Che follia dire ai giovani:
niente regole
di Michele Brambilla, Il Giornale, 22 luglio 2009
Fa tanto fico schierarsi contro i divieti. Si sta dalla parte dei liberali, degli illuminati che hanno fiducia nell’uomo e nella sua capacità di auto-regolamentazione quando non addirittura di auto-redenzione. Chi invece ritiene che almeno ogni tanto vada messo qualche paletto, segnato qualche stop, minacciata qualche sanzione, viene arruolato fra i dinosauri del proibizionismo, della reazione, del clerico-fascismo.
Banalmente, si dice che i primi sono di sinistra e i secondi di destra. Un teologo osservava che in fondo quel che divide sinistra e destra è la fede nel peccato originale, cioè nella libertà dell’uomo di fare il bene o il male. La sinistra non ci crede per nulla, e ritiene che l’umanità sia destinata a migliorare progressivamente, fino al giorno in cui diventeremo tutti buoni e non ci sarà più bisogno di leggi e prigioni. La destra ci crede troppo, ed è convinta che, al contrario, più si va avanti più ci si allontana da una mitica età dell’oro; l’umanità insomma procederebbe su un piano inclinato, e per imporre la virtù serviranno sempre i gendarmi.
Senza scomodare la teologia, credo sia sufficiente l’osservazione della realtà per evitare entrambi gli estremismi destra-sinistra, e valutare caso per caso. Nella fattispecie: il divieto di consumare alcolici per gli under 16 è sensato oppure no? A mio parere fra tanti diktat ridicoli che stanno facendo tornare di moda lo Stato etico – c’è perfino chi vieta di fumare all’aperto o nella propria automobile; oppure di consumare chewing-gum – questo deciso dal Comune di Milano è più che comprensibile: è opportuno.
Francamente non capisco le obiezioni. L’unico argomento che viene portato avanti dai «contrari» è: non servono i divieti, occorre l’educazione. Con tutta la buona volontà, non vedo alcun contrasto fra le due cose. Se si vieta il consumo di alcolici a ragazzini di quindici anni (poco più che bambini) viene automaticamente esclusa ogni opera di persuasione da parte delle famiglie, delle scuole, dei mass media? Una cosa esclude l’altra?
Credo di no, anzi credo che a volte i divieti siano parte integrante dell’educazione. A scuola guida si «educa» a circolare e a parcheggiare correttamente: ciò non toglie che le manovre e i parcheggi scorretti siano poi sanzionati dai vigili. I genitori poi educano (o dovrebbero educare) i figli ad avere rispetto degli insegnanti e dei compagni di classe: ciò non toglie che l’alunno che si comporta male possa (anzi debba) essere punito con una nota, o con una sospensione, o con un’insufficienza in condotta. Potremmo andare avanti con esempi infiniti.
Da che esiste il diritto (ed esiste da un pezzo) la legge – qualsiasi legge – non ha solo il compito di punire i rei. Ha anche e soprattutto quello di fissare dei principi, di stabilire che cosa è giusto e che cosa non lo è. Quando una legge liberalizza un comportamento sbagliato, si diffonde via via il convincimento che quel comportamento non sia poi così sbagliato. Se lo dice perfino la legge che posso fare una certa cosa, perché non dovrei farla?
Anche lo stabilire divieti, quindi, fa parte dell’educazione. Di quella vera. L’indefinita «educazione» con la quale si vorrebbe ora fermare la piaga dell’alcol fra i ragazzini (perché è una piaga: chi ha figli di quell’età lo sa bene) fa invece parte dei totem progressisti, del sessantottino vietato-vietare, dell’idea che con il mitico «dialogo» si possa risolvere ogni problema. Curioso che tanto blablabla pseudo-liberal torni di moda ora che, da un pezzo, è stata archiviata come una fallimentare utopia la bibbia del permessivismo del celeberrimo pediatra Benjamin Spock, di gran moda negli anni Sessanta. Qualche anno fa la teoria del dottor Spock (anch’egli poi ampiamente pentitosi di quel che aveva scritto) venne smontata dal libro di un’altra studiosa, la psicoterapeuta Asha Phillips. Il titolo era «I no che aiutano a crescere».
Ecco, il «no» del Comune di Milano può servire a far capire, a chi non è ancora in grado di capire, che bere alcol a quindici o quattordici o addirittura tredici anni è dannoso per sé e per gli altri. Oltre che a evitare, magari, qualcuna delle tante bravate, o delle tante morti in motorino, sulle quali poi tutti sono pronti a piangere.