Per Francesco D’Onofrio, presidente dei senatori dell’Udc, la battaglia non è conclusa, e promette il suo impegno quando il provvedimento sui cognomi arriverà in aula. «Non è una battaglia politica – spiega ad Avvenire – ma culturale: è un attacco alla famiglia anche se passa per una picconata al patriarcato».
Ma Alfredo Mantovano di Alleanza Nazionale intravede dietro la norma un disegno distruttivo: “L’ansia di picconare la famiglia non arriva ancora a far partorire al governo un disegno di legge sui pacs. Ma non impedisce a governo e maggioranza di mandare avanti la proposta sui cognomi, nella direzione di annullare tutto ciò che, con riferimento alla famiglia, ha storia e radici. Se ai figli potrà essere dato alternativamente il cognome del padre, quello della madre, o entrambi, e’ certo che nel giro di 3- 4 generazioni verra’ meno la continuita’ familiare, cioe’ un elemento basilare per l’identità comunitaria. Non sono soltanto le radici cristiane che la sinistra vuole estirpare, ma anche le radici naturali, a cominciare da quella familiare. L’attenzione critica verso questa proposta sbagliata deve essere la stessa che verso i pacs!“.
Perché, senatore, considera il provvedimento un nuovo attacco alla famiglia?
Qui non è in gioco l’eguaglianza tra genitori, ma l’equilibrio fra famiglia e figli. Mi chiedo: la famiglia è una formazione sociale dotata di una propria specifica autonomia e copertura costituzionale, come onestamente si deve ritenere o no? Esiste la famiglia o solo i genitori e i singoli figli? Ho presentato in commissione emendamenti che prevedono che ognuno dei coniugi aggiunga al proprio cognome quello dell’altro e che i figli abbiano il doppio cognome perché sono i figli di entrambi i genitori, proprio perché la famiglia ha una propria specifica identità.
In che modo questa individualità verrebbe meno?
Se con la disciplina che si intende adottare la scelta del cognome diventa quasi casuale, evidentemente non è più una questione di uguaglianza dei sessi o di affermazione finalmente di parificazione della donna al marito. Il timore è che le decisioni adottate in commissione servono a distruggere l’entità collettiva famiglia ritenendo che non sia un soggetto collettivo, una formazione sociale, ma un insieme di singole persone. Vale a dire una mera sommatoria di individui. Al momento della Costituente i cattolici furono portatori di un’idea di società intermedia costituita dai comuni e dalla famiglia, cioè come cellule poste tra il cittadino e lo Stato. La distruzione dell’autonomia comunale si chiama statalismo, la distruzione della famiglia si chiama individualismo. Se disconosco l’esistenza della famiglia come soggetto collettivo, opero nel senso di considerare la famiglia come un assemblaggio casuale di singoli. Quello che stiamo facendo adesso con i cognome dei figli anticipa di fatto la famiglia come aggregazione civile. È l’affermazione definitiva che la famiglia è un mero assemblaggio di persone, come le unioni di fatto.
Quindi la questione è culturale prima che giuridica.
È in gioco la natura patriarcale della famiglia che deriva dal diritto romano ed è quindi più antica del Cristianesimo. Questa natura patriarcale può essere contrastata con il principio di uguaglianza che nella Costituzione è prevista ed io la condivido.
Lei è contro la famiglia patriarcale?
Capisco che la moglie mantenga il proprio cognome e, se vuole, aggiunga quello del marito, capisco anche che il figlio non abbia soltanto il cognome del padre previsto per legge o per consuetudine, ma che prenda i due cognomi. Questa allora è una famiglia non patriarcale, ma basata sull’eguaglianza, ed io mi batto perché si superi definitivamente la concezione patriarcale, e questo mi accomuna agli altri. Anche la distinzione tra figli legittimi e naturali può essere superata, ma mi chiedo: il matrimonio cos’è, se non l’atto costitutivo di una società diversa dalle singole persone?
Il provvedimento quindi non è solo contro la concezione patriarcale.
Nella facciata sì, ma di fatto è contro anche quella egualitaria. È presentato come una vittoria contro la famiglia patriarcale di tradizione romanistica, ma considera la famiglia un assemblaggio di singoli, così come la concepiscono i sostenitori dell’unione civile. Se la famiglia scompare anche rispetto ai figli, cosa la distingue più da una unione civile? Insomma, con la famiglia nasce un diritto all’identità del figlio o no? E questi è figlio della famiglia, di se stesso o di un singolo genitore? Allora occorre rispondere, ed è questa la battaglia culturale, a un’idea di progresso inteso come abbattimento di tutte le formazioni intermedie.
«Se passa quella proposta genitori e figli potranno regolarsi ciascuno a modo suo. E l’unità del nucleo?»
da Roma
Giovanni Ruggiero
Avvenire, Venerdi 19 gennaio 2007