Prodotte anche cellule miste uomo/animale
A Tokyo il primo ovulo da un topo maschio, arrivano ibridi e chimere…
Roma. Secondo un ricercatore della Cambridge University l’ovocita è un “concetto carino”. Tutto quello che abbiamo immaginato la scienza ha realizzato. Alla fine dell’800 Hans Driesch clonò un riccio di mare. Un secolo dopo il primo pollo in provetta. Sei anni fa ad Harvard nacquero polli a quattro zampe e senza ali. Nel novembre del 2001 gli scienziati inglesi sono riusciti a simulare la verginità. E nei giorni scorsi in Giappone è stato creato il primo ovulo maschile. Da una femmina di topo alcuni scienziati hanno estratto staminali embrionali reimpiantandole nei testicoli del maschio. L’ibrido risultante è capace di produrre spermatozoi e ovociti. La notizia è stata confermata dalla rivista Nature e dalla National Academy of Science americana. I ricercatori stanno già pensando a come applicare la tecnica all’uomo. In questo modo, spiegano, verrebbero esauditi i desideri di quelle coppie omosessuali che per ora devono accontentarsi degli uteri in affitto. Il Washington Post rivela che alcuni scienziati sarebbero vicini a brevettare il primo ibrido umano-animale. Non si tratta di fanatici raeliani della Clonaid. L’idea è venuta a uno stimato docente del New York Medical College di Valalla, Stuart Newman, il quale si è detto contrario a brevettare la scoperta. “Sarebbe la privatizzazione del mondo biologico”, ha detto Newman. Michael Werner, capo delle politiche della Biotechnology Industry Organization, gli ha replicato che “ci sono chimere che possono funzionare per gli anticorpi”. E che soprattutto possono espandere il business del biotech. Lo Us Patent Office ha dato ragione a Newman. Solo una volta, nel 1988, la Corte suprema aveva brevettato la vita, quella del famoso “oncotopo”, ottenuto con Dna umano. La Pennsylvania University è specializzata nell’impianto di staminali umane embrionali nel cervello del topo. Nelle vene dei maiali alla Mayo Clinic del Minnesota scorre sangue umano, mentre nel Nevada nelle pecore batte un cuore umano. Esmail Zanjani, dell’Università di Reno, lavora sulle staminali umane nei feti di pecora. Dal vitro di Irving Weissman, direttore dell’Istituto di cellule staminali di Stanford, è uscito il primo topo con un sistema immunitario umano completo. Il celeberrimo Panos Zavos, dell’University del Kentucky, si è dedicato a miscelare un embrione umano con materiale genetico proveniente da un cadavere. Nei Centri per la riproduzione artificiale di Chicago e New York, il gruppo di Norbert Gliecher ha ottenuto la fusione di due embrioni umani di sesso diverso per ottenere un ermafrodita. A Shanghai sono stati impiantati cromosomi umani negli ovociti di un coniglio. Sono stati necessari 400 embrioni umani. Il pioniere australiano delle fecondazione in vitro, Alan Trounson, ha denunciato simili interventi. Alla Bbc ha detto: “Non capisco la logica di ciò che si sta facendo”. L’embrione viene manipolato persino allo stadio di blastocista, quando raggiunge le 200 cellule. Il dottor Zhen Sheng, della Shanghai Medical School, su 400 embrioni misti ha usato più di 100 blastocisti. Sui 700 embrioni che Zavos ha sottoposto a ibridazione umano-animale, 300 erano blastocisti. Il Consiglio americano di bioetica si è riunito il 4 marzo scorso per discutere proprio dei “cybrid”, delle cellule miste umano-animali. Il piccolo Baby Fae nel 1984 fu salvato da un cuore di babbuino. La medicina però non si era mai sognata di vivisezionare l’embrione, miscelandolo ad altre specie per trarne una chimera. E’ intervenuto il National Institutes for Health con il suo ricercatore più noto, Ronald McKay: “Mi oppongo a utilizzare staminali embrionali in una condizione che causa affronto morale”. Ma la denuncia più forte è venuta da parte dello scienziato di Stanford, William Hurlbut, impegnato nella deprogrammazione delle staminali adulte per ottenere cellule dinamiche più simili possibile a quelle embrionali. “Quali sono i limiti dell’umanità sulle chimere? Cosa faremo con i prodotti delle staminali embrionali? Una società decente non deve costruire le fondamenta della sua scienza biomedica sulla creazione e distruzione intenzionale di embrioni umani. Lo dico come fisico e padre di un figlio handicappato. Siamo agli inizi. Alleveremo parti umane? Avremo fattorie di reni e allevamenti di cervelli nelle tinozze?”. Robert Forman, direttore del Centro di medicina riproduttiva di Londra, continua a lavorare intanto all’utero artificiale, un serbatoio di vetro in cui far crescere l’embrione per nove mesi. Un concetto carino. (gm)
Il Foglio 11 Marzo 2005