Il Consiglio di Stato ha deciso: il Crocifisso resti nelle aule

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«Il crocifisso non si tocca: ha valore civile» 
Il Consiglio di Stato respinge il ricorso di una finlandese che aveva chiesto di rimuoverlo dalla scuola media dei suoi figli ad Abano Terme

Il crocifisso può e deve restare nelle aule scolastiche perché è un simbolo educativo che incarna valori civili e laici di ogni persona, indipendentemente dalla religione che li ha ispirati. E se a qualcuno infastidisce la presenza nelle classi del Cristo in croce non si appelli più alla magistratura ma direttamente al legislatore. Solo le forze politiche potrebbero cambiare le regole. È questo il pensiero del Consiglio di Stato che ieri ha depositato un’importante sentenza, condivisa da otto italiani su dieci, contestata solo da minoranze, per lo più straniere. Ma il ricorso che è arrivato fino all’ultimo grado di giudizio amministrativo non è stato sollevato, come si potrebbe ipotizzare, da un musulmano, bensì da una cittadina finlandese che aveva chiesto la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme. Una richiesta rinviata al mittente con una motivazione articolata ma lineare che si spera metta fine all’annosa querelle che ciclicamente rispunta nelle aule di giustizia su «crocifisso sì, crocifisso no».
La premessa dei giudici supremi è categorica. Il Crocifisso non è «suppellettile» ma neppure un «oggetto di arredo» o un «oggetto di culto». È piuttosto «un simbolo che esprime in modo adeguato l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà di autonomia della sua coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione che connotano la civiltà italiana». Tutti valori dunque «che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano» e che «emergono dalla Carta Costituzionale» e «dalle norme richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato».
I giudici smontano anche le obiezioni di chi potrebbe sostenere la forte simbologia religiosa del crocifisso. «È vero – ammette la corte – che questi valori hanno origine religiosa. Ma vanno vissuti nella società civile in modo autonomo e possono essere laicamente sanciti per tutti,  indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati». Non è finita. Il Consiglio di Stato lancia un messaggio chiaro agli Adel Smith di turno che continueranno a sentirsi discriminati: «La pretesa che lo Stato si astenga dal presentare e propugnare in un luogo educativo, attraverso un simbolo, i valori certamente laici, può – semmai – essere sostenuta nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate, ma non in quella giurisdizionale».
Il consiglio di Stato chiude dunque la questione sollevata in un aula giudiziaria nel 2003 dal presidente dell’Unione Musulmani d’Italia, Adel Smith che aveva fatto ricorso al Tribunale dell’Aquila per far rimuovere il crocifisso esposto nelle aule della scuola materna ed elementare di Ofena, in provincia dell’Aquila, frequentata dai suoi figli. Il suo ricorso viene accolto in via cautelare dal giudice aquilano Mario Montanaro che decide di togliere i crocifissi dalle aule. Ma il Tribunale dell’Aquila sospende l’ordine di rimozione del giudice Montanaro e il crocifisso torna sul suo muro. La questione però rimane aperta e la competenza della materia passa ai giudici amministrativi. Che ieri hanno detto la loro ultima parola. Tra il sollievo di molte forze politiche. Compatto il blocco centrista: per Rocco Buttiglione, «il crocifisso è un simbolo culturale che ha una valenza civile e non solo un significato religioso», mentre per il capogruppo dell’Udc, Luca Volontè, la sentenza «smonta tutto il maleducato can-can di questi anni». Il ministro per le Riforme, Roberto Calderoli aggiunge: «La sentenza rappresenta la vittoria del buon senso e dei nostri valori che, oltre che cristiani, sono valori di civiltà». Soddisfazione anche da Alleanza nazionale. Per Maurizio Gasparri, «in un momento in cui i valori fondamentali della cristianità e tratti dell’identità nazionale vengono messi in discussione da movimenti fondamentalisti, questa sentenza assume un significato morale essenziale». Nettamente contrario Enrico Borselli della Rosa nel Pugno e il solito Adel Smith: «In questo modo i cittadini non cattolici sono discriminati. È un fatto gravissimo». 


di Enza Cusmai
Il Giornale n. 39 del 16-02-06