Azerbaijan, una cresima attesa 70 anni

La testimonianza del nunzio apostolico, Claudio Gugerotti:


“Dopo Stalin i cattolici hanno conservato il loro credo ma senza poterlo professare. Segno di una Chiesa che vive anche oltre le strutture”



Dopo la fine del comunismo molti anziani nel Paese dell’ex Unione Sovietica riscoprono i sacramenti negati dal regime



Lorenzo Fazzini


Avvenire 18 maggio 2005

Nelle parrocchie italiane le domeniche di maggio e il periodo della Pentecoste sono caratterizzati dalla celebrazione delle cresime. Ebbene: vi è un Paese – l’Azerbaijan – dove un vescovo ha amministrato il sacramento della Confermazione non ai soliti adolescenti, ma ad un gruppo di anziani. Che aspettavano questo sacramento da 70 anni. “Quando nelle scorse settimane mi sono recato a Baku per le cresime – racconta dall’Azerbaijan monsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico nell’ex repubblica sovietica – sono rimasto sbigottito nel constatare che la maggior parte dei cresimandi fossero persone anziane”. La Cresima a donne e uomini di 80 anni: il motivo di questa straordinarietà lo spiega lo stesso nunzio. “All’inizio del ‘900 – dice Gugerotti – nella capitale azera vi era una fiorente comunità cattolica, composta di immigrati polacchi, tedeschi, russi, che avevano costruito una bellissima chiesa neogotica. Stalin negli anni ’30 fece uccidere l’unico prete e demolire la chiesa. Da allora i cattolici entrarono in clandestinità”. Per i fedeli azeri questo significò rinunciare ad usare il proprio nome di battesimo, non poter ricevere il Battesimo e la Cresima. Per alcuni sacramenti preziosa fu la disponibilità della Chiesa ortodossa, verso la quale lo stesso Giovanni Paolo II dimostrò profonda riconoscenza quando visitò l’Azerbaijan nel 2002. “Molti non poterono neppure essere battezzati – annota il nunzio – tanto che hanno aspettato fino ad oggi per poter ricevere il Battesimo”. La ritrovata libertà ha permesso ai cattolici azeri di ricostituire pian piano la loro comunità sotto la guida di quattro salesiani slovacchi. E poter ricevere, quasi alla fine della vita, il tanto agognato dono dello Spirito Santo nel sacramento della Confermazione: “È stata un’emozione indescrivibile – racconta commosso monsignor Gugerotti – vedere queste anziane donne con il velo tradizionale in testa e questi rugosi vecchi farsi avanti e ridire il proprio nome di battesimo – Teresa, Anselmo, Francesco – dopo decenni che ne usavano altri di estrazione azera, e così chiedere la cresima”. Quest’anno Gugerotti ha battezzato e cresimato 22 azeri, dei quali 15 anziani: “Si leggeva sui loro volti le parole del vecchio Simeone: “Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace”. Uomini e donne che per 70 anni sono rimasti saldi nella fede aspettando un prete per i sacramenti; persone che hanno coltivato nel proprio cuore la vera “Tradizione” e l’attaccamento alla Chiesa”. Tanto che non hanno esitato a dire al rappresentante del Papa che li ha battezzati e cresimati: “Anche negli anni bui della persecuzione eravamo sicuri che non ci avreste abbandonato e che sareste tornati per noi”. Gugerotti riflette ad alta voce su ciò che questa singolare esperienza gli ha trasmesso: “Primo, la certezza che è lo Spirito Santo che tiene viva la Chiesa anche quando le strutture ecclesiali non ci sono più. Vedere la fedeltà di quella gente è stato per me come toccare con mano lo Spirito. E poi una scossa per la nostra fede”. Ovvero? “Quando vengo in Italia – dice – e amministro il sacramento della Confermazione racconto questo episodio agli adolescenti cresimandi. Perché si rendano conto che quello che ricevono in modo spesso un po’ scontato e superficiale, in altri posti è stato atteso con fede, in mezzo a grandi sofferenze, per oltre 70 anni”.



 


Singolare dono dall’Azerbaijan



Luigi Geninazzi


Avvenire 18 maggio 2005



Ci sono delle piccole notizie che spalancano ad una speranza molto più grande. In tante parti del mondo, in questi giorni di Pentecoste, si amministra il sacramento della cresima ma la notizia, raccolta dal nostro giornale, è lo stupore del vescovo recatosi a Baku, nella Repubblica ex sovietica dell’Azerbaijan, per presiedere il rito. Il nunzio apostolico per il Caucaso, Claudio Gugerotti, si è trovato davanti molte persone anziane, ottantenni dalle facce rugose e dal cuore semplice, che apparivano emozionate più dei bambini che stavano al loro fianco. “È da 70 anni che aspettavamo questo momento”, hanno spiegato felici e commosse.


Qualcuno di loro si ricordava della grande chiesa neo-gotica dedicata all’Immacolata Concezione che era stata costruita nei primi anni del Novecento e venne distrutta dai bolscevichi nel 1938. Il parroco fu ucciso, i fedeli perseguitati e costretti alla clandestinità. Per tanti anni i cattolici non ebbero un luogo dove riunirsi a pregare. E neppure un sacerdote. Solo nel 1997 arrivò un giovane prete polacco, uno dei tanti pionieri nell’Oriente post-comunista. Oggi la Chiesa è rinata e la piccola comunità cattolica dell’Azerbaijan vede la presenza di giovani neo-convertiti e di anziani tornati finalmente ad usare il loro nome di battesimo.


A rendere omaggio alla fede dei resistenti in quest’angolo sperduto del mondo un giorno arrivò anche Giovanni Paolo II. Era il maggio del 2002, esattamente tre anni fa, quando Papa Wojtyla volle abbracciare “il piccolo gregge” di Baku. “Oggi il colonnato di San Pietro si è allargato fino a raggiungervi – disse il Papa -. Sono venuto qui per testimoniarvi che siete nel mio cuore e non vi ho mai dimenticato”. Molti si meravigliarono che il Sommo Pontefice si recasse in visita ad una Chiesa locale che all’epoca contava poco più ; di un centinaio di fedeli. Eppure quel viaggio rappresentò uno dei vertici dell’instancabile attività missionaria di Papa Wojtyla. Non è andato soltanto dove regnano i grandi numeri, in mezzo a milioni di fedeli come in Brasile, nelle Filippine o negli Stati Uniti. È accorso anche là dove i cattolici sono poche decine per annunciare che nessun luogo, nessun uomo, può ritenersi estraneo alla grazia divina.


La visita in Azerbaijan fu “un capolavoro dello spirito” come ci disse in quell’occasione il parroco di Baku. E aggiunse: “Il fatto che Giovanni Paolo II abbia voluto compiere questo viaggio quand’è al limite delle forze, provato dall’età e dalla malattia, è una testimonianza impressionante di santità”. Quasi una profezia di quella richiesta – “Santo subito!” – che ha accompagnato i funerali di Giovanni Paolo II ed è stata rilanciata autorevolmente dal suo successore Benedetto XVI.


Il “piccolo gregge” del Caucaso è diventato più numeroso e ci piace vedere nel miracolo della Pentecoste che si è manifestato in modo sorprendente sui volti raggianti di neo-cresimati con ottanta primavere alle spalle un segno potente della fecondità spirituale di Karol Wojtyla. Ci sembra significativo ricordarlo oggi, nel giorno in cui Giovanni Paolo II avrebbe compiuto ottantacinque anni. Una data che risveglia in noi il dolore per la sua scomparsa. Ma ancor più l’affetto per Karol il Grande, l’indimenticabile.