CALABRESI: SCALFARI SI PENTE (35 ANNI DOPO)
Sull’Espresso pubblicò l’appello di 800 intellettuali contro il commissario “torturatore”.
Ora si ricrede…
Quelli della mia generazione sono diventati vecchietti ma non abbastanza per aver dimenticato. E pur con tutta la buona volontà non riusciamo a sopportare in silenzio la tempesta retorica che ha sommerso in questi giorni le commemorazioni di Luigi Calabresi, commissario di Polizia ucciso 35 anni orsono dai baldi assassini di Lotta Continua, ai quali sono state concesse molte attenuanti eccetto quella di essere deficienti. Giusto. Difatti non lo erano. O se lo erano godevano comunque di una autorevole compagnia. In quegli anni o eri comunista, o di un genere affine, e allora feste e champagne, oppure eri come un appestato. Peggio: un fascista. Dato che Calabresi era uno sporco cattolico, oltre che sbirro, fu immediatamente classificato camicia nera, schiavo dello Stato, servo dei padroni, quindi per definizione indegno di stare nel consorzio umano. Logica conseguenza: venne condannato a morte dalla società civile dell’epoca, anzi, dagli intellettuali che ne rappresentavano con orgoglio le avanguardie. Lo spunto per emettere la sentenza capitale fu offerto dalla strage di Piazza Fontana, un mucchio di cadaveri (dicembre 1969). Chi l’aveva commessa? Non si sa. Ancora oggi non si sa. Tuttavia gli intelligentoni di sinistra credevano di saperlo: sono stati i fascisti. La Polizia (fascista a sua volta, secondo la mentalità corrente) fu accusata subito di proteggere i terroristi (ripeto, fascisti) per simpatia. Il commissario Calabresi onde “sviare” le indagini si mise così a battere la pista anarchica. Di modo che l’anarchico Pinelli subì un interrogatorio nei locali della Questura di Milano e si gettò dalla finestra per motivi mai accertati. Suicidio? Manco per niente. Gli intelligentoni affermano, nemmeno sfiorati dal dubbio, che Pinelli non si era lanciato bensì era stato lanciato dal terzo piano. Da chi? Da Calabresi. Prove? Zero. Gli intelligentoni, prove o no, emisero il verdetto: Calabresi boia. Per diffondere il loro alto pensiero, 800 – e sottolineo 800 – menti lucide firmarono un nobile documento in cui, con la classe che li contraddistingueva e ancora li distingue (nel caso dei sopravvissuti), si definiva il condannato “commissario torturatore”. L’eleganza non è acqua. L’elenco dei sottoscrittori, a rileggerlo, fa ancora impressione: Norberto Bobbio (Padre della Patria, già fascista e adoratore di Mussolini, poi ravvedutosi), Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Furio Colombo, Camilla Cederna, Tiziano Terzani, Federico Fellini, Carlo Rognoni, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Margherita Hack e parecchi altri “garantisti” tra cui Eugenio Scalfari che si onorò di pubblicare il comunicato sul proprio settimanale, cioè l’Espresso. Sì, proprio Scalfari, successivamente fondatore de “La Repubblica” e ora predicatore: dal pulpito domenicale del quotidiano impartisce al Papa lezioni di teologia. La storia di questo Paese è formidabile. Quelli di Lotta Continua, non deficienti ma assassini, presero alla lettera l’assunto del proclama riguardante il “commissario tortu- ratore” e ne pianificarono l’eliminazione che avvenne una mattina sotto casa Calabresi, 34 anni, moglie e due figli. Qualche colpo di pistola. Pratica sistemata. Il quotidiano Lotta Continua, colto da ebbrezza omicida, celebrò la fausta notizia del delitto con un titolo spiritoso: Giustizia è fatta. Voilà. Della vittima non è mai importato un tubo a nessuno, figuriamoci ai comunisti. I quali adesso si sono decomunistizzati e, bontà loro, commemorano. Napolitano, ai tempi quasi cinquantenne, è venuto a Milano a scoprire lapidi e stele dedicate al servitore dello Stato. Veltroni, distintosi quale anticomunista, ha dedicato addirittura un viale al defunto commissario. Discorsi, parolone, lacrime e nasi soffiati. Dopo 35 anni si sono accorti che Luigi Calabresi era un eccellente funzionario di Polizia, altro che torturatore. E che fine hanno fatto i firmatari del comunicato? Quelli che non erano già in carriera, lo sono. Comandano. Insegnano, elargiscono consigli, ammoniscono, criticano. Non colpiscono più i fascisti, ma i berlusconiani: la même chose. I figli di Calabresi sono cresciuti senza padre e si vede. Uno, Mario, fa il giornalista ad alto livello, corrispondente dagli Stati Uniti per “la Repubblica”, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, proprio lui, non un omonimo del firmatario del documento che servì agli assassini quale movente morale per ammazzare papà. Complimenti a tutti, anche all’orfano. Libero 18 maggio 2007
L’ELENCO
I FIRMATARI Ecco alcuni dei firmatari dell’appello contro Luigi Calabresi: Norberto Bobbio, Alberto Moravia, Umberto Eco, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Furio Colombo, Livio Zanetti, Pier Paolo Pasolini, Lucio Colletti, Carlo Rossella, Toni Negri, Camilla Cederna, Tiziano Terzani, Massimo Teodori
DA LEVI A EINAUDI
Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta, Federico Fellini, Mario Soldati, Carlo Rognoni, Bernardo Bertolucci, Luigi Comencini, Paolo e Vittorio Taviani, Marco Bellocchio, Ugo Gregoretti, Nanni Loy, Giovanni Raboni, Renato Guttuso, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Carlo Levi, Vito Laterza, Giulio Einaudi, Inge Feltrinelli, Franco Antonicelli, Lucio Villari, Giulio Carlo Argan, Fernanda Pivano
DALLA HACK A MIELI
Paolo Mieli, Margherita Hack, Gae Aulenti, Giò Pomodoro, Paolo Portoghesi, Dacia Maraini, Enzo Siciliano, Alberto Bevilacqua, Natalino Sapegno, Primo Levi, Enzo Enriques Agnoletti, Lalla Romano, Giorgio Benvenuto, Pierre Carniti, Giuseppe Turani, Carlo Mazzarella, Andrea Barbato, Bruno Zevi, Grazia Neri, Franco Basaglia, Carlo e Vittorio Ripa di Meana, Paola Pitagora
di Vittorio Feltri