LE RESIDUE LEGIONI DEL PAPA
NELLA CULLA DELLA CRISTIANITÀ
La Turchia, terra dove nacque S. Paolo, dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani, dove furono celebrati 8 Concili, ospita oggi solo 35 mila cattolici…
“Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani”. Antiochia: oggi Antakya, in Turchia. “E’ stato in Anatolia che la cristianità ha cessato di appartenere esclusivamente agli ebrei, il ‘popolo eletto da Dio’. E’ stato là che la via per il resto del mondo è stata aperta alla nuova religione”.
La prima citazione è dagli Atti degli Apostoli. La seconda è da “La Turchia in Europa e l’Europa in Turchia”, un libro scritto da Turgut Özal, primo ministro turco dal 1983 al 1989 e poi presidente della Repubblica fino alla morte nel 1993, appunto per presentare all’occidente le “radici occidentali” del suo paese. In vista di quella candidatura all’Unione europea che ancora agita cancellerie e elettorati.
Il libro di Ozal ricorda pure che era nato nell’attuale territorio turco Paolo di Tarso. Che a Efeso, oggi la turca Selçuk, san Giovanni scrisse il suo Vangelo, morì e fu sepolto. E che ancora a Efeso fu tenuto nel 431 il terzo Concilio ecumenico, in cui fu condannata come eresia quella teoria nestoriana secondo cui in Gesù la componente divina aveva “abitato” la componente umana “come in un tempio”. Con la conseguenza così di poter venerare la Madonna come Madre di Dio: a Efeso, in epoca pagana, era stato un famoso culto della dea vergine Artemide, in nome della quale lo stesso san Paolo durante un tentativo di predicazione aveva rischiato il linciaggio; a Efeso, secondo la tradizione, fu l’ultima dimora della Madonna, in un edificio tuttora venerato dagli stessi musulmani turchi col nome di Meryemana, “Madre Maria”.
Nell’attuale territorio turco si tenne anche il primo Concilio ecumenico di Nicea del 325, quello in cui si stabilì la formula del Credo. E il primo Concilio di Costantinopoli del 381, in cui fu proclamata la divinità dello Spirito Santo. E il Concilio di Calcedonia del 451, in cui fu condannato il monofisismo, secondo cui Gesù aveva avuto solo natura divina. E il secondo Concilio di Costantinopoli del 553, in cui fu tentata invano una riconciliazione coi monofisiti. E il terzo Concilio di Costantinopoli del 680, in cui si condannò la teoria monotelita, dell’“unica volontà” come ponte tra le nature umana e divina del Cristo. E il secondo Concilio di Nicea del 787, in cui si respinse il rifiuto iconoclasta delle immagini. E il quarto Concilio di Costantinopoli dell’869- 870, che con la deposizione del Patriarca Fozio rinviò di quasi due secoli la rottura tra cattolicesimo e ortodossia. Questa si consumò comunque nel 1054, e da allora tutti i Concili della cattolicità furono tenuti in occidente. Ancora in territorio turco l’ortodossia organizzò invece il quinto Concilio di Costantinopoli del 1341-1351, che è l’ultimo da essa riconosciuto (quello di Gerusalemme del 1672 è più propriamente un Sinodo).
Ozal ricorda pure i nomi delle “prime sette chiese cristiane fondate in Anatolia”. Le “sette chiese dell’Asia” cui nell’Apocalisse san Giovanni invia “il messaggio del Signore”: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea. Nell’attuale territorio turco furono anche indirizzate le lettere ai Galati, agli Efesini, ai Colossesi. E nel territorio turco della Cappadocia la cristianità lasciò quello straordinario complesso di chiese e città scavate nella roccia che oggi attrae 2 milioni di turisti all’anno. Oggi però non ci vive più nessuno. Molti dipinti sono stati sfregiati dai musulmani, e nel folklore locale le dimore nella roccia sono state degradate da secoli a leggenda. “Peribacalar”, le chiamano: “camini delle fate”.
Se Santa Sofia dopo essere stata trasformata per secoli in moschea è ora un museo, in compenso, il Patriarca di Costantinopoli, capo dell’ortodossia, sta ancora nell’antica “Nuova Roma”, da cui l’importanza ecumenica della visita del Papa. Ma lui, e pochi altri. Dopo che l’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale aveva macellato un milione e mezzo di cristiani armeni obbligandone altri 600.000 alla fuga, la nuova Repubblica Turca di Mustafa Kemal Atatürk subito dopo espulse 1.350.000 cristiani greci, mentre Impero e Repubblica assieme fecero fuori 275.000 assiri nestoriani. Al tempo dell’Impero ottomano ortodossi, armeni e ebrei erano stati riuniti in tre “millet” con al vertice rispettivamente il Patriarca di Costantinopoli, il Katholikos e il Gran Rabbino, e uno status di ampia autonomia, sia pure in un quadro generale di complessiva soggezione. Oggi delle tre minoranze “privilegiate” in quella Repubblica Turca che si vanta del suo passato cristiano per evidenziare le sue radici europee non restano che 55.000 armeni, 30.000 ebrei e 25.000 greci. Con una punta di paradosso, in una terra tanto storicamente impregnata dalla cristianità ortodossa oggi sono più i cattolici: recentemente colpiti dall’omicidio di padre Andrea Santoro, sono infatti 35.000, divisi tra i riti latino, bizantino, armeno e caldeo. Ma la prima denominazione è la monofisita chiesa siro-ortodossa o giacobita, con 60-70.000 fedeli. Di lingua liturgica aramaica e di lingua corrente araba, è concentrata nella regione a maggioranza curda di Mardin e Midyat, nel sud-est.
A testimonianza della fuga dei cristiani dalla Turchia ci sono anche due squadre di calcio: l’Athlitiki Enosis Konstantinoupoleos, Unione Atletica di Costantinopoli; e il Panthessalonikeios Athlitikos Omilos Konstantinoupoliton, Organizzazione Atletica dei Costantinopolitani di Salonicco. I tifosi italiani le conoscono per le sigle: quell’Aek Atene e quel Paok Salonicco spesso presenti nelle coppe europee. Fondate da profughi nel 1924 e nel 1926, portano nel nome di Costantinopoli e nel simbolo dell’aquila a due teste l’ultimo ricordo dell’Impero bizantino.
di Maurizio Stefanini
Il Foglio 4 novembre 2006