In tema di pacs la religione non c’entra

Difendiamo il matrimonio specifico bene umano
Non solo religioso o confessionale



del prof. Francesco D’Agostino


Se i cattolici sono in prima linea nella loro battaglia contro i Pacs, ciò non dipende dal desiderio di difendere un bene confessionale, ecclesiale e nemmeno, a ben vedere, spirituale: ciò che si difende dicendo no ai Pacs è uno specifico bene umano, che caratterizza tutte le epoche e tutte le culture e che non a torto è ritenuto, dagli etnologi, alla stregua di una struttura antropologica fondamentale.


(C) AVVENIRE – 8 febbraio 2007


Chi dovrebbe aver paura della legalizzazione delle convivenze? Certamente non i cattolici. Coloro che credono che l’impegno coniugale vada confermato sacramentalmente e che, in una prospettiva di fede, il matrimonio sia analogabile al vincolo che unisce Cristo alla sua Chiesa, non possono certo sentirsi “tentati” dai Pacs e dalla loro palese, debole caratterizzazione di “piccoli matrimoni” (come una volta ebbe a definirli il cardinale Ruini) o di matrimoni “depotenziati”.


Se i cattolici sono in prima linea nella loro battaglia contro i Pacs, ciò non dipende dal desiderio di difendere un bene confessionale, ecclesiale e nemmeno, a ben vedere, spirituale: ciò che si difende dicendo no ai Pacs è uno specifico bene umano, che caratterizza tutte le epoche e tutte le culture e che non a torto è ritenuto, dagli etnologi, alla stregua di una struttura antropologica fondamentale.


Appartiene infatti alle dimensioni più profonde e costitutive dell’essere dell’uomo una peculiarissima identità relazionale e soprattutto generazionale: tutti gli animali si riproducono, ma solo gli esseri umani divengono propriamente padri e madri; tutti gli animali sono generati, ma solo gli esseri umani si percepiscono come figli e figlie.


Il matrimonio, insomma, è un vincolo reciproco e totale tra un uomo e una donna, che acquista un rilievo pubblico per garantire l’ordine delle generazioni. Ed infatti è nell’ordine delle cose che si possa riconoscere come invalida l’unione coniugale, quando uno degli sposi non sia fisicamente in grado di consumare il matrimonio.


Difendere il matrimonio non significa quindi difendere un’istituzione sociale “inventata” da una certa cultura, o sorta in una “determinata epoca” e destinata perciò a tramontare con la cultura che l’avesse “inventata” e ad essere eventualmente sostituita da altre istituzioni sociali.


Dubitare del matrimonio o sostenere il possibile carattere plurale di questa istituzione significa né più né meno che alterare in chiave indebitamente in dividualistica la realtà coniugale dell’identità umana. E reciprocamente difendere il matrimonio significa difendere una delle dimensioni costitutive della persona umana. Essere persona significa infatti (anche) percepire la vita nello stesso tempo come un dono e come un compito: chi ha avuto la vita in dono ha il dovere di comunicarla, fisicamente nella generazione e spiritualmente nell’amore, nella prossimità e nella solidarietà.


I Pacs attivano nell’immaginario collettivo l’idea che la convivenza affettiva sia essenzialmente autoreferenziale, che cioè i conviventi debbano trovare in una serie di interessi reciproci garantiti dalla legge la ragione ultima della loro unione. Ora, non c’è alcun dubbio che possano esistere numerosi interessi privati, anche di natura esclusivamente economica, assolutamente leciti e meritevoli di rispetto sul piano privato.


Ma quando la legge, riconoscendo il matrimonio, interviene a regolare pubblicamente le convivenze, dà a queste unioni una valenza al contempo simbolica e sociale assolutamente preziosa: è come se riconoscesse che l’individualità dei singoli sposi può prolungarsi verticalmente in quella dei figli, così come può dilatarsi orizzontalmente in quella dei parenti; contribuisce insomma, e in modo fondamentale, a statuire che l’identità del cittadino non si esaurisce nella sua ristretta e asfittica sfera individuale (peraltro meritevole di una giusta tutela), ma si manifesta nella sua pienezza in una relazionalità compiuta, in cui tutte le dimensioni dell’io, quella fisica, quella spirituale e quella economico-sociale vengono coinvolte