Cl, Bersani, Famiglia cristiana, Socci e Amicone…
UN INTERESSANTE MEZZOGIORNO DI FUOCO
La polemica scoppia in seguito ad un articolo di Antonio Socci pubblicato su Libero, che prende spunto dalla simpatia esistente tra Cl e il ministro cattocomunista Bersani e da un’esilarante intervista da lui concessa a Famiglia cristiana… Luigi Amicone di Tempi replica fraternamente duro… Vale la pena di approfondire, se non altro per vivacizzare l’estate.
– Ma che c’entra Bersani con don Giussani? di A. Socci
– «Cl ostaggio della Cdo. Bersani ne è la prova» di A. Socci
– Chi ha titolo per parlare di Cl di L. Amicone
– L’esilarante intervista di Famiglia cristiana al ministro Bersani
MA CHE C’ENTRA BERSANI CON DON GIUSSANI ?
di Antonio Socci
Se tutto il Meeting diventa una passerella non c’è più una proposta cristiana chiara e originale, ma solo una sfilata di idee equivalenti… Oltretutto il ministro Ds l’ha sparata grossa sul pelagianesimo: l’esatto contrario di ciò che dissero a Rimini Ratzinger e Giussani.
Dopo aver dichiarato guerra a tassisti, avvocati e farmacisti il ministro Bersani è stato invitato ad assestare una sberla pazzesca anche alla teologia. Anzi due: la prima alla storia dottrinale della Chiesa (con un’esilarante intervista a Famiglia Cristiana), la seconda al pensiero di don Giussani che il ministro è stato chiamato ad “illustrare” al Meeting di Rimini.
E’ anche per questo (ma non solo) che io ho disdetto. Lo dico, scusandomi del fatto personale, per premettere che non ho nulla contro il Meeting in sé, uno splendido evento. Ero stato invitato a Rimini (e ringrazio) a presentare il mio ultimo libro, “Il genocidio censurato”. Ero già in programma per domenica 20 agosto alle 15. Ma ho detto no. Non mi interessa la promozione. Non condivido ciò che il Meeting sta diventando.
Capisco – anche se non condivido – la necessità di far fare passerella a ministri, sottosegretari, politici vari (di tutti gli schieramenti), pure nani e ballerine, ma per questo ci sono già decine di incontri in quella settimana di fine agosto. La Fiera di Rimini rischia già per sei giorni di essere la fiera delle vanità. Ma almeno il settimo è il giorno del Signore. C’è sempre stato un momento “clou” che esprimeva il cuore dell’esperienza di Comunione e Liberazione da cui nasce il Meeting, il momento in cui l’annuncio di Gesù Cristo era limpido e affascinante: coincideva di solito con la presentazione del nuovo libro di don Giussani. E’ infatti all’inconfondibile accento di Giussani, alla sua capacità di comunicare il senso della vita e di rendere presente Gesù Cristo, che migliaia di giovani (e non giovani) che vanno al Meeting sono più interessati.
Ebbene quest’anno a presentare il libro di don Giussani (l’ultimo: “Dall’utopia alla presenza”) è stato chiamato il ministro diessino per lo sviluppo economico Pierluigi Bersani. Avrei capito se si fosse chiamato Bersani a discutere di politica economica, dove già sta facendo i suoi danni (avendo dichiarato guerra al ceto medio) e dove ha preso lucciole per lanterne alimentando per tutta la campagna elettorale la storiella propagandistica del “declino” e del latte che manca alle famiglie italiane nella quarta settimana. Magari su queste sue trovate poteva essere messo a confronto con Tremonti (che invece parlerà a Rimini il giorno prima). Ma chiamare Bersani a illustrare il pensiero di Giussani è qualcosa di peggio di un’assurdità: mi pare una barzelletta, neanche molto rispettosa di Giussani. E’ come chiamare Mastella a fare una lezione in tedesco su Hegel. O chiedere a Di Pietro una conferenza sulla poesia persiana medievale. O ingaggiare Emilio Fede per un corso sulla mistica di Teresa d’Avila o sulla meditazione del “sangue” in Caterina da Siena. Per carità, tutto è possibile, ma come antico frequentatore del Meeting (dalla prima edizione) mi pare che non tutto sia accettabile.
Don Giussani non è stato solo il padre di un’intera generazione (e di altre che verranno), ma è stato uno dei più geniali pensatori cristiani della modernità. Lo stesso Joseph Ratzinger – che pure è un grande – si è detto più volte suo debitore. Ebbene, far presentare il pensiero di Giussani dal ministro Bersani potrà essere buono per la Compagnia delle opere (il cui nesso con CL continua ad essere a me del tutto incomprensibile), ma non mi pare che esprima una grande considerazione per le migliaia di giovani che vanno al Meeting e che non sono affatto “truppe cammellate”, come spesso vorrebbe la stampa, ma persone molto consapevoli, intelligenti ed esigenti.
Non che l’essere (stati) comunisti e l’occuparsi di economia – di per sé – impedisca di dire cose intelligenti, anche in fatto di fede e di avere domande autentiche sulla vita. Per esempio il Claudio Napoleoni di “Cercate ancora” – che s’interroga drammaticamente su Gesù, sulla salvezza dell’umano e sull’Eucaristia – sarebbe stato molto interessante da ascoltare. Ma Bersani non è Napoleoni. E se qualcuno avesse avuto qualche dubbio sulla sua adeguatezza ci ha pensato lui stesso a esporre i suoi titoli con un’intervista appena uscita a “Famiglia cristiana”. Sarebbe il suo biglietto di presentazione per il Meeting. Il Bersani “gigante della teologia” viene fuori in tutte le sue dimensioni. Il ministro esordisce rivelando che in casa sua si leggeva “Famiglia cristiana”. I maligni potrebbero concluderne: allora si capisce perché da giovane aderì ad Avanguardia operaia e poi è diventato un burocrate del Pci emiliano. Ma a parte le facili ironie, il ministro racconta di aver fatto una delle più grande scoperte della storia dell’umanità, una geniale trovata “che non vedo ancora smentita”. Eccola: “il pensiero politico occidentale, che è il più avanzato del mondo, è figlio diretto del pensiero teologico”. Questa – sottolinea Bersani – è “una mia idea della politica”. Come commentare? Sarebbe come se Bersani ci avesse appena rivelato di aver scoperto un continente di là dall’Atlantico e averlo chiamato “America”. Rivendicando gelosamente la paternità dell’idea. Viene da sorridere e da dargli un’amichevole pacca sulla spalla (evidentemente il ministro ha poca dimestichezza pure con Marx e con le sue origini filosofiche hegeliane). Poi il ministro spiega che da questa “sua” idea scaturì la decisione di fare la tesi, per la laurea in filosofia, su san Gregorio Magno. E qui Bersani si avventura in una disastrosa selva di gaffe e di assurdità che, ritengo, avrebbe provocato in Giussani qualche divertita battuta. Il ministro esordisce affermando che “nei primi secoli dopo Cristo il pensiero cristiano viveva due estremi, quello agostiniano e quello pelagiano”. Poi Bersani spiega che, in sostanza, da S. Agostino viene l’assolutismo e da Pelagio l’ “idea di democrazia”. Già qui siamo alle barzellette, ma il nostro va avanti. San Gregorio risolse il conflitto, a sentire Bersani, dando ragione in sede teorica ad Agostino, ma in pratica fondando “una Chiesa il cui messaggio doveva essere fondamentalmente pelagiano, perché se il parroco non può neanche dire che bisogna fare i bravi in quanto Dio ha già fatto tutto per conto suo, cosa ci sta a fare?”
E’ difficile mettere in fila una tale quantità di castronerie. Bersani fa di Agostino un eretico e di Pelagio un padre della Chiesa. E’ vero esattamente il contrario: Agostino è il Padre della Chiesa e Pelagio è l’eretico condannato ripetutamente da Roma. Ma il punto importante è un altro. Capisco che a quest’apologia di Pelagio l’intervistatore di Famiglia cristiana non abbia ritenuto di obiettare. Ma il “pelagianesimo”, come degenerazione moralista e volontarista del cristianesimo, è il grave pericolo contro cui si è battuta per anni CL, con “Il Sabato” e “30 Giorni”, il rischio contro cui don Giussani ha sempre ammonito: “il pelagianesimo è l’eresia propria del tempo di oggi”, è l’opposto del cristianesimo spiega in “Dal temperamento un metodo”.
Su questa battaglia CL fu allora affiancata da un grande uomo di Chiesa: Joseph Ratzinger. Che all’unisono con Giussani affermò: “Questa modalità moralistica di attualizzazione dell’Antico Testamento finisce necessariamente in un fallimento; in questo punto preciso stava già l’errore di Pelagio, il quale ha oggi molti più seguaci di quanto non sembri a prima vista”. Ratzinger fece questa accorata denuncia il 1 settembre 1990 parlando, guarda caso, al Meeting (sedici anni fa). E quello di oggi?
Sostituire Giussani e Ratzinger con il Bersani-pensiero? No, grazie.
“Libero” del 10 agosto 2006
«Cl ostaggio della Cdo. Bersani ne è la prova»
Socci risponde a uno dei capi della Compagnia delle opere: quella di invitare il diessino è una scelta solo politica
di Antonio Socci
Ieri il Corriere della sera ha fatto un suo referendum: se avevo ragione o no a lamentare, su Libero di giovedì, la sostituzione di Luigi Giussani con “Pelagio” Bersani al Meeting ciellino di fine agosto. Ma la questione è molto più grande di Bersani er tassinaro e del Meeting. Riguarda il mondo cattolico tout court. Mi spiego. Giorgio Vittadini, per giustificare l’ “incoronazione” di Bersani, fa un ragionamento storico-esistenziale. Ma lui sa bene che questa è la prima volta che il Meeting affida a un ministro (in carica) l’evento clou, la presentazione del libro di Giussani. Non c’entra niente la storia degli anni Settanta (altrimenti potevano invitare, che so, Toni Negri): Bersani a quel tempo non era nessuno. Si è chiaramente fatta una scelta politica: il ministro. Scelta che sia chiaro – avrei criticato anche se, nel precedente quinquennio, si fosse chiamato un ministro del governo di centrodestra, un Marzano o uno Schifani, a presentare Giussani (ma a quel tempo non è accaduto, forse perché in Forza Italia ci sono già i politici ciellini a tenere la posizione: oggi c’è bisogno di cercare amici fra i Ds). L’economia della salvezza Dal programma del Meeting e anche dalle ultime edizioni la sensazione triste è che la Compagnia delle opere (associazione di imprese che sente l’impellente necessità di avere “buoni rapporti” con chi ha il potere) abbia sostanzialmente fagocitato Cl. In tacito accordo con i politici ciellini (non a caso il forzista Lupi vuole che Bersani evangelizzi a Rimini le pecorelle del Signore: con Lupi a guardia del gregge stiamo a posto). Già l’anno scorso ebbero la geniale idea di far presentare il libro di Giussani sull’educazione al banchiere Profumo (forse si pensò che emanasse odore di santità: fu una noia mortale). Non è un caso se da qualche anno a Rimini prevalgono gli incontri su temi economici (anche quest’anno l’argomento più trattato) e se ormai gli economisti tracimano pure sui libri di Giussani. È la nuova “economia della salvezza”. Segno che la Cdo, appunto, sta fagocitando Cl e il Meeting non ha più una sua proposta e un’identità, ma rischia di essere solo una passerella di notabili, una kamasutra di posizioni diverse ed equivalenti, a volte un piccolo marchettificio. Se perfino l’evento che dovrebbe riproporre l’accento di don Giussani, la sua intuizione della vita e la sua proposta cristiana, viene appaltato a un ministro, un uomo di potere, per una passerella di lusso, temo che sia difficile reperire la proposta del Meeting. Dove può cercarla lo splendido popolo che va a Rimini? Nelle castronerie che sparerà Bersani? «Non è questione di essere teologi o politici», ribatte Vittadini in sua difesa. Sì, ma c’è un limite. Se davvero, come dice Emma Neri, va bene chiunque perché non chiamano un comico come il Mago Forest a spiegarci Giussani? Il ministro diessino è peggio. Si presenta al Meeting addirittura con una fresca invettiva contro S. Agostino (e l’ortodossia cattolica) e una risibile apologia di un eretico, Pelagio (il tutto su Famiglia cristiana). Bersani è andato a esaltare come suo ispiratore politico proprio Pelagio, cioè il fondatore di quell’eresia contro cui per anni ci misero in guardia sia Giussani che Ratzinger. Peggio di così se mòre, è quasi un affronto alla memoria di don Gius e al magistero dell’attuale Papa. Allora tanto valeva chiamare Pannella (ma Pannella non conta granché nel governo…). Come tanti ciellini io avrei preferito sentire, al posto di Bersani, Julian Carron, ma il successore di Giussani al Meeting non c’è. C’è il ministro Pelagio Bersani a spiegarci don Gius. Vi sembra normale? Dei contenuti agli organizzatori non cale? Evidentemente no, interessa l’operazione politica e chi se ne frega di Pelagio. Non mi sorprendo. Il rinnegamento delle più famose battaglie di Cl era già cominciato. Nell’ultimo volume della storia di Comunione e Liberazione, Il riconoscimento, si liquida proprio l’epoca in cui è stata più forte l’incidenza culturale di Cl: gli anni del settimanale Il Sabato. Questa storia ufficiale gli spara addosso: «le aspre discussioni per le analisi sul cosiddetto “mondo cattolico”, le famose “guerre di religione” intorno ai temi della gnosi, del pelagianesimo, della riduzione del Cristianesimo a morale, testimoniano sì la vitalità del Sabato ma tendono a isolare Cl, anche nella Chiesa». Si dà il caso che proprio su queste battaglie (compresa quella sulla storicità dei Vangeli) Il Sabato e Cl, pur fra mille errori, si siano trovati accanto personalità come Joseph Ratzinger che hanno riconosciuto loro il bel contributo dato alla vita della Chiesa (altro che isolamento). Contributo che oggi manca drammaticamente. Inoltre queste battaglie sono state citate ed esaltate decine di volte, come grandi ed esemplari, da don Giussani nei suoi libri di quegli anni (la collana dei Tischreden). Ricostruendo così la storia di Cl si rischia di accusare anche don Giussani di aver isolato Cl nella Chiesa, mentre è vero il contrario. Quel volume aggiunge pure che Il Sabato di quegli anni era «destinato a soffrire della sindrome del Mp, a sovrapporsi al movimento, a togliergli spazio (e per qualche tempo anche il Meeting di Rimini rischia di rimanere nell’ombra delle polemiche)». In pratica, in questa storia ufficiale di Cl, si insinua che allora don Giussani si sia fatto sfilare di mano la guida di Cl da quelli del Sabato. Oltreché poco rispettoso di Giussani è anche un giudizio ridicolo. Semmai oggi la Compagnia delle opere si sta sovrapponendo a Cl e le toglie spazio: questo Meeting lo dimostra. Mentre negli anni Ottanta-Novanta la proposta cristiana di Cl e la sua incidenza culturale erano così forti da rappresentare un grande punto di riferimento anche per la Chiesa (Ratzinger docet). Oggi è tutto evanescente. Pelagio Bersani cancella Giussani. Tra ultra-americanismo e pragmatismo disinvolto. Il venir meno di quella chiarezza di giudizio e di quell’originalità, centrata sull’amore a Cristo, «da anteporre a tutto», oggi fa sbandare gran parte della leadership ciellina fra due posizioni opposte ed estreme: da una parte l’ultra-americanismo della rivista Tempi che si sente in guerra e ritiene che l’alternativa della vita sia fra la Cia e Bin Laden (non più fra Cristo e Satana). Questa parte sente Giuliano Ferrara come l’ispiratore da seguire (dimenticando gli strali di Giussani contro l’Action Francaise di Maurras). Dall’altra c’è il pragmatismo disinvolto della Compagnia delle opere che, in nome del fare impresa, va a nozze con i nemici di sinistra. Il bello è che a Rimini le due ali, apparentemente contrapposte, convivono tranquillamente (l’utopia occidentalista e l’ammiccamento imprenditoriale a sinistra). Convivono pure nelle stesse persone. Si sbandiera l’utopia atlantista più apocalittica (che arriva a predicare una guerra dove quasi si può usare pure l’illegalità), ma anche il Papa che dice l’esatto opposto. Si spara a zero sull’Italia de sinistra che non vuol combattere la quarta guerra mondiale, ma poi al Meeting la si porta in trionfo (incluso l’Andreotti filoarabo). Non è schizofrenia? Ciò che manca è una presenza originale, una chiara proposta cristiana, non determinata da ideologie esterne o da progetti economici, politici o sociali. Manca a tutti noi (e anche alla Chiesa, specialmente in Italia) l’accento di Giussani. Che amava ripetere, pensando a Cristo, le parole di Moeller: «Io credo che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare».
“Libero” del 12 agosto 2006
Chi ha titolo per parlare di Cl
di Luigi Amicone
A sentire Antonio Socci il movimento fondato da don Giussani starebbe peggio dell’Olp dopo la morte di Arafat. La sua dirigenza sarebbe eretica e corrotta. Il suo popolo rispettabile ma in declino. Socci è un «ex». Tre anni fa annunciò la sua fuoriuscita da Cl con una intervista al Foglio. Lo scorso anno andò al Meeting (non invitato) – dichiarò polemicamente – «per vedere che razza di gente frequentano i miei figli». Quest’anno che l’hanno invitato non ci va. Non solo. Da tre giorni si è calato nei panni del Grande Inquisitore. E bombarda Cl con articolesse che stanno facendo impazzire i lettori di Libero. Insomma, la notizia è questa: per il terzo anno consecutivo, quando si arriva nei pressi del Meeting il mio «ex» amico pasdaran lancia la sua fatwa contro la leadership di Comunione e liberazione e, come si diceva una volta, «minaccia di fare esplodere le contraddizioni in seno al movimento».
La novità del 2006? Per l’«Excalibur» che tre anni fa annunciò al Foglio la sua fuoriuscita dalla Fraternità di Cl (e poi pure dal Foglio), quest’ultima edizione del Meeting sarebbe l’ennesima conferma di una leadership allo sbando. Malata di «schizofrenia» e di «opportunismo politico». Vent’anni fa Cl aveva «una proposta cristiana e la sua incidenza culturale erano così forti», eccetera. «Oggi è tutto evanescente». Colpa di chi? Quasi quasi del Giornale. Infatti, da cosa sarebbe causato «il venir meno di quella chiarezza di giudizio e di quell’originalità, centrata sull’amore a Cristo»? Ma certo, dallo sbandamento di «gran parte della leadership ciellina» che oscilla tra «l’ultramericanismo della rivista Tempi» (distribuita con Il Giornale) e «il pragmatismo disinvolto della Compagnia delle Opere» (Raffele Vignali e Giorgio Vittadini scrivono anche per Il Giornale). E quale sarebbe, nei ragionamenti di Socci, la prova del reato di lesa maestà del pensiero di don Giussani (e pure del suo erede don Carron) da parte della turpe dirigenza del Meeting? Nel fatto che il Meeting ha invitato il ministro Bersani a leggere un libro di don Giussani e a discuterlo a Rimini con il leader laico di Cl Giancarlo Cesana. Dove sta lo scandalo? Ah, ma «è l’incontro clou». E allora? È qui che Socci sembra prendere sul serio una famosa barzelletta che girava qualche anno fa (e che forse gira ancora) in qualche asilino di Cl. Quella dei coccodrilli e del Sabato (il settimanale di ispirazione ciellina che chiuse i battenti nel 1993). «Come i coccodrilli non volano (però un pochino sì, se lo dice Giussani), così da quando non c’è più Il Sabato la storia di Cl non è finita (però un pochino sì, se lo dice Tantardini)».
E così adesso Socci scommette che Cl si sposterà sui Ds perché Bersani parla di Giussani. Però due giorni prima, al Meeting, parla pure Berlusconi. Come la mettiamo? E poi, quel poco di memoria che mi rimane mi dice che per la prima volta nella recente campagna elettorale la Cdo si è schierata apertamente con la Cdl. Ma un’organizzazione che associa non so quante decine di migliaia di imprese profit e non profit, avrà o non avrà il diritto (e direi anche il dovere) di parlare con chi vuole e, possibilmente, farsi sentire da chi sta al governo? Ma in che mondo vive Socci? Libero. Vabbè. Ma proprio «libero»? Chissà. Evidentemente il mio «ex» non riceve stipendi da nessuno e non ha mai trattato e fatto compromessi con alcuno. Nemmeno in Rai. Il fatto è, caro Socci, che Cl non è la Chiesa avventista del settimo o del trentacinquesimo giorno. Non è una setta in cui è obbligatorio avere in tasca tutti lo stesso giornale e nella testa tutti le stesse opinioni. Su Bersani, su Bush e, pensa un po’, anche su Bin Laden, c’è libertà di azione e di pensiero.
Senti Antonio, ti voglio dire una cosa apertamente, qui, sul Giornale in cui hai scritto per tanti anni. Smettila di recitare una parte. E poi, scusa, ti voglio anche provocare. Anzi. Scusa niente. Voglio vedere se hai davvero le palle. E allora ti faccio una proposta. Qui su due piedi. E la proposta è questa. Siccome non è per niente vero che tu sei più filoamericano, bigotto, clericale, madonnaro, estremista matto come un cavallo del direttore di Tempi, perché non ci vediamo al Meeting così la facciamo fuori? Ti sfido a un bel duello rusticano davanti a tutto il popolo. Non ho parlato con nessuno del Meeting. Quindi non so se siano disposti a darci uno spazio dove darcele di santa ragione. Però anche se il Meeting non ci sta, possiamo sempre vedercela sulle colline di Rimini. Magari alla discoteca Paradiso (so che ultimamente ti piace il pensiero mistico) sulle colline di Covignano. Perché, vedi poi come è strana la vita. A te ti hanno invitato al Meeting – e scusa la sgrammaticatura ma quando ci vuole ci vuole – a me, che secondo te sarei uno dei poterazzi forti là dentro (uno degli artefici della deriva «utopica occidentalista») non mi si è filato nessuno. Insomma, Antonio, vuoi smetterla di ragionare come Ahmadinejad e venire a bere con me una birra a Riccione?
Il Giornale n. 191 del 13-08-06 pagina 10
L’Intervista
LE CONFESSIONI DEL MINISTRO PIERLUIGI BERSANI,
REDUCE DALLE BATTAGLIE SULLE LIBERALIZZAZIONI
IL SANTO E IL CANTONIERE
È amato a Destra e a Sinistra, in questa intervista svela il suo particolare modo di stare sul “confine”, già da quando organizzò uno sciopero dei chierichetti…
Pierluigi Bersani, il ministro che ha movimentato l’estate di tassisti, avvocati e farmacisti, e ne promette di belle anche per l’autunno, ha la fama di essere figlio di leggende ben riuscite, san Gregorio Magno compreso, nonché il mitico Bergonzi, cantoniere piacentino. È amato a Destra e a Sinistra, almeno quanto il suo gemello, l’ecumenico Walter Veltroni; piace a operai e industriali senza essere piacione, perché poi, quando mena, come si è visto, le dà di santa ragione, sempre che sia convinto di farlo per qualche motivo che interessi qualcuno in più di sé stesso. I blog, fogli-appunti su Internet sui quali ognuno scrive quel che crede, dicono pure che Bersani è “emiliano di confine”, oppure “un emiliano che ha superato la prova dell’immigrazione”, che non è esattamente né un luogo fisico né un avverbio di moto a luogo: «Essere sul confine emiliano, autostrada per Milano, consente di esserci ma non starci: vivere l’esperienza emiliana senza considerarla però l’alfa e l’omega», precisa il ministro in questa conversazione con Famiglia Cristiana; «ma l’essere un emigrato ben riuscito è solo frutto di una singolare casualità. Da presidente della Regione mi sono affacciato al Governo nazionale nel momento in cui cadeva il muro di Berlino. Per la prima volta c’erano le condizioni per cui un amministratore emiliano potesse fare il governante nazionale. La mia prima dichiarazione da ministro fu proprio: in questo momento sto pensando a generazioni di splendidi amministratori emiliani che non hanno potuto portare un contributo al Paese, perché i comunisti arrivavano fino a quella soglia di governo regionale e mai oltre».
Ma quello era il tempo delle ideologie…
«Era il tempo nel quale si traducevano i valori in visioni del mondo, in grandi promesse, mondi nuovi. Ora bisogna tradurre i valori in fatti, ciò richiede anche un certo apprendistato, il confronto con tutti i settori vitali della società».
Emigrato riuscito, emiliano di confine, metafora di contaminazione fra diverse culture. Lei ha fama di essere un grande pragmatico, ma si è laureato in Filosofia con tesi su “Grazia e autonomia umana nella prospettiva ecclesiologica di san Gregorio Magno” e per di più si è dilettato in studi teologici post-laurea, e magari è stato persino un tantinello comunista, quasi come Veltroni…
«Sono nato in una famiglia cattolica dove Famiglia Cristiana non è mai mancata, in un paesino bianco dell’Emilia rossa, la parrocchia, il coro della chiesa e anche il chierichetto, anche se debbo dire che in quella veste qualcosa del futuro politico di sinistra si vide, perché organizzai lo sciopero dei chierichetti. La tesi su san Gregorio Magno nacque da una mia idea della politica che non vedo ancora smentita: il pensiero politico occidentale, che è il più avanzato del mondo, è figlio diretto del pensiero teologico. Quella tesi nasceva da una curiosità: il pensiero cristiano nei primi secoli dopo Cristo viveva due estremi, quello agostiniano e quello pelagiano. Il primo diceva che il bene è bene perché lo vuole Dio, si tratta solo di obbedire. Una perfetta metafora del concetto assolutistico: la legge è quella che vuole il re. Il pensiero pelagiano diceva invece che Dio è buono perché vuole il bene, laddove il bene è condiviso con l’uomo. Questa affermazione porta a conferire un ruolo all’uomo e, attraverso vari passaggi, a un’idea della democrazia. San Gregorio, da seguace di Agostino, era nel dramma di pensare che tutto era predestinato e nel contempo nella necessità di fondare una Chiesa il cui messaggio doveva essere fondamentalmente pelagiano, perché se il parroco non può neanche dire che bisogna fare i bravi in quanto Dio ha già fatto tutto per conto suo, cosa ci sta a fare? San Gregorio fu grande perché risolse il dilemma nell’ecclesiologia: Agostino ha ragione, ma siccome bisogna salvare il maggior numero di persone, io debbo strutturare la Chiesa e portarci dentro più gente che posso. San Gregorio fondò la Chiesa così, parlando ai frati di sant’Agostino e alla gente come un vecchio parroco di campagna. Un altro grande per me è papa Giovanni, un Papa che riesce nello stesso momento a fare un discorso toccante alla folla e a creare il primo cardinale nero; va a Regina Coeli a raccontare ai carcerati di come avesse paura pure lui ogni volta che vedeva un carabiniere e nello stesso tempo indice un Concilio. Uno che riesce a cambiare le cose con un volto amichevole».
Insomma, san Gregorio le ha insegnato a parlare agli operai ma anche agli industriali, a essere di Sinistra ma essere amato anche da Destra, e a essere persino un poco furbo…
«Io dico che è un imperativo etico spiegare a tutti in modo semplice, come faceva san Gregorio, ascoltare tutti con attenzione e rispetto, e in definitiva concludere qualcosa di utile. Aggiungo però che, al dunque, è chiaro che fra l’imprenditore e l’operaio io sto dalla parte dell’operaio, il quale sa che è importante avere dirigenti credibili anche nel mondo imprenditoriale».
E in tutto questo polverone di avvocati che scioperano, tassisti che urlano e farmacisti che strepitano?
«Sto dalla parte del cittadino consumatore, che annovera fra gli altri anche l’avvocato, il tassista, il farmacista».
Come è diventato comunista?
«In parrocchia, perché si discuteva, si partecipava, si ragionava sulle cose giuste e quelle ingiuste. Poi all’università ho incontrato i movimenti, soprattutto “Avanguardia operaia”, che nasceva dal filone di sinistra antistalinista. Non sono stato mai tanto parente del socialismo reale. La mia fu la prima generazione comunista che veniva dagli studi, ma i vecchi del partito, senza star lì a spaccare il capello in quattro, decisero di buttarci dentro le amministrazioni: mi sono fatto il Comune, la comunità montana, i comprensori, la Provincia, la Regione».
Quale esperienza le è servita di più?
«La comunità montana, dove il vicepresidente era un socialdemocratico che faceva il cantoniere, si chiama Bergonzi, e ho imparato più da lui che da tanti altri. E così, spesso, quando mi dicono: ma come fai?, io replico sempre: voi mica l’avete conosciuto il Bergonzi!».
E cosa ha pensato quando nel ’96 è diventato ministro?
«Che quando parlavo in Consiglio dei ministri mi ascoltavano persino personaggi come Andreatta e Ciampi. Quei primi anni di governo dell’Ulivo furono un’esperienza straordinaria».
E che cosa le dice san Gregorio di questo Governo?
«Che se vogliamo andare avanti dobbiamo pedalare forte, lanciare sfide alte pensando al Paese, non alla bottega».
di Guglielmo Nardocci
Famiglia Cristiana n. 32 del 6 agosto 2006