Piccolo bestiario in vitro

“Nascere, guarire, scegliere”.
Lo slogan del fronte del sì al referendum abrogativo della legge 40 sulla fecondazione assistita ha le sue tre parole d’ordine. Senza nessun limite.
Tre verbi messi in fila e subordinati alla volontà di creazionismo dell’uomo contemporaneo: per fare figli – dicono – basta volerlo.
E chissenefrega delle conseguenze.
Eppure gli effetti sono devastanti, per la famiglia, per la società, per i bimbi che verranno senza conoscere il padre, oppure con due padri e senza mamma, o con due mamme e senza il babbo.
Per i figli troppo fragili che verranno scartati.
Il catalogo di quello che non vorremmo mai vedere è lungo ma purtroppo lo abbiamo, in gran parte, già veduto.

I bambini superintelligenti.
Stati Uniti, 12 dicembre 1984.
Nascono quindici bambini da madri fecondate con seme donato da persone con alto quoziente di intelligenza alla banca dello sperma, fondata nel 1979 da Robert Graham.
Dei donatori si conosceva soltanto il nome del premio Nobel per la fisica nel 1956 William Shockley, di 74 anni; delle madri si conosceva soltanto Afton Blake, nubile, psicologa, che aveva già avuto due figli con questo sistema.


La mamma vergine.
1988, Gran Bretagna.
Una donna di 38 anni, Marilyn Wright, ancora vergine per non aver mai trovato, a suo dire, “l’uomo adatto”, ma desiderosa di avere un figlio, si sottopone alla fivet ed ha un figlio.
Il suo esempio sarà seguito da altre donne vergini.


Mamma e babbo: due lesbiche.
L’inseminazione artificiale ha permesso alle coppie lesbiche di avere figli.
La prima fu una coppia statunitense che ebbe due figli, nel 1980 e nel 1985.
La coppia entrò, poi, in crisi e nel luglio 1990 “padre” e madre ricorsero in tribunale per chiedere i bambini in affidamento.
Nel 1982 anche l’ex lanciatrice del disco americana Terri Sabol e la sua compagna divennero genitori di una bambina.
Il donatore del seme fu il fratello dell’atleta.
In Italia, il primo figlio nato da una coppia di lesbiche è del 25 giugno 1994, quando nacque Sara da una coppia assistita dal ginecologo Giuseppe Abrassa di Andora, in Liguria.


Il padre che non c’era e non ci sarà.
Stati Uniti, 1987.
Una donna bianca, Julia Skolnick, partorì una bimba nera per un errore nell’inseminazione artificiale: la donna invece di ricevere il seme che il marito, malato di cancro, aveva depositato in un laboratorio prima di morire, ricevette il seme di un uomo di colore.


L’utero in affitto.
Italia, Roma, 28 febbraio 2000.
Un giudice del Tribunale di Roma ordina con una sentenza un procedimento di fivet mediante l’uso di embrione congelato attraverso la maternità surrogata, cioè il cosiddetto utero in affitto, pratica questa che è vietata dal codice deontologico dei medici.
La vicenda cominciata 5 anni prima riguarda una giovane coppia romana che si era rivolta ad un ginecologo per avere un figlio.
La donna era portatrice di una malformazione dell’apparto genitale che le impediva di portare a termine la gravidanza, ma non le impediva di produrre ovociti.
Per questo nel 1995 la coppia aveva espresso il desiderio di procedere per una fecondazione in provetta con utero surrogato.
Il procedimento era stato eseguito solo nella prima parte (fecondazione artificiale) perché i coniugi erano rimasti in attesa di una donna disponibile a portare avanti la gravidanza e per questo motivo sono stati congelati gli embrioni.
Ma 4 anni dopo il congelamento dell’embrione si accerta la disponibilità di una signora di portare a termine la gravidanza della donna, ma nel frattempo il codice di deontologia medica, approvato pochi anni prima, aveva vietato ai ginecologi di utilizzare uteri in affitto.
A questo punto la coppia ritiene di volersi rivolgere ai giudici chiedendo loro di procedere alla fecondazione con utero in affitto.


Massimiliano Lenzi
(c) Tempi.it, 7/4/02