Prodi vara il ddl sui Pacs e poi va a Messa

È PACSATO…

L’equilibrista dell’ambiguità
suona la marcia nunziale ai gay


Dopo una mattinata di trattative febbrili tra le varie anime del centrosinistra, il Professore «cattolico democratico e adulto» riunisce il Consiglio dei ministri vara il ddl sui Pacs (che adesso si chiamano «DICO») e poi… va tranquillamente a Messa. La decisione è stata presa con un consiglio dei ministri straordinario, in cui era assente Clemente Mastella, che ribadisce il suo no. «Anche il diavolo veste Prodi», sferza Mario Mauro, il vicepresidente azzurro del Parlamento europeo, «ci siamo: il governo Prodi ha dato il via alla distruzione della famiglia». I vescovi insoddisfatti dalle modifiche al disegno di legge ribadiscono il loro “non possumus” in nome della famiglia fondata sul matrimonio. Se il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Giuseppe Betori, che aveva definito «superflua» una legge sulle coppie di fatto, si trincera dietro il no comment («non ci pronunceremo fino a che non avremo letto il testo»), è monsignor Sergio Nicolli, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per la Pastorale della Famiglia, a scendere in trincea contro la legge Bindi-Pollastrini. «Le unioni civili si ritengono un fatto esclusivamente privato per niente vincolato da un patto sociale e su questo la Chiesa non dice niente. Però, che questa unione venga riconosciuta come un bene sociale sullo stesso piano della famiglia, questo evidentemente è impossibile», dice chiaro e tondo a Radio Vaticana. Nicolli passa quindi a criticare la «cultura che in questi ultimi decenni ha enfatizzato il benessere personale», sottolineando che «così ha perso di vista il valore del matrimonio e della famiglia». E rivendicando una voce in capitolo per la Chiesa, «forse l’unica rimasta a difendere questo valore, almeno in Italia», torna a difendere la famiglia: «Ha bisogno della stabilità, quindi del matrimonio, di un patto sociale, di riconoscersi non solo come un fatto privato ma come un bene comune, un bene sociale, e non c’è nessun’altra realtà che può essere paragonata a questa». Al niet di Nicolli si aggiunge l’accorata protesta di monsignor Alessandro Maggiolini: «Ma come si farà adesso a parlare di amore?», chiede il vescovo emerito di Como. «Sapevo che prima o poi l’avrebbero approvato» commenta amaro l’alto prelato, il quale si augura che al Senato «si possa assistere ad una prova di discernimento. Spero che lì ragionino un po’ di più, discutano un po’ di meno, e vedano che la famiglia è importante, che un padre deve fare il padre e una madre la madre, che il matrimonio è una cosa seria basata sull’amore reciproco e per sempre. A meno che», chiosa, «due individui non si vogliano pacsare solo per ottenere vantaggi economici».
E intanto giunge una «buona notizia» anche per i piccoli risparmiatori e per le famiglie numerose: dal primo luglio le tasse sui Bot e gli altri titoli di Stato – anche quelli già emessi – lieviteranno dal 12,5% al 20%
CARI «CATTOLICI DEMOCRATICI E ADULTI» A VOI DOBBIAMO GRATITUDINE PER QUESTE ROVINE SOCIALI…



1) Prodi suona la marcia nuziale ai gay
2) Non più Pacs ma «Dico» e con effetto retroattivo
3) La Chiesa non ci sta: matrimoni di serie B    di Andrea Tornielli
4) Perché la Chiesa non può dire sì

1)


Prodi suona la marcia nuziale ai gay


La fotografia che meglio racconta la lunga giornata di trattative, distinguo e mediazioni sul disegno di legge sulle coppie di fatto arriva a tarda sera. Quando Prodi e Mastella s’incontrano nella chiesa di San Giovanni in Laterano, per la Messa che celebra il 39esimo anniversario della comunità di Sant’Egidio. E si scambiano una cordialissima stretta di mano. A certificare che, nonostante Mastella abbia disertato il Consiglio dei ministri che qualche ora prima ha dato il via al ddl sui Pacs, tra i due non c’è tensione.
È la fotografia di un accordo del quale in pochi sembrano davvero soddisfatti. Né i teodem, costretti a bere l’amaro calice, né la sinistra radicale, che in nome della diplomazia ha dovuto concedere non poco alle pressioni arrivate negli ultimi giorni da Oltretevere. Con Mastella – fermo sul suo «no» – che alla fine pare l’unico vincitore. E Prodi costretto a fare buon viso, con tanto di espiazione serale in basilica.
Non è un caso che Prodi si dichiari soddisfatto e Rutelli e Fassino, terminato il Consiglio dei ministri, parlino di scelta di «equilibrio». Concetto che riassume non tanto la riunione straordinaria a Palazzo Chigi, quanto la lunga giornata d’incontri e mediazioni che la precedono. Una maratona iniziata di prima mattina, quando Prodi decide di dare una netta accelerata alla trattativa in modo da archiviare il braccio di ferro sulle coppie di fatto prima della sua partenza per l’India. Da oggi fino al 15 febbraio, infatti, il premier sarà lontano dall’Italia e lasciare aperta una questione tanto esplosiva – visti già i tanti nodi sul tavolo della maggioranza (dall’Afghanistan alla base di Vicenza) – sarebbe stato forse troppo rischioso.
Così è nell’incontro tra i due vicepremier (Rutelli e D’Alema), il titolare dell’Interno Amato, quello della Giustizia Mastella e i due ministri competenti Bindi e Pollastrini (Famiglia e Pari opportunità) che di fatto si tirano le somme e si trova l’intesa sul tanto discusso articolo 1, quello che definisce chi, come e perché può diventare titolare dei diritti elencati nei successivi 17 articoli del ddl. E il punto di mediazione sta nel fatto che i due conviventi non dovranno fare una dichiarazione congiunta, ma semplicemente contestuale.
Una differenziazione che non è affatto terminologica ma che di fatto rappresenta lo spartiacque su cui Rutelli è riuscito a tenere insieme la Margherita. Insomma, non una sola dichiarazione per due, ma due diverse. Una correzione che permette all’ala più cattolica di svicolare dall’accusa di aver dato vita a un matrimonio di serie B. Il punto d’equilibrio di cui Rutelli – che nei giorni scorsi ha lamentato più volte in privato le pressioni d’Oltretevere – si farà forte nei prossimi mesi per evitare tensioni con il Vaticano.
Se il compromesso fa rientrare di fatto lo strappo dei teodem (che non si pronunciano ma «riconoscono lo sforzo di mediazione»), a essere insoddisfatta è la sinistra radicale. Lo dice chiaro Ferrero, che durante il Consiglio dei ministri parla di «soluzione di basso profilo». E le perplessità maggiori sono proprio sulle «modalità di registrazione». L’esponente del Prc non ne fa mistero neanche con i cronisti. «Alcuni punti – spiega – andranno ridiscussi in Parlamento».


di Adalberto Signore
Il Giornale n. 34 del 2007-02-09



2)


Non più Pacs ma «Dico» e con effetto retroattivo


Convivenza all’italiana. I Pacs francesi diventano nel nostro paese i Dico, diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi.
Diritti e doveri per le coppie, etero ed omosessuali. I destinatari del ddl saranno i conviventi ovvero «Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale». Persone che non devono essere «legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno». Dunque via libera al riconoscimento delle coppie in quanto tali senza discriminazioni di sesso.
La retroattività. La convivenza è «provata dalla risultanze anagrafiche», ovvero dal certificato di residenza anche con valore retroattivo. Se la dichiarazione non viene data «contestualmente» da entrambi, chi la rende deve darne comunicazione «mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’altro convivente». Questo affinché qualcuno non dichiari una convivenza non condivisa. Un caso potrebbe essere quello della badante di un anziano. Per le coppie già conviventi la comunicazione va data entro nove mesi dall’entrata in vigore della legge. La convivenza potrà essere certificata da testimonianze.
Eredità. Necessari nove anni di convivenza certificata per concorrere «alla successione legittima dell’altro convivente». Si avrà diritto «a un terzo dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio e a un quarto se ci sono due o più figli». In caso di «concorso con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle» al convivente è devoluta la metà dell’eredità». E se non ci sono figli o di fratelli o sorelle al convivente vanno «due terzi». In assenza di parenti entro il terzo grado il convivente erediterà tutto. L’aliquota sarà del 5 per cento se si superano i 100.000 euro. Per tale norma è prevista un onere di spesa da parte dello Stato di 4 milioni e 600mila euro nel 2008 e 5 milioni dal 2009. La questione della reversibilità della pensione è rimandata alla riforma delle pensioni.
Alimenti. Per il diritto agli alimenti ci deve essere alle spalle una convivenza di almeno tre anni. «Nell’ipotesi in cui uno dei due conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, l’altro convivente è tenuto a prestare gli alimenti» ma per un periodo «determinato in proporzione alla durata della convivenza». L’obbligo di versare gli alimenti cessa in caso di un matrimonio o di una nuova convivenza.
Lavoro e immigrati. Previste le agevolazioni in caso di trasferimento di sede per i conviventi dei dipendenti pubblici e privati per mantenere la residenza comune se si vive insieme almeno da 3 anni. Inoltre «il convivente che abbia prestato attività lavorativa continuativa nell’impresa di cui sia titolare l’altro convivente può chiedere…il riconoscimento della partecipazione agli utili d’impresa in proporzione all’apporto fornito». L’extracomunitario privo di permesso di soggiorno potrà richiederlo se convivente con un italiano.
Malattia. Saranno le strutture ospedaliere a stabilire le modalità di accesso per visita o assistenza del convivente che potrà comunque decidere, previa dichiarazione scritta e autografata del partner, cure, espianto degli organi e modalità del funerale.
Case e affitto. Conviventi entreranno nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari e subentreranno nel contratto d’affitto se ci sono almeno tre anni di convivenza.
Esclusi e sanzioni. Non possono accedere a tali diritti i condannati per omicidio o tentato omicidio del precedente partner dell’altro. Chi dichiara il falso rischia da uno a tre anni di carcere e fino a 10.000 euro di multa.


di Francesca Angeli
Il Giornale n. 34 del 2007-02-09



3)


La Chiesa non ci sta: matrimoni di serie B


«Non ci pronunceremo fino a che non avremo letto il testo», ha dichiarato ieri sera il segretario della Cei Giuseppe Betori. Ma la delusione è palpabile nei palazzi della Conferenza episcopale italiana, nonostante che il testo «partorito» dal governo sia diverso rispetto alla bozza diffusa nei giorni scorsi. «Le unioni di fatto non si ritengono per niente vincolate a un patto sociale – ha detto al Gr il direttore dell’Ufficio Famiglia della Cei, monsignor Sergio Nicolli, prima dell’approvazione del disegno di legge – si ritengono esclusivamente un fatto privato. Su questo la Chiesa non dice niente. Però che questa unione venga riconosciuta come un bene sociale, un bene comune sullo stesso piano della famiglia, questo evidentemente è impossibile».
Delusione esprime anche l’arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, che al Giornale spiega: «Bisogna studiare bene il testo. Dalle anticipazioni che ho ascoltato, mi sembra che comunque si tratti di un primo passo verso la realizzazione di matrimoni di serie B, e così viene sentito da quanti avrebbero desiderato introdurre anche nel nostro Paese provvedimenti come quelli della Spagna di Zapatero».
«Il fatto che la dichiarazione all’anagrafe non sia più congiunta ma sia contestuale e distinta per ciascuno dei conviventi rappresenta comunque – spiega l’arcivescovo calabrese – una qualche forma di riconoscimento pubblico, una dichiarazione accolta in un registro comunale: si recepisce insomma pubblicamente l’esistenza della coppia, e anche della coppia formata da due conviventi dello stesso sesso».
Monsignor Nunnari ricorda che molti dei diritti di cui si discute in questi giorni sono già presenti nel nostro ordinamento: «Contrariamente a quanto si crede; i conviventi hanno già i diritti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, se i conviventi vogliono che un immobile appartenga a entrambi, è sufficiente che ne divengano acquirenti insieme; se uno dei conviventi muore, l’altro può subentrargli nel contratto d’affitto, purché entrambi stipulino il contratto».
«Mi sembra comunque che questo riconoscimento pubblico delle convivenze non rappresenti affatto una priorità – aggiunge l’arcivescovo -. La vera priorità è la famiglia e non si può certo dire che nel nostro Paese esistano politiche che la sostengano adeguatamente. L’impressione è quella che si sia voluto iniziare da un aspetto meno rilevante e che poteva comunque essere risolto – come ha spiegato bene più volte lo stesso cardinale Ruini – attraverso modifiche del codice civile nell’ambito dei diritti individuali. Oggi invece sembra che sia diventata una priorità assoluta il riconoscimento delle coppie di fatto e in particolare delle coppie omosessuali.
«C’è da augurarsi che i cattolici impegnati in politica – conclude Nunnari – comprendano qual è la posta in gioco, e agiscano di conseguenza. La Chiesa non intende discriminare nessuno e se ci sono ritocchi o miglioramenti nell’ambito dei diritti individuali per venire incontro a particolari esigenze dei conviventi, quella strada poteva essere seguita. Mi sembra invece che si sia voluto arrivare al riconoscimento pubblico delle convivenze».
Drastico è il vescovo emerito di Como, Alessandro Maggiolini: «Sapevo che prima o poi l’avrebbero approvato, non c’erano dubbi – ha dichiarato -. Mi auguro che nei passaggi parlamentari si possa assistere a una prova di discernimento. Spero infatti che lì ragionino un po’ di più, discutano un po’ di meno, e vedano le cose per quello che sono e cioè che la famiglia è importante, che un padre deve fare il padre e una madre la madre, che il matrimonio è una cosa seria basata sull’amore reciproco e per sempre a meno che… due individui non si vogliano “pacsare” solo per ottenere vantaggi economici.
«Si sta logorando, pian piano, nella coscienza collettiva – conclude Maggiolini – il ruolo della famiglia fondata sul matrimonio».


di Andrea Tornielli
Il Giornale n. 34 del 2007-02-09



4)


Perché la Chiesa non può dire sì


Sono ricomparsi i cattolici democratici cioè i cattolici adulti che scelgono di essere autonomi dai comportamenti che la gerarchia ecclesiastica considera conseguenti al loro stato di cattolici e non a caso il termine stesso cattolici democratici è di conio comunista perché negli anni ’70 indicare «democratico» il linguaggio comunista significava il buon compagno di squadra. Sessanta parlamentari della Margherita rivendicano in quanto cattolici il diritto di dissentire dalle posizioni della Chiesa. Ciò avviene dopo che un solenne articolo di Avvenire annuncia il rigetto da parte della Chiesa italiana della bozza governativa sulle unioni di fatto. Ed è essa stessa un fatto nuovo. Poiché si pensava che, in qualche modo, fosse possibile distinguere tra diritti individuali della persona e formula pubblica di consenso e quindi esistesse uno spazio di compromesso. Invece l’annotazione sullo stato anagrafico di coloro che costituiscono la coppia derivando da questa annotazione precisi diritti ed obblighi è giudicata dall’articolo di Avvenire una violazione dello stato riconosciuto alla famiglia dalla Costituzione.
All’articolo di Avvenire ha risposto il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, chiedendosi se la Chiesa sceglieva la destra. Ha cioè inteso la posizione del quotidiano cattolico come una scelta di parte. E ha rimpianto i tempi passati in cui un governo democristiano poteva introdurre nella legge italiana il divorzio e l’aborto.
Di fatto la Chiesa italiana accettò il principio di secolarizzazione, ma volle in ambedue i casi promuovere un referendum scegliendo di divenire minoranza nella società. Non era la prima volta che la Chiesa si scontrava con la secolarizzazione e finiva per subirla pur riservandosi il principio di contrastarla.
Un largo spazio venne allora accordato all’autogoverno politico del laicato cattolico in base al principio dell’autonomia delle realtà politiche. Principio che fa parte della dottrina sociale della Chiesa. Ma la secolarizzazione è giunta a un punto in cui essa riguarda l’essenza stessa del vivere sociale, il principio di un bene comune che vincola i singoli e attribuisce loro diritti e doveri. La famiglia infatti è il fondamento della morale come norma differente da quella giuridica. È il luogo in cui nasce a un tempo la coscienza del singolo come persona e come relazione: e ciò in funzione di un vincolo che trascende il singolo.
Il partito cristiano come forma confessionale o di riferimento ecclesiastico è finito in tutta Europa e la mediazione da esso esercitata si è estinta. La Chiesa è giunta a un punto tale che la gerarchia interviene direttamente nelle cose della politica quando esse hanno per oggetto il fondamento stesso del vivere sociale.
La convivenza di fatto ha infatti in sé un principio, quello del rifiuto del vincolo e dell’affidamento alla sola volontà delle parti di mantenere o risolvere la relazione. Ciò significa un principio di individualismo totale, per cui il singolo ha per coscienza solo la sua libera scelta e può determinare il rapporto come un mero dato di fatto perché non si vuole riconoscere come vera relazione.
La condizione omosessuale viene interpretata come scelta culturale fondata sulla volontà individuale. Ciò sottolinea ancora di più, al di là del riconoscimento del fatto omosessuale, il principio della scelta individuale come unico fondamento del rapporto.
Si può dire che così va il mondo e che la crisi della famiglia avviene in caduta libera, i vincoli si spezzano e i rapporti sono effettivamente affidati alla scelta di fatto.
La bozza della proposta di governo permetterebbe un rapporto che non si vuole riconoscere come vincolo per valere come mero fatto, prevedendo la sua rapida annullabilità. In queste condizioni la Chiesa ritiene di dover difendere il principio della famiglia come base della vita in relazione, nel riconoscimento che vi è qualcosa che trascende nella relazione la volontà del singolo. Dare i benefici del diritto alla legge che riconosce il mero fatto e lo lascia dissolvere alla semplice decisione delle parti o di una di esse, significa per la Chiesa la perdita di ciò che rimane della trascendenza divina nella realtà sociale. E quindi la perdita della coscienza come obbligante anche la stessa volontà della persona che la esercita. A tempi diversi corrispondono reazioni diverse. La Casa delle libertà ha scelto la contrarietà alla forma francese dei Pacs perché anche chi non è credente riconosce il valore della morale come norma trascendente a cui il singolo è educato per principio là dove la famiglia è un vincolo.
bagetbozzo@ragionpolitica.it


di Gianni Baget Bozzo
Il Giornale n. 34 del 2007-02-09