IL CALABRAGHISTA
Dopo la crisi delle vignette, Prodi esige che si torni alla politica tradizionale verso il mondo arabo: quella delle brache (forma dialettale per indicare i pantaloni) calate. I cedimenti di ieri e quelli di oggi…
Adesso non ci sono più dubbi. Il leader del nuovo Pci, Partito Calabraghista Italiano, quello che ha per programma di concedere ai fanatici che odiano l’Occidente per motivi politico-religiosi tutto quel che chiedono pur di essere lasciati in pace, non va ricercato nei ranghi dei Verdi o dei Disobbedienti, non è il Caruso ammiratore di Hamas o il Diliberto ospite degli Hezbollah, no: il capo è proprio lui, Romano Prodi, il candidato premier dell’Unione.
La prova definitiva l’abbiamo trovata in due capolavori mediatici dell’ex presidente della Commissione Ue: la lettera a Repubblica sui fatti di Bengasi, apparsa il 20 febbraio, e l’intervista al Mattino di Napoli del giorno seguente.
La prima si conclude, dopo una lunga tirata contro Calderoli, Berlusconi e Rai Uno (colpevole di aver invitato un ministro in una trasmissione di approfondimento), con un’impegnativa dichiarazione di politica estera: «L’Italia ha bisogno di una nuova politica verso il Mediterraneo in modo da garantire la nostra sicurezza e i nostri interessi ed affermare finalmente il ruolo di equilibrio e di saggezza che è nella tradizione di questo paese».
E che la politica nuova dovrà essere in realtà una politica molto vecchia Prodi l’ha ribadito il giorno dopo sul quotidiano napoletano, spiegando che la trasformazione della politica estera verso i paesi del Mediterraneo avverrà «semplicemente recuperando le direttrici tradizionali della politica estera italiana». Per i più giovani che non la rammentano, va ricordato che la gloriosa tradizione della politica estera italiana verso quella regione si può riassumere in un semplice concetto: compiacere sempre e comunque gli arabi pur di salvare le chiappe. Cioè evitare antipatiche azioni terroristiche sul suolo nazionale e portare a casa un po’ di contratti di import-export.
Chi pensa che stiamo solo denigrando quel che fecero per un trentennio i nostri padri si ricordi che a candidare a ministro degli Esteri di un eventuale governo di sinistra dopo il 9 aprile il senatore Giulio Andreotti (che tale carica ricoprì in 4 governi del passato) non sono stati Emilio Colombo o Gerardo Bianco, ma il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto.
TUTTE LE FREGATURE CHE CI HANNO RIFILATO I PALESTINESI
Questa tradizione che intenerisce di nostalgia uomini di dura scorza come Prodi e Diliberto è piena di pagine gloriose. Come la consegna da parte del Sismi ai sicari di Gheddafi dei nomi, indirizzi e foto dei dissidenti libici residenti in Italia, 13 dei quali furono assassinati sul nostro territorio negli anni Ottanta. In compenso, Gheddafi ospitava gli uomini del terrorista palestinese Abu Nidal, che in Italia hanno fatto un sacco di attentati e, bombardato da Reagan nel 1985 per rappresaglia contro alcuni attentati compiuti dai suoi agenti contro militari Usa in Europa, lanciava missili contro l’isola di Lampedusa. Per non parlare dei 1.000 miliardi di vecchie lire di crediti libici vantati da nostre imprese, quasi tutte fallite a causa del mancato pagamento di contratti eseguiti. O come la liberazione dei 5 terroristi palestinesi arrestati nel 1973 mentre stavano per abbattere un aereo israeliano con un bazooka all’aeroporto di Fiumicino: il governo italiano li fece prelevare da un aereo dei nostri servizi segreti che li trasferì in Libia. In compenso, tre mesi dopo altri terroristi palestinesi massacrarono 31 persone al terminal della El Al a Fiumicino. O come la liberazione nel 1985 di Abul Abbas e dei suoi compagni, membri di una fazione dell’Olp che avevano dirottato la nave da crociera Achille Lauro e ucciso un passeggero americano, strappati dalle mani dei militari americani a Sigonella e restituiti ad Arafat. Qualche mese dopo 4 terroristi palestinesi di Abu Nidal uccisero 13 passeggeri e ne ferirono più di 70 ai banchi della El Al e della Twa a Fiumicino. Le cose andavano così: l’Italia corteggiava l’Olp, che informalmente si impegnava a non compiere attentati sul territorio italiano; poi l’Olp armava e addestrava le Brigate Rosse, col progetto di appaltare loro attentati anti-israeliani in Italia.
IL MURO ISRAELIANO? “UN ERRORE”
Oltre a questa bella tradizione, Prodi vuole certamente resuscitare quella, in realtà mai morta, dell’Unione Europea che ha coltivato da presidente della Commissione. Nonostante la montagna di documentazione inviata dagli israeliani a proposito dell’utilizzo improprio dei fondi europei da parte dell’Autorità palestinese, la Commissione da lui presieduta non solo non ha mai sospeso le erogazioni, ma non ha nemmeno sentito l’esigenza di creare una commissione di inchiesta fino a quando non ha deciso di farlo il parlamento europeo (nonostante le pressioni della Commissione sugli europarlamentari perché non procedessero in questa direzione). A suo tempo, Prodi si è premurato di definire la barriera difensiva che ha ridotto dell’80 per cento gli attentati suicidi in Israele “il peggior errore” e di notificare agli israeliani che l’Arafat che assediavano a Ramallah era l’unico interlocutore per la pace. Ma effettivamente stava proseguendo una gloriosa tradizione: nel 1980, riunita a Venezia, l’allora Comunità economica europea (Cee) condannò ufficialmente, come voleva l’Olp, la pace di Camp David firmata l’anno prima da egiziani e israeliani, spianando la strada all’assassinio del presidente egiziano che l’aveva firmata, Anwar El Sadat.
PER ROMANO ALCUNI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI
Poi c’è l’eccesso di zelo, nel quale un primo della classe come Romano Prodi è portato a cadere facilmente, come quando definisce i soldati italiani presenti in Irak, per fare piacere ai suoi alleati di estrema sinistra, «truppe di occupazione». Andiamo, professore, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che legittimano la presenza della forza multinazionale in Irak, la 1.511 e la 1.546, le ha votate persino la Siria e le ha accettate anche la Lega Araba! Ma a volte i primi della classe diventano presuntuosi e smettono di leggere i libri di testo, convinti di sapere già tutto. All’inizio del febbraio 2005, subito dopo lo storico voto iracheno che creava l’Assemblea costituzionale, Prodi se ne uscì con un comico «ora ci vuole una convocazione del Consiglio di sicurezza per un piano di rientro delle truppe» e un’altrettanto divertente invocazione dell’Onu «per un passaggio dei poteri, per un nuovo assetto politico del paese». Tutti questi punti erano già contenuti nelle due risoluzioni votate nell’ottobre 2003 e nel giugno 2004 dal Consiglio di sicurezza, che aveva recepito quanto concordato da americani e iracheni sin dal novembre 2003.
Altro caso di eccesso di zelo è quel passaggio dell’intervista al Mattino in cui Prodi inveisce contro Berlusconi accusandolo di aver fomentato gli eccessi di Calderoli. «È stato lui per primo a parlare di civiltà superiori», ha detto rievocando la dichiarazione di Berlusconi a Berlino nel 2001. In quell’occasione l’allora presidente della Commissione non aveva voluto far mancare la sua decisiva parola: «Siamo tutti uguali». D’accordo compiacere gli arabi bacchettando il Berlusca, ma voler far credere che l’orizzonte dei musulmani sia quello dell’uguaglianza, provoca ormai irrefrenabili pernacchie. Il Corano, «voi musulmani siete la migliore comunità mai suscitata fra gli uomini» (III, 110), l’abbiamo letto tutti, e una cosa come l’Organizzazione della Conferenza islamica (Oci), cioè un’associazione di stati su base strettamente confessionale, sono stati capaci di crearla solo i musulmani. Gli stessi che in grande maggioranza non hanno nemmeno voluto sottoscrivere la Dichiarazione universale dei diritti umani.
In realtà nemmeno per Romanone Prodi siamo veramente tutti uguali.
Quando, come presidente della Commissione europea, ha creato il Gruppo dei Saggi per il dialogo fra i popoli e le culture, si è preoccupato che nel suo seno fossero rappresentate tutte le identità: musulmani, ebrei, atei e agnostici.
Tutte, tranne una: dei diciotto saggi, nemmeno uno era cattolico.
di Casadei Rodolfo
Tempi num.10 del 02/03/2006