Corsera contro Putin. Perché?

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Ce l’hanno con Putin: ecco perché
Attacco furente contro Putin su Il Corriere, firmato da Andrè Glucksman

Dal salotto buono mondiale è partito l’ordine: fare di Vladimir Putin il Fiorani globale.
E naturalmente Il Corriere esegue.
L’ultimo pretesto, il posto ben pagato che Putin ha dato all’ex cancelliere tedesco Schroeder come consulente del gasdotto del Baltico, che Russia e Germania stanno costruendo insieme. Attacco furente su Il Corriere, firmato da Andrè Glucksman, un ex maitre à penser francese: «Schroeder ha preso la bustarella per i servizi resi a Putin!».
Pietro Ostellino torna sul tema, e spiega che si tratta di un loschissimo conflitto d’interessi.
E spiega, pieno di contenuto sdegno: «una cosa è un lavoro di consulenza svolto da manager estranei alla politica, un’altra è un lavoro di lobby svolto da ex uomini politici, che del proprio Paese conoscono i risvolti di diretto interesse politico, a favore di un Paese le cui credenziali democratiche non sono limpide».
Troppo giusto, come tutte le cose che scrive Ostellino.
Ci si chiede solo perché non le applichi a Mario Monti: l’ex commissario europeo è stato assunto giorni fa dalla banca d’affari Goldman Sachs (notizia che Il Corriere, salvo errori, ha taciuto).


E quello, non è un conflitto d’interessi?
E’ chiaro che Monti è stato assunto anche perché, grazie agli interessi e le relazioni personali che ha intrecciato come commissario UE, può fare lobby.
E poi, andiamo: che diciamo di Henry Kissinger?
Finito il lavoro di segretario di Stato (il numero due della politica USA), ha aperto un ufficio famoso, la Kissinger Associates, che fa consulenza e lobby a pagamento per una ricca clientela, fra cui Paesi con scarse credenziali diplomatiche, tipo Arabia Saudita.
E Dick Cheney non ha un conflitto d’interessi?
Era presidente della Halliburton, la multinazionale che – guarda caso – s’è aggiudicata dalla Casa Bianca tutta la ricostruzione dell’Iraq, e senza concorso pubblico.
In USA, senatori e ministri che passano nel privato a fare i lobbisti per potenti gruppi sono pane quotidiano.
Ma Putin, dopo Schroeder, ha offerto a Donald Evans, ex ministro del Commercio americano, il posto al vertice della sua petrolifera Rosneft, ed ecco lo scandalo, le proteste, il fuoco di sbarramento.
Putin è proprio cattivo, anzi pericoloso.
Proprio non piace, nel salotto buono globale.


Il piano Brzezinski: isolare la Russia.
Eppure gliel’avevano fatto sperare, a Putin, uno strapuntino nel salotto buono planetario.
Bush lo chiamava «alleato» nella «guerra al terrorismo globale»: si occupasse pure del terrorismo ceceno, mentre l’America invadeva Iraq e Afghanistan.
La Russia, allora, era piena di debiti con la finanza internazionale, in pieno disastro post-sovietico, ma ricca di materie prime preziosissime.
Era ridotta all’impotenza e in vendita.
Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere di Carter per la sicurezza nazionale e primo analista strategico del Council on Foreign Relations (un istituto strategico dei Rockefeller) l’aveva scritto nero su bianco: scomparsa l’URSS, bisogna ridurre la Russia a un angolino senza importanza nel mondo. Isolarla.
Ricacciarla in Asia.
Come?
Strappandole tutta la sua zona d’influenza, gli Stati ex sovietici con cui Mosca ha le più intense relazioni economiche.
E il disegno è stato attuato.
Le varie «rivoluzioni colorate» che hanno trasformato in «democrazie» Georgia e Lituania, Ucraina e Paesi baltici, sono state finanziate dal Dipartimento di Stato; l’entrata a marce forzate di questi Stati e della Polonia (la «nuova Europa») nella NATO, sta creando attorno a Mosca una cintura di Paesi non più amici, e potenzialmente ostili.
Basti dire che, con il voltafaccia dell’Ucraina, la Russia perde il contatto con la flotta militare che ha nel Mar Caspio, una zona molto promettente dal punto di vista petrolifero.
Tanto, Putin non poteva farci niente, era troppo debole.
Allora, potevano chiamarlo «amico».
Anzi, persino democratico.


L’arresto di Khodorkovski cambia tutto.
Per la finanza anglo-americana, Putin cessa di essere «amico» da una data precisa: giugno 2003, quando mette sotto processo (e poi manderà in Siberia) Michail Khodorkovsky.
Anche Ostellino, su Il Corriere, non si dà pace per questo Khodorkovsky.
Si tratta di un quarantenne che è stato l’uomo più ricco della Russia, con un patrimonio di 15 miliardi di dollari.
Uno dei tanti «oligarchi» (li chiamano così) diventati ricchi durante il governo Eltsin, ai tempi delle privatizzazioni dell’enorme patrimonio sovietico.
Bastava essere amici della famiglia Eltsin (Khodorkovski lo era) per accaparrarsi, a prezzi stracciati, dei succulenti bocconi.
Lui s’era comprato la Yukos, ossia praticamente tutto il petrolio russo.
Come?
Con denaro anticipato dai Rotschild di Londra.
Quanto?
273 milioni di dollari.
Il fatto é che la Yukos, alle quotazioni di Borsa, vale 19 miliardi di dollari.
Insomma Khodorkovski ha pagato il suo tesoro privatizzato 60 volte meno del suo valore di mercato.
Persino il Wall Street Journal, in un raro slancio di oggettività (ma allora Putin era ancora «amico») disse che era come se uno avesse comprato, in una piazzola d’autostrada, un autentico Rolex di platino per 30 dollari: è chiaro che era stato rubato, e i rischio era che il proprietario te lo chiedesse indietro, e ti mandasse pure in galera per incauto acquisto.
O ricettazione.
Ma così erano le privatizzazioni russe, preferite dal sistema finanziario occidentale, e finanziate dai Rotschild e dai Rockefeller.
Di fatto, Londra e New York  s’erano appropriate a prezzi di liquidazione delle materie prime russe, attraverso i loro prestanome, gli oligarchi.
Difatti molti altri oligarchi, per non finire come Khodorkovski, se la sono squagliata, chi a Londra, chi in Israele, prontamente accolti e forniti di nuova cittadinanza.
Khodorkovski invece s’era dato a fare la fronda a Putin appena succeduto a Eltsin, pagava i politici avversi, finanziava giornali ostili.
Putin ha reagito: e ha sequestrato la Yukos, restituendola alla Russia.
E’ quello che non gli perdonano nel salotto buono.


Le armi di Putin.
Il piano Brzezinski viene accelerato, sempre nuove «democrazie» spuntano una dopo l’altra nella zona storica di influenza russa.
In Ucraina va al potere Victor Yushenko la cui moglie, Katarina, è nata a Chicago e ha coperto un incarico nel governo di Bush-padre.
Washington si prepara a piazzare missili anti-missile ABM in Polonia, a ridosso della Russia. Cambia il tono dei giornali: quando avviene la strage di bambini di Beslan sembra, a leggere il Financial Times, il Washington Post e Il Corriere della Sera, che la colpa sia non dei folli terroristi ceceni, ma di Putin.
Il fatto è che il vecchio funzionario del KGB ora ha i mezzi per difendere l’interesse nazionale.
La Russia ha petrolio, e il rincaro del petrolio, effetto collaterale della guerra di Bush in Iraq, mette un fiume di dollari nelle casse del Cremlino.
E Putin gioca bene le sue carte.
Sa di non poter più permettersi la politica da grande potenza dell’URSS.
Ma ora può pagarsi un riarmo accuratamente calibrato per non farsi cacciare nell’angolo.
Rimette al lavoro gli scienziati militari che, sotto l’impero sovietico, avevano sviluppato punte di eccellenza.
Un siluro a «supercavitazione» che fila sott’acqua a 500 all’ora.
Un apparato per rendere ogni aereo «invisibile» ai radar, avvolgendolo di uno schermo al plasma. Missili intercontinentali di nuova concezione, Topol e Bulava, che non possono essere intercettati perché arrivano sul bersaglio manovrando imprevedibilmente a zig-zag..
Il missile antinave «Sunburn», che vola al doppio della velocità del suono sul pelo dell’acqua. Quest’ultimo, è concepito chiaramente contro le portaerei, ossia i mezzi su cui gli USA basano la loro egemonia nel Pacifico.
E Putin, infatti, vende subito un centinaio di «Sunburn» (da 200 chilometri di raggio) alla Cina, l’avversario strategico dell’America nel Pacifico.
A settembre, Russia e Cina compiono insieme le più grandi manovre militari congiunte della loro storia.
Altre grandi manovre la Russia compie con l’India.
Assiste l’Iran.
Sostiene la Siria.
E – soprattutto – l’agosto scorso Mosca ha pagato in anticipo ai banchieri internazionali il debito russo contratto da Eltsin, 43 miliardi di dollari.
Con 15 miliardi di dollari sull’unghia, Putin s’è liberato dal guinzaglio con cui il salotto buono globale lo legava al collo.


Il gasdotto che non piace.
Grazie all’amicizia personale con Schroeder (Putin parla un buon tedesco) e dei capi della Dresdner Bank, Putin vince l’accerchiamento anche sul fronte petrolifero.
Tutti gli oleodotti russi che portano il greggio ad occidente sono non solo vecchi e sovraccarichi, ma passano per Paesi ex-sovietici, ora ostili, e a cui la Gazprom deve pagare ricche royalty.
Mosca rischia lo strangolamento anche di queste sue arterie vitali.
Ma la Germania e l’Europa sono i massimi clienti dell’energia russa, ed hanno interesse a restarlo, vista l’instabilità del Medio Oriente.
Così, Schroeder e Putin lanciano il costoso gasdotto che porterà il gas alla Germania.
E poiché scorrerà sul fondo del Baltico, non attraverserà né Ucraina, né Polonia né Paesi baltici. «Una mascalzonata!», grida su Il Corriere Glucksman.
Il fatto è che Polonia e Ucraina vogliono fare i filo-americani, ma continuare a incassare le royalty di Mosca.
L’Ucraina specialmente.
Produce gas sufficiente per i suoi bisogni interni, ma preferisce vendere all’estero il suo prodotto, perché quello che le serve per scaldare le case lo riceve da Mosca a prezzo di favore, come ai vecchi tempi sovietici: 55 dollari ogni mille metri cubi, mentre il prezzo di mercato mondiale supera i 250.  Putin ora, vuole che l’Ucraina paghi il prezzo di mercato.
«Putin ha triplicato il costo del gas all’Ucraina!», strilla Glucksman.
Ma il capo del Cremlino ha solo fatto presente alla nuova «democrazia»: se vuoi fare una politica ostile a Mosca ed entrare nella NATO, padronissima.
Ma allora ti tratteremo come qualunque altro cliente.
Insomma, Putin difende i suoi interessi nazionali.
Se attaccato, si difende.
Non è cattiveria, è logica.
Isolare Mosca è un presunto interesse americano.
Ma non è l’interesse dell’Europa.
Al contrario, l’interesse europeo è restare amici di Mosca, fornitore energetico più stabile del Medio oriente. E moltiplicare i legami con la Russia, integrare le sue materie prime e le sue eccellenze tecnico-scientifiche nella nostra economia.
Un interesse così evidente, che sia Schroeder non tanto amico di Bush, sia Berlusconi che gli è amicissimo, hanno fatto la stessa cosa: oleodotti con Putin, cooperazione economica, collaborazione alla pari.


di Maurizio Blondet
da La Padania 06/01/2006