Ru 486: sperimentazione a rischio

IL CASO

Pillola Ru 486, sperimentazione ad alto rischio


Il ministero «costretto» ad ammettere i gravi pericoli per la salute legati all’utilizzo del farmaco abortivo e le troppe irregolarità delle procedure sperimentali che vanificano di fatto i test in corso


 


L’utilizzo della pillola abortiva Ru486 in Italia è più diffuso di quanto fosse noto. E nella sperimentazione più discussa, quella in atto dal settembre 2005 presso l’ospedale Sant’Anna di Torino, non tutte le procedure sono state seguite correttamente. Tanto che il Comitato etico della Regione Piemonte sta valutando l’opportunità di sospendere la sperimentazione stessa. Sono i dati – non completi – forniti alla Camera dall’Ufficio legislativo del ministero della Salute in risposta a un’interpellanza urgente di sei deputati dell’Udc (Luca Volontè, Luisa Capitanio Santolini, Francesco Paolo Lucchese, Maurizio Ronconi, Domenico Zinzi e Giuseppe Drago). «Emergono sperimentazioni preoccupanti e irresponsabili della “kill pill”» è il giudizio che Luca Volontè e Luisa Santolini hanno espresso dopo le risposte del ministero della Salute. «Ci aspettiamo – aggiungono i due deputati, che a settembre torneranno a chiedere conto dell’azione del governo – che il ministero prosegua con gli accertamenti e confermi la sua linea non reticente nei confronti della pillola».
In effetti non poche domande dei parlamentari sono rimaste inevase. Il ministero ha riferito che dalla relazione fornita dalla direzione sanitaria del Sant’Anna di Torino risulta che al 28 febbraio scorso erano state arruolate 329 pazienti, di cui 328 avevano abortito in seguito alla somministrazione del farmaco. Ma, aggiunge la relazione ministeriale, «nel corso dell’audizione del Comitato etico, si è appreso che 269 pazienti avevano ottenuto il permesso di uscita senza che il medico sperimentatore le avesse messe in guardia che la dimissione temporanea comportava la violazione formale del protocollo». «Il mancato rispetto dell’iter procedurale – osserva il ministero – pur non avendo messo a rischio la salute delle pazienti, potrebbe comportare un’indicazione di sospensione della sperimentazione» perché sarebbe compromessa la validità scientifica dello studio. Non viene peraltro indicato quante donne ab biano effettivamente abortito fuori dai reparti di ginecologia.
Quanto agli ospedali dove la Ru 486 viene usata tramite importazione diretta, la risposta del ministero è riferita alle modalità di acquisizione e non – cosa che più importa – alle modalità di utilizzo nei reparti. Analoga incompletezza si registra a proposito della domanda su «chi controlla se l’aborto avviene effettivamente in ospedale». Su questo punto dell’interpellanza, sul consenso informato fornito alla donna di Siena poi ricoverata a Roma e su quali informazioni (compreso il confronto tra i tassi di mortalità fra le diverse modalità di aborto) siano state fornite alle donne negli ospedali che hanno importato la pillola, il ministero ha risposto che «per la delicatezza e la rilevanza degli aspetti di sanità pubblica, tutte le informazioni sono state richieste con la procedura di urgenza ai competenti Assessorati alla sanità delle Regioni».
Articolata ma insoddisfacente la risposta sulle informazioni fornite alle donne a Torino a proposito dei tassi di mortalità. Il ministero osserva che nonostante un articolo sulla rivista New England Journal of Medicine segnalasse un tasso di infezioni gravi e fatali per il raro batterio Clostridium Sordelii dopo l’impiego della RU 486, nessun provvedimento restrittivo è stato adottato dalla Food and Drug Administration. Inoltre, un’aggiornata banca dati «intitolata “Up to date”» riporta che il tasso di mortalità con Ru 486 nel mondo occidentale «non appare significativamente più elevato rispetto all’intervento chirurgico». Sono assenti però informazioni più precise su come questi dati sono stati raccolti. E si osserva che non sono pervenute, in Italia, segnalazioni di infezioni gravi o fatali dopo l’impiego della Ru 486.
Infine per quanto riguarda l’importazione della pillola in Italia, il ministero rende noto che (come riportato nella tabella a lato), oltre al Piemonte e alla Toscana, sono ricorsi all’aborto chimico anche in Emilia-Romagna, V eneto, Marche, Trentino, Puglia.

Da Milano Enrico Negrotti – Da Avvenire.it