Psicologo inglese, agenzie di stampa e… il Sig. Feto

I feti non provano dolore? Attenti a quel punto di domanda


E’ apparso un articolo sul British Medical Journal, scritto da uno psicologo inglese, Stuart Derbyshire, intitolato: «I feti possono provare dolore?». Bisogna leggerlo attentamente. Infatti, alcune agenzie di stampa italiane hanno tradotto così: «Il feto non prova dolore». Ma l’articolo dice proprio questo?
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di Carlo Bellieni

L’autore spiega che le fibre che portano lo stimolo del dolore alla corteccia cerebrale iniziano ad essere presenti a 12-16 settimane e completamente formate a 23-25 settimane e riconosce che le risposte ormonali da dolore sono presenti nel feto di 18 settimane.
Fin qui niente di nuovo.
È la solita diatriba se queste fibre debbano essere mature perché il dolore venga percepito: il dolore arriva, come sembra a molti, già verso le 20 settimane o un mese dopo? È chiaro che il feto sente dolore, pur restando ancora definire da che settimana… a meno che non si inserisca un elemento in più. Sta qui il fulcro dell’articolo di Derbyshire, dove si sostiene che il dolore può esistere ad una condizione sola, ossia se c’è coscienza e la coscienza emerge ben dopo la nascita. «La coscienza – viene detto – può emergere solo se viene fornito un contenuto psicologico. Prima che i bambini possano pensare o sperimentare sensazioni ed emozioni, devono avere un’esistenza mentale. Lo sviluppo di una memoria rappresentativa comincia ad emergere tra i 2 e i 4 mesi di età. Per i feti e i neonati queste interazioni devono ancora avvenire». Dunque non si parla solo di feto, ma si inserisce nel discorso anche il bambino già nato, pur facendo delle distinzioni.
Questo ricorda quanto lo stesso Derbyshire sosteneva nel 1999: «L’esperienza del dolore sorge a 12 mesi di età». Il problema, come egli lo vede, è allora ben maggiore: non basta neanche che siano maturi i sistemi neuronali per poter affermare che si sente il dolore. Ma quanto tempo è occorso per far riconoscere che il neonato, anche prematuro, sente dolore!
Solo dalla fine degli anni ’80 si è utilizzata la morfina durante gli interventi chirurgici sui neonati. Eppure se si sostiene che il bambino non sente il dolore, non si rischia poi di andare contro l’evidenza che ogni mamma e papà ha quando il piccolo piange? Derbyshire riconosce questo rischio e aggiunge: «Se gli anestesisti dovessero tornare a credere che i neonati non sentono dolore, i benefici degli anestetici rimarrebbero. L’assenza di esperienza dolorosa non giustifica il ritornare ad un regime di scarso uso degli analgesici». Ma allora è chiaro che al neonato prematuro e al feto di uguale peso ed età gestazionale, gli anestetici debbano esser dati, tutelando sempre, nel secondo caso, anche la salute della madre. Credo che la dignità umana e la tutela dalla sofferenza vadano sempre salvaguardate e debba in ogni caso vigere il principio di precauzione: anche se qualcuno dubita che il neonato senta dolore, non si può esitare a curare il suo dolore. E dato che il feto è fisiologicamente un neonato ancora in utero, perché non agire con lui allo stesso modo, usando analgesici e magari fermandosi prima di eseguire interventi non diagnostici, non curativi e potenzialmente molto dolorosi?



Avvenire Sabato 15 aprile 2006