini fra Nord islamico e Sud animista e cristiano. Mi racconta che la recente guerra civile (2004-2005) ha danneggiato molto l’espansione dell’islam nel paese. Non solo, ma si sta verificando un limitato ma significativo abbandono dell’islam in seguito alla diversa immagine che hanno dato di sé la missione islamica e quella cristiana. Il capo tradizionale della cittadina in cui il missionario abita ha parlato ai suoi correligionari dicendo: «Annunzio che abbandono l’islam e divento cristiano. Nella situazione di guerra che stiamo vivendo, ho visto che la Chiesa cattolica ha sempre lavorato per la pace e ha aiutato gratuitamente i profughi e i poveri di ogni parte, anche musulmani; gli unici impegnati nell’assistenza ai profughi e alla popolazione sofferente sono i fedeli della Chiesa cattolica. Noi musulmani cosa facciamo? Nulla, e nelle nostre moschee si tengono le armi. Io sono un uomo di pace e divento cristiano». Il missionario aggiunge che quel vecchio saggio, rispettato da tutti, ha avuto il coraggio di dire chiaramente quello che molti pensano, specie i più giovani, che sono attratti dalle Chiese cristiane.


LIBERO 26 gennaio 07