Dopo dieci anni di sorrisini, quella piazza ha dimostrato cosa diavolo è l’Eurabia
Il silenzio dopo i sorrisini. Ricordo i sorrisini di certi amici quando si cominciò a parlare di scontro di civiltà. Samuel Huntington era chiaramente un paranoico e meno male che non avevano mai visto una sua foto, altrimenti chissà i giudizi lombrosiani intorno al faccino da bambino grinzoso, caratterista ideale per horror avatiani nelle case dalle finestre che ridono. La faccia di Oriana invece la conoscevano tutti, ed era l’icona della vecchia pazza, mica si potrà dar retta a un’esaltata. Bat Ye’or, la scrittrice che ha coniato il termine Eurabia, era impronunciabile e ignota allora come oggi. Dopo oltre dieci anni di sorrisini stolidi le facce intorno a me sono diventate serie da un giorno all’altro. Le immagini dell’occupazione musulmana delle piazze italiane le hanno capite più o meno tutti. Mi pare che solo Alberto Melloni continui coi sorrisini e mi figuro la sua faccia da schiaffi quando racconta che il Corano non c’entra con l’islam, che è come dire che il latte non c’entra col formaggio. Vaticanista antievangelico che non riconosce l’albero dai frutti. Le facce sono diventate serie però, da loquaci, silenziose. Perché? Perché non è da tutti ammettere di aver sbagliato, e così a lungo.
E perché si ha la sensazione di essere stati abbandonati: dai pastori (ce n’è uno a Milano che vuole mettersi d’accordo coi lupi); dai questori; dai sindaci e dai governatori, che si baloccano con grattacieli altissimi per evadere dalla realtà della convivenza al piano stradale; dalle massime cariche dello stato (in particolare la prima e la terza, spinte dai propri incoercibili sentimenti anti-italiani a inneggiare a Europa e magistratura ovvero alle due entità che impediscono l’espulsione dei coranisti). Il povero cristo che cosa può fare? Andare in chiesa e cantare. “L’invasione islamica sarà fermata dai nostri canti” disse Don Giussani a Renato Farina. Io vado in chiesa a cantare il Salve Regina, vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Chi non canta scenderà nel gorgo muto.
Camillo Langone, Il Foglio, 13 gennaio 2009