«IL PAESE È SPAESATO»
Ma un popolo c’è
Il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, apre i lavori del Consiglio Episcopale Permanente e il discorso disegna un’Italia «spaesata e in crisi morale», su cui si addensano molte ombre; appare sempre più lontano quel Paese ricco di una natura «d’incanto», della sua storia e della «fecondità delle sue radici cristiane, la fioritura delle sue tradizioni». Contro la dissoluzione dei valori mons. Bagnasco si appella alla «maggioranza silenziosa». E invita a ripartire dall’educazione…
1) «Il paese è spaesato» Ma un popolo c’è
2) Il rigore della Cei e i cattolici «adulterati»
«Il Paese è spaesato»
Ma un popolo c’è
di RENATO FARINA
La Chiesa suona le sue campane. Sono campane a martello. Ci sono i lupi, l’Italia è devastata. La gente deve stringersi a ciò che le è più caro: il bene che arriva dalla sua tradizione, il cristianesimo. Il disastro della situazione morale ha questo di buono: si capisce che il rimedio non può venire da «buone ideologie ma dalla bontà». Bella e nuova la formula usata dal presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco dinanzi ai trenta vescovi italiani del Consiglio permanente. Non ha detto una parola sull’Ici e sui presunti privilegi di oratori e parrocchie. Ha accusato lo Stato, ed implicitamente la classe politica, di aver lasciato che «il vincolo sociale sia sempre più friabile». Il fatto è che non riesce a stabilire un buon «legame con i cittadini». Perché i cittadini si sentono di appartenere a uno Stato quando esso è «promotore e garante del bene comune». Questo oggi non lo percepisce nessuno. «Il Paese è spaesato», dice Bagnasco e i vescovi assentono. «Il vuoto non si regge in piedi, l’Italia merita un amore più grande! Merita una responsabilità più grande!». Dopo aver gridato che la casa brucia, e bisogna rimediare, Bagnasco ha cambiato melodia, e ha fatto squillare la sua campana con qualche brivido di speranza. Per fortuna, ha detto, la fede in Italia dà ancora forma alle mente di una «maggioranza silenziosa». Da lì si può ripartire. Mentre dovunque, sui giornali e nelle sedi della politica, il dibattito sul grillismo è onnivoro, Bagnasco è l’unico leader di questo scalcinato Paese che ha il coraggio di non citare il comico, né per dirgli bravo né per prendere le distanze. Guarda la nostra realtà con una compassione senza rabbia. Anche lui, come il nuovo capopolo della piazza, ha residenza a Genova, una volta patria di cantautori ed oggi osservatorio sui mali e i beni della Penisola. Tra i due c’è una certa differenza di rango, come no? L’analisi è – come abbiamo visto – ugualmente dura sulla questione politica. Il successore di «don» Camillo Ruini rimprovera di non contrastare a sufficienza la criminalità. Di non fare abbastanza per la famiglia e specialmente per quelle monoreddito. Accusa l’assenza di un progetto per la casa, lasciando nell’abbandono le coppie che non hanno la possibilità di risolvere la questione della loro dimora. A questo proposito Bagnasco picchia un pugno anche sulla scrivania dei banchieri. Gli istituti di credito dovrebbero mettersi una mano sul cuore oltre che puntare al portafoglio dei clienti e ragionare in termini più equi riguardo a prestiti e mutui. Come rinascere però? La chiave di volta per costruire un edificio sociale più resistente alla disgregazione, Bagnasco la individua non in una rivolta ma «nella educazione». Il primo punto è «l’emergenza educativa». La dissoluzione morale non è una prerogativa soltanto dei politici. C’è «una crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento. Una disamina che non lascia margini ad illusioni, considerata la società in cui viviamo, afflitta da uno strano “odio di sé”, e considerata la cultura odierna che fa del relativismo il proprio credo, precludendosi in tal modo la possibilità di distinguere la verità e quindi di poterla perseguire». In questa incapacità a educare c’è la radice dei mali. Dice Bagnasco: «Come non leggere qui in filigrana le tante vicende di cronaca che hanno assediato la nostra estate, suscitando sgomento e sempre ulteriore allerta? Come non intravedere qui l’atteggiamento di resa che contrassegna tanta prassi sociale, in cui a prevalere sono il divismo, il divertimento spinto ad oltranza, i passatempi solo apparentemente innocui, il disimpegno nichilista e abbrutente la persona, giovane o adulta non importa, ché, tanto, verso il peggio le differenze si annullano?». La citazione è lunga ma permette di intravedere lo stile insieme antico e ratzingeriano di Bagnasco. Rispetto a Ruini c’è meno attenzione alla politica in senso stretto, e si preferisce indicare i criteri generali. Si risponde alle recenti polemiche culturali sull’impossibilità dei cattolici di essere buoni cittadini (ultimo l’intervento di Gustavo Zagrebelski) finché accettano il retaggio del Papa e della morale cattolica. Anzi, Bagnasco spiega che proprio di questa spinta cattolica, che allarga la ragione alle misure del trascendente, ha bisogno questo nostro tempo. Non ha paura di niente Bagnasco. Anche di aprire un forte contenzioso su aborto ed eutanasia. Si dirà che non c’è nulla di nuovo. Vero: la dottrina è quella. Ma l’annuncio è chiaro: sull’eutanasia il popolo e i politici cattolici sono chiamati a resistere e a dare forma ad un dissenso intelligente rispetto alla morale degli intellettuali. Dando voce alla «maggioranza silenziosa» che ancora adesso, sulla base di una saggezza che viene dai secoli, si appoggia ai «capisaldi della storia e della tradizione del nostro popolo». Interessante la difesa delle scuole professionali (un omaggio anche al salesiano cardinal segretario di Stato Bertone), e l’attacco a un mostro sacro del politicamente corretto, e cioè Amnesty International, che vorrebbe considerare l’aborto non sono plausibile, ma addirittura un diritto umano. Per chi ha nello statuto la difesa dei diritti umani è il colmo.
LIBERO 18 settembre 2007
Il rigore della Cei e i cattolici «adulterati»
di ALESSANDRO GNOCCHI e MARIO PALMARO
A volte, per comprendere meglio le situazioni, bisogna guardarle al contrario. È il caso della prolusione con cui monsignor Angelo Bagnasco ha aperto i lavori del Consiglio episcopale permanente sostenendo che i politici cattolici sono vincolati alla dottrina cattolica anche quando sono nell’esercizio delle loro funzioni e non solo quando conversano nel tinello di casa. È bastato questo per provocare il mugugno di coloro che hanno visto in tale passaggio l’ennesima entrata in tackle scivolato del successore di Ruini sui cattolici italiani in quota ai vari rami della sinistra.
Questa è la lettura che va per la maggiore. Ma proviamo ora a guardare la situazione al contrario. Il presidente dei vescovi italiani ha detto ciò che qualsiasi assennato sacerdote di santa romana Chiesa direbbe: «In nessun ambito, neppure in politica, si possono tralasciare – per opportunismo o convenzione, o altri motivi – le esigenze etiche intrinseche alla fede». In tal modo, ha fatto solo ciò che la sua missione gli chiede: ha affermato che il politico cattolico deve rendere operativi e fecondi i suoi principi per il bene delle anime e, in ogni caso, per il bene comune.
Dunque non è stato Bagnasco a entrare in tackle scivolato sulla politica. Il presidente della Cei, per continuare con il paragone calcistico, è stato fermo al centro della sua area ed è entrato pulito sul pallone. Sono i soliti politici con la coda cattolica di paglia che ora si tuffano per terra come dei pescioloni per invocare il sospirato rigore. Potrebbe toccare a chiunque, ma bisogna prendere atto che questa sorte tocca sempre ai cattolici di sinistra.
Espediente da calciatore con il fiato corto. Per uscir di metafora, alzata di scarso ingegno del politico pescato con le mani nel sacco dei voti cattolici trafugati a sinistra. Insomma, questo politico cattolico, essendo così «adulto» da diventare adulterato, non conosce neanche la regola più elementare del gioco: se dici di essere cattolico e poi non ti sei comportato di conseguenza, o hai mentito prima o hai mentito dopo. In ogni caso, sempre mentitore rimani ed è inutile che ti butti a pesce in area di rigore.
Una persona di buon senso, credente o non credente, non può rimproverare un vescovo che chiede alle pecore del suo gregge di non indossare il mantello da lupo. È una richiesta che risponde alla logica più elementare. Tanto che il vescovo non può tollerare che ciò sia fatto neanche a scopo strategico perché darebbe scandalo.
Una bella tegola su quei cattolici che pensavano di aver trovato la quadratura del cerchio con il costituendo Partito democratico: quella palude in cui, sotto la cappa veltroniana, tutto è uguale al contrario di tutto. Alla Festa dell’Unità di Bologna si è persino tentato di dire che Guareschi, con l’invenzione di don Camillo e di Peppone, avrebbe preconizzato il Pd: c’erano pure i figuranti del prete e del sindaco di Mondo piccolo che giravano tra il pubblico con tanto di sorriso stampato in faccia.
Ma erano figuranti. Perché il vero don Camillo, per il bene delle anime e il bene comune, avrebbe messo in pratica da par suo ciò che da sempre insegna la dottrina cattolica. E Peppone, che è un comunista serio, non si sarebbe nemmeno sognato di chiedere il rigore.
Il Giornale n. 220 del 2007-09-18 pagina 8