L’arroccamento radicale sempre più indigesto

I cattolici e il centrosinistra

Le due manifestazioni svoltesi nel pomeriggio del 14 gennaio, una a Milano più partecipata a difesa della legge n.194, l’altra a Roma a sostegno di una futuribile legge sui Pacs, ripropongono – in modo volutamente provocatorio – alcuni temi che avevano segnato il dibattito culturale e politico degli scorsi mesi.

E con gli argomenti ripropongono disagi e scomodità che già erano stati generosamente imbanditi per i cittadini elettori dell’alleanza di centrosinistra. La cosa evidentemente dev’essere ben presente ai leader di quell’area se nelle ore della vigilia Romano Prodi e altri dirigenti moderati avevano invitato ad utilizzare strumenti e toni diversi per questioni tanto delicate. Inutilmente, però. Al punto che pare lecito chiedersi se quelli uditi ieri siano i veri umori che circolano nei quadri dirigenti della sinistra post-comunista, dei radicali e dei verdi e nel gruppo di militanti cigiellini che li sostiene. La convinzione dominante in quelle forze politiche, cioè, sembra essere da un lato che i Pacs sono un diritto civile “irrinunciabile” e dall’altro che la legge n.194 si esaurisce nella garanzia del principio della libertà di aborto da parte della donna. Due asserzioni che si prestano, evidentemente, a ben poche mediazioni e che in effetti non lasciano spazio ad alcuna forma di dialogo. Va da sé che collocando nella sfera del non negoziabile (quella dei diritti civili fondamentali) un’opzione legislativa che in Europa ha una storia di meno di dieci anni, si impedisce di ragionare sui problemi concreti cui i Pacs intenderebbero rispondere. Si finisce inoltre per supporre questi diritti conculcati proprio da quella Carta costituzionale che con tanto ardore si proclama – giustamente – di voler difendere. Senza dire che è proprio nella legge n.194/1978, che si vuole a tutti i costi preservare, dove solennemente si afferma che «la Repubblica tutela la vita umana sin dall’inizio», e per questo si prevedono varie forme di incentivo per portare a termine la maternità: forme che potrebbero essere arricchite, per dare più spazio alle «ragioni della vita» nel dilemma che ogni donna in procinto di abortire sente in sé in un momento così delicato. Il dialogo con queste posizioni è dunque molto difficile. Di qui gli interrogativi pesanti che gravano nella coscienza dei numerosi elettori italiani che negli scorsi anni hanno ritenuto che fosse possibile credere nei valori della vita e della famiglia e votare serenamente per la coalizione di centro-sinistra. Certo, le tensioni su questo fronte non sono nuove e non nascono oggi, ma quegli elettori italiani – fra i quali vi è una parte cospicua di quello che si è tradizionalmente definito il cattolicesimo democratico – hanno a lungo creduto che le mediazioni fossero possibili, lavorando per ottenere, su temi così delicati, se non il massimo bene, almeno una graduale fuoruscita dalle posizioni più rocciose dell’individualismo radicale. L’auspicio, in fondo, era che l’incontro fra cattolici post-democristiani e sinistra post-comunista, a partire da una visione comune delle regole democratiche e dalla comune passione per il bene concreto delle persone, potesse condurre ad allargare lo sguardo, vedendo la persona anche là dove è più difficile scorgerla (nella vita nascente) e lavorando per una cultura delle relazioni basata sulla responsabilità e sull’impegno per il futuro: dunque per un sistema che rafforzi e non indebolisca – neppure indirettamente – la famiglia fondata sul matrimonio, posta al centro dallo stesso patto costituzionale, oltre che dal vissuto comune della stragrande maggioranza degli italiani. Se questa era l’aspirazione, non è possibile non vedere oggi un vero e proprio fallimento. La prospettiva dei partiti di estrema sinistra e dei diesse sembra inchiodata su linee antropologiche tipiche della cultura radicale e individualistica e antepone gli ideali dei gruppi femministi e delle organizzazioni gay, al bene della famiglia (di solito qualificata spregiativamente come “tradiz ionale”). A suggello di questa involuzione sta – come un macigno – l’ingresso nell’Unione dei radicali e il delirio anticlericale (quasi un ritorno al Mussolini di prima del ’14) di quel che resta dei socialisti italiani. Come non chiedersi quale sia ancora lo spazio concreto per gli elettori cattolici all’interno di quell’area?

di Marco Olivetti
Da Avvenire Online
del 15 gennaio 2006