Terri Schiavo tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

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Da decenni, il mondo occidentale è interessato da un processo di Rivoluzione culturale che, per quanto incruento e talvolta poco avvertito – certamente poco denunciato –, ha procurato sconvolgimenti e vittime in misura molto maggiore di quanto comunemente si pensi.

L’orientamento di questa Rivoluzione, che a chi sappia vedere si rivela come un’autentica dominante, è riassumibile nella formula con la quale il filosofo statunitense Gorge Santayana definiva l’”egotismo”: “soggettivismo-volontarismo della conoscenza e della morale”. Si tratta, cioè, della relativizzazione della verità e del bene, che si traduce in un esasperato positivismo giuridico, ed in un tendenziale primato della tecnica, una tecnocrazia per la quale “tutto ciò che è tecnicamente possibile è lecito”, quando non “doveroso”. Gli esiti di tale “inversione” culturale si avvertono principalmente sul piano dei processi della generazione e sulla nozione di famiglia e di relazione sessuale.


Inutile ripercorrere, nel dettaglio, le tappe delle “ricadute” pubbliche di questa Rivoluzione culturale: dal divorzio e dalla “legalizzazione” dell’aborto, ci stanno portando all’eutanasia, passando per la procreazione artificiale, che non è esente da tentazioni ed esiti eugenetici (tanto di eugenetica “positiva” – selezione del figlio secondo desiderio; quanto “negativa” – eliminazione del figlio a qualsiasi titolo “difettoso”), né dal costo umano costituito dall’eliminazione degli embrioni “prodotti” in sovrannumero.


Il caso “Terri Schiavo” sta imponendo all’attenzione pubblica la questione del-l’eutanasia in un modo particolarmente crudo, perché non si tratta di interrompere le cure ad un soggetto in coma tenuto in vita da macchinari vari, ma di smettere di alimentare una persona, che, sebbene si pretenda ridotta ad uno stato “vegetale”, è ben viva, ancorché fortemente menomata nelle sue capacità.


Nella vicenda, si era già distinta negativamente la magistratura locale, contrastando più volte la volontà politica di applicare in concreto il principio di solidarietà, che impone di difendere il debole e l’inerme innocenti da ogni attentato all’inco-lumità ed alla vita. Il parlamento della Florida, ed il suo governatore, avevano tentato di proteggere la vita di Terri Schiavo, ma il potere dei giudici ha alzato una barriera, sancendo un preteso diritto di dare la morte (ed in modo atroce: per denutrizione e disidratazione!).


A fronte di quest’ennesimo tentativo del potere giudiziario di sostituire il processo politico della decisione (anche moralmente rilevante) con uno giuridico, e di sancire un preteso diritto di vita e di morte del soggetto su se stesso o su chi glielo avrebbe delegato, la politica statunitense si è ribellata. Congresso e Senato hanno votato a tempo di record un provvedimento ad personam, ed il presidente Bush si è letteralmente precipitato a Washington per ratificarlo con la sua firma. Egli ha anche dichiarato che può aver sbagliato, ma è sempre meglio sbagliare a favore della vita, che contro. Naturalmente, e ancora una volta, i giudici si sono rifiutati di sottomettersi al chiaro spirito di questa norma, ed hanno confermato la sentenza di morte nei confronti di un’innocente.


Al di là di ogni improprio paragone con la pena di morte – che, comunque la si pensi, è una misura estrema di (legittima) difesa sociale attraverso l’eliminazione di un colpevole, mentre eutanasia ed aborto sono la deliberata eliminazione di un innocente –, il gesto politico contro l’eutanasia, preteso addolcimento della morte, compiuto dai supremi organi della Repubblica degli Stati Uniti, è da considerarsi il più contro-rivoluzionario della storia recente. Nel senso che esso è contro quella Rivoluzione culturale che rivendica all’uomo il potere di vita e di morte su se stesso e sui propri simili, dal momento della generazione fino a quello del tramonto dell’esisten-za, e che come tutti poteri che l’uomo usurpa si rivela viepiù distruttivo.


La Rivoluzione culturale, infatti, si declina sempre come affermazione di quella che Giovanni Paolo II chiama “cultura della morte”, e ad essa si possono applicare le parole con le quali Nietzsche descrive il suo Empedocle: “Come divinità vorrebbe aiutare; come uomo, pietosamente vorrebbe distruggere. Come demone egli distrugge se stesso”.


La reazione che intenda contrastarla e che la contrasti, come è accaduto (purtroppo ancora senza esito) negli Stati Uniti, è perciò un processo di contro-rivouzione culturale che va nella direzione della vita e della giustizia.


Giovanni Formicola


(C) L’Indipendente, 24-3-2005