La disfatta dell’Intelligence in Ucraina

Putin onora i resti del leader social-comunista Stalin durante la sua visita alla Piazza Rossa in Mosca (25/06/2015).

C’è chi è convinto che la guerra in corso tra Russia e Ucraina sia una trappola ordita dalla Cia e dalla Nato ai danni di Vladimir Putin. Tutto sarebbe stato accuratamente organizzato per provocare l’orso russo, scatenare il conflitto, destabilizzare la regione ed estendere il Nuovo Ordine Mondiale a trazione americana. Che le cose non siano proprio andate così ce lo documenta uno dei maggiori esperti di servizi segreti, il prof. Aldo Giannuli, nel suo libro Spie in Ucraina. Gli errori dei servizi russi e occidentali, le cause e le dinamiche nascoste, della guerra, pubblicato a novembre dall’Editore Ponte alla Grazie (pp. 290, euro 16.90).

Giannuli in un suo precedente libro dal titolo Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo (Ponte alle Grazie, 2018) aveva già segnalato l’enorme sviluppo dell’intelligence nel mondo contemporaneo. In fondo i servizi segreti sono le strutture cognitive più sofisticate e hanno accesso a una massa ineguagliabile di informazioni, comprese le più riservate. Tuttavia, malgrado questa massa di notizie e la poderosa capacità tecnologica, quanto sta accadendo in Ucraina non dimostra una diabolica regia di spie ed analisti, ma semmai il fallimento della loro capacità predittiva e organizzativa.

E’ chiaro che per scrivere una vera e propria storia di questa guerra occorrerà attendere prima di tutto che finisca. Ciò non toglie che si possa iniziare a fare qualche considerazione, e la prima è questa: non solo i governi dei paesi Nato, ma anche la Russia, che ha scatenato la guerra, hanno palesemente sbagliato i loro calcoli e le loro previsioni, proprio a causa dell’inadeguatezza dei loro rispettivi servizi segreti.

E’ vero, che i servizi americani, osservando l’ammassarsi di truppe russe al confine ucraino, avevano annunciato, già diversi mesi prima, l’imminenza dell’aggressione russa. Non si è trattato però di successo, ma di un fallimento ancora più grave, perché alla previsione non ha corrisposto alcuna misura di contrasto. “Prevedere un evento negativo e non fare nulla o quasi per contrastarlo è peggio ancora che non prevederlo affatto” osserva giustamente Giannuli. Le responsabilità, naturalmente, oltre che dei servizi di intelligence, sono delle autorità politiche e degli stati maggiori, che erano convinti che l’“operazione speciale militare” russa sarebbe pienamente riuscita.

I servizi russi (GRU e FSB), come quelli occidentali, si attendevano un rapido crollo militare dell’Ucraina, a cui sarebbero succeduti occasionali tumulti di piazza e l’occupazione senza colpo ferire del Donbass. Alle origini di questo errore di valutazione c’era il ritiro americano dall’Afghanistan, avvenuto in maniera disastrosa a metà agosto 2021. Per Putin era la conferma che gli USA erano entrati in uno stato di imminente débacle di cui si poteva approfittare per risolvere una volta per tutte la partita ucraina. Sbagliarono i russi, ma un errore speculare lo commisero anche gli americani, che, dopo aver sopravalutato la capacità di resistenza del regime di Kabul contro i talebani, sottovalutarono fortemente la capacità di resistenza degli ucraini all’invasione russa.

Il primo imprevisto fu proprio il comportamento del presidente ucraino Zelens’ky, che era stato debole in pace, ma si rivelò inaspettatamente forte in guerra. Ebreo russofono, attore e regista, poco prima dello scoppio della guerra era sceso al 15% negli indici di popolarità, non avendo ottenuto successi né nella lotta alla corruzione né nelle trattative con la Russia. Gli americani non contavano su di lui, tanto che il 25 febbraio gli avevano proposto di abbandonare Kiev e riparare in Polonia, mentre le ambasciate occidentali venivano trasferite a Leopoli. I russi avevano pensato di rapirlo e, probabilmente, di ucciderlo. Ma né i russi, né gli americani, avevano previsto la determinazione di Zelens’ky che mise la sua professionalità teatrale al servizio della resistenza all’aggressione russa.

Il campo, invece, in cui i russi hanno invece raggiunto il loro obiettivo è quello della disinformazione. Nella campagna di comunicazione russa l’Italia è stata individuata come “anello debole” dell’Unione europea ed è stata oggetto di un uso combinato delle varie forme di propaganda, a cominciare dal recupero di certe fasce di opinione pubblica no vax, le stesse che oggi addossano all’Occidente tutta la responsabilità della guerra e fanno di Putin un loro campione.

La ricostruzione di Giannuli è convincente tranne che su un punto. Il nostro attento studioso dei retroscena internazionali, è convinto che Putin è stato, ed è ancora, un uomo dell’apparato del PCUS, ma senza mai essere stato comunista. La sua cultura sarebbe anzi quella di un uomo di destra. Se però si accettasse l’idea di “destra” che ha Giannuli, Josef Stalin, che si servì strumentalmente di alcuni valori come la famiglia e la nazione, per rafforzare la sua dittatura e vincere la guerra, dovrebbe essere considerato un uomo di estrema destra, mentre è l’espressione per eccellenza del comunismo al potere. E Putin, non a caso, è un fervente ammiratore di Stalin, che considera come il più grande leader politico russo del XX secolo. E’ giusto però quanto Giannuli scrive nelle pagine conclusive del suo libro: pochi hanno notato che questa è la quarta volta nel dopoguerra in cui la Russia invade un vicino per risolvere una controversia internazionale e affermare la sua potenza. La prima volta fu nel 1956 in Ungheria, poi seguirono la Cecoslovacchia e l’Afganistan. Adesso siamo al quarto caso con l’Ucraina. Possibile che l’esperienza del passato non insegni qualcosa a chi è convinto del pacifismo russo e del bellicismo occidentale?

Roberto de Mattei, Ucraina, la disfatta degli 007: il libro che svela cosa è successo davvero, in Libero, 13 dicembre 2022

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