Due figlie:
una è sgozzata (barbarie!)
e una sedata nel rantolo (civiltà!)
Al direttore – Sono tante le figlie che vivono vite che i loro padri ritengono indegne. Capita anche che alcune di queste figlie ritenessero, in precedenza, indegna quel tipo di vita. Alcune di queste figlie le ho conosciute e anche qualche padre. A volte i padri hanno ragione, a volte la ragione è delle figlie, a volte è difficile scorgere anche solo un barlume di ragionevolezza. E’ la vita. Evidente e non quantificabile il dolore in atto. E’ altresì evidente che non si può sopprimere il dolore del padre eliminando la figlia o viceversa. Non si potrebbe ma due storie identiche nella sostanza quanto opposte nella forma sono davanti i miei occhi. Tutte e due sono determinate da un grande dolore: personale, familiare, storico e sociale. Cosmico. In tutte e due c’è una figlia che vive una vita ritenuta indegna ma si intravede una soluzione.
Nel primo caso il padre sgozza la figlia e la seppellisce in giardino: è la barbarie. Nel secondo caso entra in ballo la civiltà: non basterà una lama, sarà sedato il rantolo e la purificazione rituale è già avvenuta sui giornali e in tv, nel dibattito. E tanto tanto dolore, tanto tanto rispetto, sgorga da chi la vuole morta. Chi è incredulo per la mostruosità scientifico-legale è troppo incazzato e non fa bella figura. E’ la civiltà: ci vuole una sentenza, un team medico, una struttura idonea, tanto volontariato per far morire di fame e sete, ma monitorata, una giovane donna indifesa e bisognosa che, guarda caso, ha anche trovato chi si prende cura di lei. Sorriderle, accarezzarla, lavarla e asciugarla. Farle compagnia. Darle da mangiare e da bere. Per quel che si può, finché si può. Chi ama la vita, per quello che è, fatica a trovare le parole che ne esprimano la complessità, la gratuità, la ricchezza e il mistero; sa che non tutto è riducibile a diritto o pretesto per rivendicazioni.
Caro direttore, qui nevica poi piove e rinevica e ripiove, ogni tanto uno squarcio di sole e bisogna socchiudere gli occhi per reggere tanta bellezza. Ho passato la mattina a pulire un bagno, cambiare un letto e lavare: ha presente l’incontinenza di un vecchio malato sommata a imperizia e pudore filiale? Uno schifo. Mi giravo da ogni parte per non incrociare gli occhi di mia madre ma il suo dolore dominava su tutto. Il dolore per essermi di peso, per obbligarmi a mansioni così umili, per non essere più bastante a sé, lei che sosteneva tutto e tutti. Quante facce ha il dolore? Ma che sia l’amore, ogni atto di umile amore, a reggere il mondo mi pare un ragionevole dubbio. Che un giudice, una legge, una democrazia condannino un innocente assoluto e indifeso a morire di fame e di sete strappandolo a chi se ne prende cura, amorevole e quotidiana, mi pone un ragionevole dubbio sullo stato di salute di un tale ordine sociale. Non è un bel pensare. Con infinita tristezza,
suo Ferretti Lindo Giovanni, Il Foglio, 5 febbraio 2009