Tempi da galera, Tempi duri

Abbiamo liberato un libro-scoop dal sequestro della polvere e dall’oblio. E’ per questo che gli autori ci vogliono in manette…


di Amicone Luigi  

Cari lettori, questa è una storia incredibile, ma che vi riguarda, perché se le cose andranno come non dovrebbero andare in una democrazia, il prossimo 17 marzo direttore e condirettore di questo giornale potrebbero essere condannati a sei mesi di carcere (che promettiamo solennemente di scontare fino all’ultimo secondo) per le ragioni – iraniane o nordcoreane, fa lo stesso – che adesso vi illustro.
Dunque, succede questo. Succede che, poniamo, nella primavera 2003 uno dei redattori di Tempi si è fatto un giro in libreria, ha sbagliato reparto, si è ritrovato nel magazzino delle giacenze, ha inciampato in una pila di libri dal bel titolo rosso, ha pensato tra sé, “vabbé, già che ci sono ne prendo uno”, è passato alla cassa, ha pagato, ha sfogliato il libro, gli è sembrato d’essere finito in una miniera di informazioni, è corso trafelato in redazione. E pure a noi è venuto il sospetto che più che di un libro si trattasse di uno scoop. E di un scoop notevole. Dove stava la notizia? Non nel titolo e sottotitolo (in realtà un po’ depistanti) del libro. Quanto piuttosto nel fatto che ospita una ricostruzione, puntuale e documentata, del metodo utilizzato dai governi dell’Ulivo per la privatizzazione delle grandi aziende di Stato nel quinquennio 1996-2001.
PUBBLICITÁ GRATUITA

Il libro si intitola L’affare Telecom, il caso politico-finanziario più clamoroso della Seconda Repubblica. E non è che sia stato pubblicato da una casa editrice farlocca e firmato da autori sconosciuti. No, l’editore è Sperling&Kupfer e gli autori sono due illustri firme del giornalismo economico, il dottor Giuseppe Oddo, del Sole 24Ore, e il dottor Giovanni Pons, di Repubblica, entrambi professionisti di chiara fama e ammiratori del Professore di Bologna. Oibò, ci diciamo in redazione, com’è che due illustri antipatizzanti di Berlusconi hanno scritto un libro così informato e obiettivo sugli intrecci tra politica e affari all’epoca del governo precedente a quello del Cavaliere? Oibò, ci ridiciamo in redazione, non è bene che un’inchiesta di così straordinaria libertà, competenza e professionalità, rimanga nei magazzini delle giacenze, esposta alla critica della polvere. Lo scoop, ci diciamo, è andato in libreria nel luglio 2002, però nessuno se ne è accorto. Sai allora che facciamo? Gli facciamo pubblicità gratuita, una recensione grande come una copertina di Tempi e lo consigliamo come lettura imprescindibile per quanti siano interessati a un sereno bilancio della stagione politica italiana sotto le fronde dell’Ulivo. E così è stato (cfr. Tempi, n. 21, 22 maggio 2003)
MESSAGGI CONTO TERZI
Che dite, in questi casi vi aspettereste almeno un “grazie” dagli autori, una copia omaggio dalla casa editrice, un non-ti-scordar-di-me dal distributore. E invece non succede niente. Però, in compenso, il 26 maggio 2003, succede che dalle colonne del Corriere della Sera, rubrica di Dario Di Vico, dagli autori e illustri colleghi, riceviamo non fiori ma avviso di querele. «I giornalisti Giuseppe Oddo (Sole 24Ore) e Giovanni Pons (Repubblica), hanno dato incarico ai propri legali di querelare il settimanale Tempi, diretto da Luigi Amicone. Tempi ha dedicato la copertina al caso Telecom e ha utilizzato alla grande il loro libro, L’Affare Telecom. Ma, secondo Oddo e Pons, il settimanale “ha alterato, aggirato e mortificato la complessità dei fatti ricostruiti e le conclusioni a cui eravamo approdati”». “Alterato”? “Aggirato”?, “Mortificato”? Ma se è tutto rigorosamente virgolettato e farina del sacco vostro? “Vabbé”, replichiamo noi in pubblico, “aspettiamo a piè pari la querela”. Ma poi, in privato, ci diciamo, «ci sta, abbiamo capito che lo scoop è andato fuori tempo massimo, forse il libro serviva solo per l’estate 2002, Berlusconi aveva appena vinto le elezioni, chissà a quale messaggio era finalizzato, si sa che i tempi cambiano, ci sta che ci querelino».
INFORMAZIONE DI GARANZIA
Passano ore, giorni, mesi, e non succede niente. Forse ci avranno ripensato, pensiamo noi. Chissà, magari avranno riflettuto, queste sì sono cose che meritano di finire a tarallucci e vino. Chissà, riflettiamo noi, magari adesso ci offrono patatine e Martini dry. E invece non succede niente, neanche una telefonata, neanche un “andate a quel paese”, neanche una gomma tagliata. Succede invece che, esattamente un anno dopo i fatti, al posto della strombazzata (sul Corriere della Sera) querela per alteramento, distorsione e mortificazione, invece che l’apertura di un sano contenzioso al tribunale civile, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza riceviamo un’“informazione di garanzia” per il reato di “pirateria”. Da processo penale: «In ordine ai reati p.e p. dagli articoli 171 Ter Lett.b L. 633/41, perché (Tempi e il suo direttore ndr), a fine di lucro, diffondeva al pubblico e comunque riproduceva senza il consenso degli autori e dunque abusivamente, attraverso l’inserimento di singoli brani nel periodico, parte del libro L’affare Telecom». Così ci scrive la Procura in data 1 marzo 2004 e di questi reati (Sergio Scalpelli e il sottoscritto) dovremo rispondere al processo che si aprirà in Desio il prossimo 17 marzo 2005.
FISSATEVI LA DATA
Sì, come i vu cumprà taroccano borse Vuitton e i mafiosi russi il marchio Versace, pure noi, nel nostro piccolo, siamo la longa manus della pirateria internazionale. E per che cosa siamo diventati Pirati e rischiamo fino a sei mesi di carcere? Per una marchettona gratuita, con tanto di virgolettati e copertina, a un libro-scoop finito un giorno in libreria, l’altro nei sottoscala.
Perfetto, anche se per un giornale che non ha prezzo di copertina (perché viene diffuso in abbinata gratuita con Il Giornale) non si capisce dove starebbe il «fine di lucro». Perfetto, anche se è il primo caso a memoria di categoria (e probabilmente anche d’uomo) in cui giornalisti denunciano altri giornalisti per aver fatto pubblicità – quindi occasione di lancio, vendite, incassi – a un loro libro che sarebbe rimasto morto e sepolto nei magazzini. Perfetto, anche se non si capisce come faranno adesso i giornali a discutere di politica, economia, letteratura eccetera, citando e recensendo saggi, inchieste, libri senza rischiare di finire alla sbarra come “pirati”. Perfetto, siamo quasi peggio degli stragisti di Scampìa e di Primavalle.
E allora ho da farvi una proposta, cari lettori e cari colleghi che pensate ancora che le libertà di stampa e di informazione siano diritti civili, validi e da tutelare non solo in Medioriente o in Africa. Perché non vi mettete anche voi una bella bandana da pirati e venite a farci compagnia nell’aula del tribunale di Desio, via Galli 2, ore 9,30, giovedì 17 marzo 2005?
POST SCRIPTUM

Ps: Si noti che l’atto di pirateria compiuto da Tempi (sanzionabile con una condanna in sede penale «fino a sei mesi di carcere») riguarderebbe la riproduzione di brani (con virgolettati, riferimento agli autori e pubblicazione in rilievo della copertina del libro) che messi in fila non superano complessivamente le due-tre pagine di un libro, appunto, L’Affare Telecom, che di pagine ne ha 400.

Tempi Numero: 11 – 10 Marzo 2005