Identità e statuto embrione umano: il contributo della biologia (Parte II^)

Parte  Seconda


Quando si cerca di rispondere alle due domande principali: 1) Che cosa possono dire legittimamente le scienze sperimentali sullo status dell’embrione?; 2) Che cosa ci dicono le scienze sperimentali su quando inizia il ciclo vitale di un individuo umano?, assai spesso ci si trova di fronte a due ostacoli: una informazione erronea o incompleta riguardo alla embriogenesi umana, e interpretazioni non corrette dei pertinenti dati di osservazione o sperimentali. Lo scopo di questa sezione è precisamente quello di descrivere sinteticamente le tappe principali del processo dello sviluppo umano, particolarmente nei primi 14 giorni dopo la fertilizzazione, in modo da facilitare la risposta a quelle domande.

La epigenesi dell’embrione

Lo zigote o embrione unicellulare


Il “concepimento” di un individuo umano è il punto finale di un complesso processo detto processo di fertilizzazione,1 il cui percorso « consiste di parecchie tappe che avvengono in un ordine obbligato ».2 In questo processo sono impegnate due cellule straordinariamente dotate e teleologicamente programmate: un oocita e uno spermatozoo.


La cronologia di questo processo multigrado inizia immediatamente quando lo spermatozoo aderisce al compatto rivestimento extracellulare dell’oocita, la zona pellucida,3 alla quale si lega strettamente attraverso la mediazione dei recettori per gli spermatozoi presenti nella zona pellucida – costituiti principalmente dalla glicoproteina ZP3 – e delle complementari proteine leganti che si trovano nella membrana plasmatica dello spermatozoo. Sebbene la natura dei recettori complementari, localizzati sulla superficie dello spermatozoo, che legano la ZP3, e degli eventi susseguenti al segnale di transduzione, siano ancora oggetto di studio,4 si sa che, non appena è avvenuto il riconoscimento specie‑specifico tra i gameti, nello spermatozoo legato si completa la reazione acrosomica. La membrana acrosomica esterna e la membrana plasmatica dello spermatozoo si fondono in molti punti dando origine a piccole vescicole che secernono principalmente acrosina, una proteinasi tripsino‑simile. Questo enzima facilita la penetrazione dello spermatozoo attraverso la zona pellucida dissolvendo la matrice della zona e favorendone il legame con un’altra proteina zonale, la ZP2, la quale, interagendo con la testa modificata del gamete maschile lo aiuta ad attraversare la zona alla velocità di circa 1 micron per minuto. Il primo spermatozoo che raggiunge l’esile spazio perivitellinico, situato tra la zona pellucida e la membrana plasmatica dell’oocita, può allora fondersi con quest’ultima, dando immediatamente avvio alla singamia, cioè all’inglobamento dello spermatozoo nell’oocita, sotto la forza trainante dei microvilli e di proteine contrattili – l’actina e la miosina – della zona corticale. Nel caso della fertilizzazione umana, in tale processo sono implicati anche altri fattori complementari, tra cui il CD46, il C3b e C1q.5


A seguito della fusione tra lo spermio e l’oocita, il secondo diviene straordinariamente attivo e inizia una cascata di eventi che culmina nell’avvio dello sviluppo embrionale. Espressione di questa attivazione sono le variazioni nella composizione ionica dell’oocita, dovute principalmente ad un improvviso e transitorio aumento della concentrazione intracellulare degli ioni calcio sotto l’azione dell’oscillina, una proteina recentemente scoperta che induce la propagazione dell’“onda” ionica detta “onda del calcio”, che segna l’inizio dello sviluppo embrionale.6


Si è formata una nuova cellula: lo zigote o embrione unicellulare. Questa nuova cellula incomincia ad operare come un sistema unico, cioè come una unità, un essere vivente ontologicamente unitario, essenzialmente simile – sebbene con alcune peculiarità – ad ogni altra cellula in fase mitotica. Una delle prime attività del nuovo sistema è la reazione corticale, che consiste nella secrezione di enzimi idrolitici – quali le proteinasi, le perossidasi e altri enzimi – da parte delle migliaia di granuli corticali simili ai lisosomi e localizzati nella zona periferica dell’oocita, che porta all’inattivazione dei recettori spermatici nella zona pellucida e all’indurimento della stessa, impedendo così la polispermia e favorendo l’isolamento e la protezione del nuovo essere che inizia il suo proprio ciclo vitale. B. M. Shapiro, dopo aver descritto le complessità delle reazioni chimiche che preparano questo « microincubatore » per il nuovo organismo durante il suo sviluppo precoce, fa osservare che questa notevole capsula di fertilizzazione è necessaria « per la protezione all’inizio dello sviluppo, quando si stabiliscono gli assi embrionali. […] L’avvio del piano somatico complessivo dipende dalla comunicazione intercellulare, e la capsula di fertilizzazione isola i blastomeri dagli influssi extraembrionali »: in realtà « essa è centrale per uno sviluppo normale e costituisce un elegante soluzione nella morfogenesi ».7


La riorganizzazione del nuovo genoma, che rappresenta il principale centro di informazione per lo sviluppo del nuovo essere umano e per tutte le sue ulteriori funzioni, è la più importante tra le molte altre attività di questa nuova cellula. Sulla base di dati molto recenti,8 sappiamo che entro tre‑sei ore dall’incorporazione dello spermatozoo, a partire dal centrosoma maschile presso la base della testa dello spermatozoo incominciano a organizzarsi dei microtubuli che si dispongono a raggiera e l’oocita completa la sua meiosi II con l’estrusione del secondo globulo polare. Mentre i pronuclei maschile e femminile continuano a decondensarsi e si avvicinano l’uno all’altro, il DNA si replica, i microtubuli dal pronucleo maschile proseguono la loro espansione fino a circoscrivere entrambi i due pronuclei che si accostano strettamente l’uno all’altro: è la fase detta di cariogamia, che si verifica attorno alla 15a ora dalla fertilizzazione. A questo punto il centrosoma si divide e, a partire dai pronuclei, si organizza una struttura bipolare di microtubuli. Circa un’ora e mezza dopo, alla prima profase mitotica, i cromosomi maschili e femminili si condensano separatamente, mentre nella struttura dei microtubuli sono chiaramente visibili i poli del primo fuso mitotico. I cromosomi si allineano all’equatore del fuso e si distribuiscono in modo ordinato nel citoplasma che ha incominciato a dividersi, fino a che si sono formate, con il completamento della citodieresi, due cellule, ciascuna dotata di una copia dell’intero genoma, che rimangono unite l’una all’altra formando l’embrione a due cellule.


L’esposizione di questi dati essenziali sulla formazione dello zigote e sul passaggio da embrione unicellulare a embrione di due cellule indica, con tutta evidenza, che alla fusione dei gameti incomincia a operare come una unità una nuova cellula umana, dotata di una nuova ed esclusiva struttura informazionale che costituisce la base del suo ulteriore sviluppo.


Al fine di comprendere meglio l’autentica natura di questa nuova cellula, sono da sottolineare due caratteristiche, che saranno ulteriormente chiarite in seguito. La prima è che lo zigote esiste ed opera dalla singamia come un essere ontologicamente unitario, e con una precisa identità. La seconda è che lo zigote è intrinsecamente orientato e determinato ad un ben definito sviluppo. Entrambe le caratteristiche, identità e orientamento, sono essenzialmente dovute alla informazione genetica di cui è dotato. Questa informazione – sostanzialmente invariante – è, in realtà, il fondamento della appartenenza dello zigote alla specie umana e della sua singolarità individuale o identità, e contiene un completo programma codificato, che lo dota di enormi potenzialità morfogenetiche che si realizzeranno autonomamente e gradualmente durante il processo epigenetico rigorosamente orientato. Queste potenzialità non significano mere “possibilità”, ma rappresentano delle capacità naturali intrinseche ad un essere, che è già esistente, di realizzare, nelle dovute condizioni, l’intero piano codificato.


Se la realtà si mostra allo studioso di embriologia così, sorge allora la domanda cruciale: Questa cellula, lo zigote, rappresenta anche il punto esatto nello spazio e nel tempo dove un nuovo organismo individuale umano inizia il suo proprio ciclo vitale? Per rispondere a questa domanda è indispensabile l’analisi del processo epigenetico che parte da questa cellula. Al nostro scopo, sono da distinguere tre periodi: (1) dallo zigote alla blastociste; (2) dalla blastociste al disco embrionale; e (3) dal disco embrionale al feto.


 


Dallo zigote alla blastociste


In un periodo di circa cinque giorni, si ha una rapida moltiplicazione cellulare sotto il controllo di un largo numero di geni coinvolti in molti eventi del ciclo mitotico,9 dalla produzione di cicline e proteine‑kinasi, che regolano il ciclo stesso, alla sintesi di enzimi e altre proteine necessarie per la strutturazione e l’attività del crescente numero di cellule. Questa crescita, tuttavia, è completamente diversa da quella che avviene nelle colture cellulari in vitro. Infatti, dallo stadio di 2‑8 cellule esse rimangono legate tra loro mediante microvilli e ponti citoplasmatici intercellulari, che facilitano la trasmissione di segnali tra cellula e cellula, assolutamente necessaria per un accrescimento ordinato. Questo contatto diventa altamente adesivo allo stadio di 8‑32 cellule, detto di morula: stadio che è caratterizzato da due processi principali: la compattazione e la polarizzazione.


Durante la compattazione, fra il terzo e quarto ciclo cellulare (il secondo e terzo giorno dalla fertilizzazione), – definito da H. Vögler come « la fase della riorganizzazione delle singole cellule e della reciproca interazione »10 – le cellule aderiscono tra loro ancora più fortemente, massimizzando l’area di contatto e formando particolari complessi giunzionali,11 chiamati tight junctions e gap junctions, che favoriscono un rapido trasporto intercellulare di ioni e molecole segnale ed il progresso del normale processo di sviluppo, che potrebbe invece risultare alterato in assenza anche di una sola proteina giunzionale.12


Durante la polarizzazione13 intorno al quarto giorno dalla fertilizzazione, si assiste ad una ridistribuzione di strutture endocellulari quali il nucleo, i mitocondri, i microtubuli, le grosse molecole come l’actina, la clatrina, la caderina (uvomorulina) – una molecola di adesione – e l’enzima adenosina trifosfatasi (ATPasi). Al quarto ciclo di moltiplicazione cellulare possono così essere chiaramente riconosciuti due tipi di cellule: quelle polari in cui è avvenuta la ridistribuzione, e quelle apolari. Esse assumono posizioni differenti: alla perifieria le prime e al centro le seconde, e ricevono un destino differente, le prime dando origine alla linea cellulare trofoblastica e le seconde alla linea cellulare embrioblastica, imprimendo così all’embrione una vera eterogeneità morfologica.


Questa eterogeneità diviene ancora più evidente al quinto giorno dalla fertilizzazione, (sesto o settimo ciclo cellulare), quando appare la blastociste, formata da circa 64‑128 cellule. Allora possono essere distinti tre tipi di strati cellulari, istologicamente differenti e con destini diversi: il trofoblasto murale e il trofoblasto polare, derivanti dalla differenziazione delle cellule della linea trofoblastica; l’ectoderma primitivo e l’endoderma, derivanti dalla differenziazione della massa cellulare interna formata dalla linea cellulare embrioblastica.


Fino a questo stadio lo sviluppo embrionale avviene all’interno dell’involucro di fertilizzazione, che origina dal processo di indurimento (“hardening”) della zona pellucida, involucro che protegge l’embrione in sviluppo e gli impedisce di aderire alle pareti tubariche. Le membrane cellulari delle cellule del trofectoderma contengono una pompa sodio‑potassio (Na+K+‑ATPasi) rivolta verso il blastocele, che trasporta ioni sodio all’interno della cavità centrale. Questo accumulo di ioni sodio provoca una passaggio osmotico di acqua, che si accumula nella cavità blastocelica aumentandone il volume.14 Quando l’embrione raggiunge l’utero, e prima dell’inizio del processo dell’impianto, la blastociste fuoriesce (“hatching”) dall’involucro di fertilizzazione così che può liberamente aderire all’epitelio endometriale uterino, usualmente nella parte superiore della parete posteriore dell’utero.


 


Dal blastociste al disco embrionale


Sebbene blastocisti umane possano passare in vitro attraverso alcuni dei primi stadi tipici dello sviluppo dopo l’impianto, giungendo fino alla formazione del sinciziotrofoblasto anche in assenza del supporto endometriale, tuttavia vari studi sperimentali sullo sviluppo in vitro di blastocisti di topo, di coniglio e umane suggeriscono che in queste condizioni la crescita embrionale diventa anormale.15 L’impianto appare perciò come obbligatorio per un ulteriore sviluppo embrionale normale.


E ormai ben definito16 che l’impianto, il quale nella specie umana sembra normalmente iniziare appena l’embrione è entrato nell’utero, implica una serie integrata di stimoli e risposte, cioè un dialogo attivo tra cellule materne e cellule della blastociste: fatto che suppone, quindi, un ruolo attivo per ambedue. La natura e l’integrazione dei vari stimoli e risposte, che esigono una precisa sincronia, sono ancora oggetto di studio.17 Tuttavia, ci sia concesso ricordare almeno alcuni dati rilevanti.


L’utero è preparato per l’impianto dall’azione di ormoni steroidei, prodotti nell’ovaio durante una precoce fase secretoria, che influenza la sintesi di proteine steroido‑sensibili. Tra queste vi sono: 1) enzimi, come le peptidasi, le glicosidasi e le esterasi usate nella digestione della zona pellucida e nella modificazione dell’endometrio e del trofoblasto per facilitare l’impianto; 2) proteine impegnate nella protezione del feto dalla risposta immunitaria della madre; e 3) altre proteine che stimolano eo regolano, direttamente o indirettamente, lo sviluppo embrionale, in particolare quelle della famiglia del fattore di crescita epidermico (EGF) e il fattore inibitore della leucemia (LIF).


L’embrione, per parte sua, molto presto dopo l’impianto – o molto verosimilmente anche prima – secerne la proteina b‑1 specifica di gravidanza (sp1), la gonadotropina corionica umana (b‑hCG) e il 17‑b‑estradiolo. Questi favoriscono la permanenza del corpo luteo e collaborano al processo, a tre stadi, dell’adesione dell’embrione all’utero. Nel primo stadio, quello di apposizione, i microvilli dell’epitelio uterino e del trofoblasto (che diventerà sinciziotrofoblasto) si interdigitano, mentre alla superficie della blastociste si accumulano proteine e glicoproteine, tra cui il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) e la 1‑b‑interleukina (IL‑1b), che facilitano gli altri due passi – cioè la adesione all’utero e la penetrazione nello stroma endometriale attraverso l’epitelio uterino –, stabilizzando così definitivamente l’embrione.


Contemporaneamente a questi eventi, nel periodo detto “finestra di impianto”, tra il sesto e il quattordicesimo giorno dal concepimento, l’embrione prosegue lungo i successivi passi della differenziazione. A circa otto giorni di età, nella blastociste – che ha raggiunto un diametro di circa 0,1 mm – appare la cavità amniotica. Nel frattempo l’ectoderma primitivo, derivato dalla massa cellulare interna, diventa un disco – l’epiblasto – composto di cellule cilindriche che, insieme con il sottile strato sottostante di piccole cellule vescicolate dell’endoderma embrionale, forma una struttura bilaminare detta disco embrionale. Al decimo giorno l’amnios si è già differenziato, il sacco vitellinico primitivo è delimitato, ed il trofoblasto polare con il mesoderma extraembrionale dà origine al chorion, da cui si svilupperà la placenta. Tra l’undecimo e il quattordicesimo giorno, dal citotrofoblasto attorno all’embrione si proiettano nel sinciziotrofoblasto delle piccole masse di tessuto, dove esse continueranno a crescere fino a formare i villi coriali, mentre il disco embrionale raggiunge i 0,15‑0,20 mm di diametro, circondato dal chorion. Infine, circa 14 giorni dopo la fertilizzazione, all’estremo caudale dell’embrione appare un denso gruppo di cellule, detto stria primitiva, che segna la formazione di un terzo strato di cellule, il mesoderma.


 


Dal disco embrionale al feto


Il disco embrionale, una struttura altamente complessa composta di molte migliaia di cellule, rappresenta un punto di arrivo altamente significativo tra gli stadi iniziali dello sviluppo precoce del nuovo essere umano, e anche un punto decisivo per il suo futuro sviluppo. Infatti, durante le successive tre settimane, in questo disco embrionale – che è un tutt’uno con le cosidette strutture extraembrionali, amnios e chorion in particolare, senza le quali non potrebbe esserci ulteriore sviluppo – è definito il disegno generale del corpo (body plan) e iniziato il modellamento (patterning) dei differenti organi e tessuti, seguito dalla istogenesi e dall’organogenesi.


Alla quinta settimana di gestazione, quando la lunghezza dell’embrione è ancora di poco inferiore a 1 cm, sono già presenti – sia pure allo stato primordiale – le strutture del cervello, del cuore, e di alcuni tratti polmonari, gastro‑enterici ed urinari, ed è iniziata la differenziazione sessuale; alla sesta settimana i primordi degli arti sono chiaramente visibili e alla settima settimana la forma del corpo è completa.


 


Il controllo del processo epigenetico


Questa sommaria analisi del processo di sviluppo a livello morfologico sarebbe sufficiente per risolvere la questione cruciale circa il punto esatto nel tempo quando un nuovo organismo individuale umano inizia il suo proprio ciclo vitale. Tuttavia, assai recentemente, sono emersi nuovi dati che riguardano il controllo del processo epigenetico e che sono in grado di dare maggior forza alla argomentazione sinora esposta.


M. Barinaga, nel presentare i risultati di una intervista a eminenti biologi dello sviluppo, in occasione del primo centenario della nascita della embriologia moderna, fondata da Wilhelm Roux nel 1894, affermava che i ricercatori « stanno arrivando ai segreti di come una singola cellula uovo fertilizzata passi attraverso la complessa e magnificamente orchestrata serie di cambiamenti che creano un intero organismo ».18 Tra i segreti che restano ancora in parte da svelare ricordiamo i più decisivi: 1) Come tutti i processi finora scoperti, dallo zigote al disco embrionale e oltre, possono avvenire con tale ordine e regolarità nello spazio e nel tempo? 2) Che cosa induce e regola la differenziazione cellulare, lo stabilirsi delle linee cellulari, l’ordinata aggregazione di cellule e tessuti nei vari organi e in aree ben definite in modo tale da assicurare armonia e unità nella totalità corporea in crescita? 3) Come può la forma completa di un nuovo soggetto essere generata da una sola cellula, lo zigote?


Non è ancora possibile dare una risposta esaustiva a queste domande. Tuttavia due linee principali di ricerca condotte su molti modelli animali19 – dal piccolo nematode Caenorhabditis elegans (costituito di sole 959 cellule, di cui 302 nervose), agli insetti, anfibi, pesci e mammiferi (primati e uomo inclusi) – hanno fornito dati che offrono alcune importanti chiavi per penetrare un poco di più nella profondità di quei segreti. La prima linea di ricerca è l’analisi delle modificazioni biochimiche che avvengono nelle singole cellule, nelle differenti linee cellulari e in varie regioni del corpo in fase di crescita, con particolare attenzione ai singoli stadi dell’organizzazione della forma definitiva. La seconda linea di ricerca, ora in rapida evoluzione, è la scoperta, attraverso i metodi della genetica classica e, oggi, soprattutto della nuova genetica, dei geni coinvolti nei molti steps epigenetici, dallo zigote fino all’acquisizione della definitiva conformazione somatica.


Alcuni risultati meritano di essere qui ricordati.


E ormai certo che il nuovo genoma, che si stabilisce nello zigote, assume il controllo di tutto il processo morfogenetico sin dai primissimi stadi dello sviluppo.20 « L’attivazione dei geni zigotici è assolutamente essenziale per il proseguimento dello sviluppo »21 anche se una notevole quantità di prodotti di trascrizione (mRNA) e di traduzione (proteine) dei geni di origine materna, accumulati durante la crescita e la maturazione dell’oocita, vengono usati per sostenere i primissimi stadi dello sviluppo; ma essi sono molto presto e gradualmente sostituiti dai nuovi prodotti genici, derivanti dalla trascrizione e traduzione del nuovo genoma dell’embrione.22 Come nota G.M. Kidder, « una importante conseguenza è che tutte le fasi della morfogenesi (se non tutte le divisioni iniziali) prima dell’impianto dipendono dall’espressione di geni propri dell’embrione ».23 Ciò è rivelato dall’esistenza di mutazioni letali, presenti nel genoma embrionale, che operano negativamente nel periodo dello sviluppo pre‑impianto,24 e dalla sensibilità di tre importanti passaggi morfogenetici25 ad agenti che impediscono la trascrizione del DNA o la sintesi delle proteine. Già nel 1976, W. Engel e W. Franke, riassumendo un gran numero di osservazioni sullo sviluppo nel coniglio, concludevano che l’attivazione del nuovo genoma « deve avvenire dallo stadio di una cellula, affinché lo sviluppo possa continuare al di là dello stadio di otto cellule ».26


La prima prova che un’attivazione molto precoce del nuovo genoma avviene anche nell’embrione umano è stata fornita da P. Braude e dai suoi collaboratori.27 Utilizzando 7 zigoti umani e 26 embrioni prodotti in vitro – 6 allo stadio di due cellule, 10 allo stadio di quattro cellule e 10 allo stadio di otto cellule – poterono dimostrare che, almeno nel passaggio da 4 a 8 cellule, il nuovo genoma diventa attivo nel controllo della produzione di nuove proteine. Altri studi con metodi più sensibili hanno recentemente dimostrato che l’attivazione di almeno una parte del genoma del nuovo embrione inizia allo stadio di zigote. M. Fiddler e i suoi collaboratori,28 applicando la nuova tecnica della reazione a catena della polimerasi con trascrizione inversa (RTPCR) trovarono che il gene SRY – il primo gene nella cascata per la differenziazione gonadica – è attivo dallo stadio di una cellula (zigote) a quello di blastula. Con il raffinamento delle tecniche e dei modelli di ricerca, ulteriori dati in questa direzione non mancheranno di aggiungersi a quelli già in nostro possesso.29 Tutti suggeriscono che è proprio il nuovo genoma, che si stabilisce alla fertilizzazione, la base e il costante supporto della unità strutturale e funzionale dell’embrione, che si sviluppa lungo una traiettoria che mantiene sempre una ben definita direzione.


Questa, che fu per lungo tempo una mera intuizione, si trasformò in evidenza solo quando si venne finalmente a conoscenza dei numerosi fattori implicati nella persistente direzionalità dello sviluppo embrionale, e si comprese meglio l’estesa e comprensiva attività del genoma. In realtà, da tutte queste conoscenze emerge anche un’altra conclusione, che la regolazione del processo dello sviluppo è il risultato di un’attività gerarchicamente ordinata di tre principali classi di geni: i geni chiamati “posizionali” (coordinate genes), “selettori” (selector genes) e “realizzatori” (realizator genes).30


I geni posizionali,31 attraverso la produzione e l’attività di “proteine morfogenetiche” e di altre molecole ad azione simile (morfògeni), stabiliscono l’esatta posizione di cellule o gruppi di cellule lungo gli assi antero‑posteriore e dorso‑ventrale dell’embrione, contribuendo così alla definizione del piano corporeo generale.


I geni selettori32 regolano la sequenza dei processi di differenziazione, nel tempo e nello spazio lungo gli assi, che sono determinati dall’attività dei geni posizionali: attraverso la produzione di fattori di trascrizione essi specificano nel piano corporeo generale le numerose regioni dove si verranno a formare i vari organi e tessuti, operazione indicata come modellamento (patterning).


I geni realizzatori,33 sotto l’influenza dei geni selettori dai cui prodotti o fattori di trascrizione sono attivati o repressi, conducono alla definitiva struttura dei singoli organi con i vari tessuti da cui sono costituiti.


In conclusione, il compito specifico di queste migliaia di geni regolatori è quello di determinare la differenziazione delle cellule e la graduale strutturazione dei vari organi, attraverso l’azione di una enorme varietà di macromolecole, di cui controllano la produzione. E facile immaginare la complessità delle interazioni tra questi geni, sia allo stesso livello di organizzazione che a livelli differenti. Questa complessità aumenta necessariamente con il progredire dello sviluppo, e, perciò implica molti altri fattori di regolazione e meccanismi di autocontrollo, specialmente al fine di facilitare le comunicazioni tra l’ambiente extracellulare e le cellule, tra cellula e cellula, e tra il citoplasma e il nucleo che contiene la massima parte dell’informazione genetica.


Di fatto, continuano ad essere progressivamente descritte nuove classi di geni,34 che controllano la produzione di importanti molecole, quali le molecole di adesione cellulare (CAM, cell adhesion molecules), le molecole di adesione al substrato (SAM, substrate adhesion molecules), i recettori, e i “secondi messaggeri” o molecole di segnalazione. E sufficiente, ad esempio, che muti uno dei quattro geni dei ricettori del fattore di crescita fibroblastico (FGFR) perché si manifestino nell’embrione delle gravi malformazioni. Per ricordarne una sola di queste, una mutazione nel gene del recettore 3 (FGFR3) provoca la displasia tanatoforica.35 Giustamente L. Wolpert ha fatto notare che “La chiave vera per capire lo sviluppo sta nella biologia cellulare, nei processi di transduzione dei segnali e di controllo dell’espressione dei geni che portano a modificazioni nello stato, nei meccanismi e nella crescita delle cellule”.36


 


‘induzione biologica


Finora si sono brevemente descritti i primi stadi dello sviluppo dell’embrione umano, e si è accennato al suo controllo genetico. Non si è inteso né verificare né falsificare alcuna particolare ipotesi. Lo scopo era di offrire la conoscenza di alcuni aspetti essenziali del complesso processo biologico che è lo sviluppo di un essere umano. Questa conoscenza è la premessa necessaria per una risposta alle domande: 1) Quale è lo stato di un embrione umano precoce?, e 2) Quando un essere umano comincia il suo proprio ciclo vitale?.


Per rispondere a queste domande non è necessario formulare nuove ipotesi, ma semplicemente analizzare i nostri dati induttivamente. Questo può essere fatto prendendo in considerazione le tre principali proprietà che caratterizzano l’intero processo epigenetico il quale, secondo C.H. Waddington che introdusse il termine di epigenesi, potrebbe essere descritto come « l’emergenza continua di una forma da stadi precedenti ».37


 


La coordinazione


La prima proprietà è la coordinazione. Lo sviluppo embrionale, dal momento della fusione dei gameti fino alla formazione del disco embrionale circa 14 giorni dopo la singamia, e ancora più evidentemente dopo, è un processo dove esiste una sequenza e interazione coordinata di attività molecolari e cellulari, sotto il controllo del nuovo genoma, che è modulato da una cascata ininterrotta di segnali trasmessi da cellula a cellula e dall’ambiente esterno eo interno alle singole cellule.


Precisamente questa innegabile proprietà implica e, ancora più, esige una rigorosa unità dell’essere che è in costante sviluppo. Più la ricerca scientifica progredisce, più questa unità appare essere garantita dal nuovo genoma, dove un gran numero di geni regolatori assicurano il tempo esatto, il posto preciso e la specificità degli eventi morfogenetici. J. Van Blerkom, concludendo un’analisi della natura del programma di sviluppo dei primi stadi degli embrioni di mammiferi, sottolinea chiaramente questa proprietà: « Le prove disponibili suggeriscono che gli eventi nell’oocita in maturazione e nell’embrione precoce seguono una sequenza diretta da un programma intrinseco. L’evidente autonomia di questo programma indica una interdipendenza e coordinazione ai livelli molecolare e cellulare, che ha come risultato l’espressione di una cascata di eventi morfogenetici ».38


Tutto ciò conduce alla conclusione che l’embrione umano – come ogni altro embrione – anche nei suoi primi stadi non è, come afferma N.M. Ford « soltanto un ammasso di cellule », « ciascuna delle quali è un individuo ontologicamente distinto »,39 ma che l’intero embrione è un reale individuo – nel senso dichiarato nella prima parte – dove le singole cellule sono strettamente integrate in un processo mediante il quale esso traduce autonomamente, momento per momento, il suo proprio spazio genetico nel suo proprio spazio organismico.


 


La continuità


La seconda proprietà è la continuità. Sembra innegabile, sulla base dei dati sinora presentati, che alla singamia inizia un nuovo ciclo vitale. « La funzione ultima dello spermatozoo è di fondersi con la membrana plasmatica dell’oocita. Al momento della fusione [singamia] esso cessa di essere uno spermatozoo e diventa parte di una cellula formata di nuovo, lo zigote ».40 Lo zigote è il primordio del nuovo organismo, che si trova proprio all’inizio del suo ciclo vitale. Se si considera il profilo dinamico di questo ciclo nel tempo, appare chiaramente che procede senza interruzioni: il primo ciclo non termina al disco embrionale, né un altro ciclo inizia da quel punto in poi. Un singolo evento, come la moltiplicazione cellulare o la comparsa di vari tessuti e organi, può apparire discontinuo ai nostri occhi; tuttavia, ciascuno di essi è l’espressione finale, a un dato istante, di una successione ininterrotta di eventi – si potrebbe dire infinitesimali – connessi l’uno con l’altro senza una soluzione di continuità.


Questa proprietà implica e stabilisce la unicità o singolarità del nuovo essere umano: dalla singamia in poi esso è sempre lo stesso individuo umano che si costruisce autonomamente secondo un piano rigorosamente definito, pur passando attraverso stadi che sono qualitativamente sempre più complessi.


 


La gradualità


La terza proprietà è la gradualità. La forma finale è raggiunta gradualmente: si tratta di una legge ontogenetica, di una costante del processo riproduttivo. Questa legge del graduale costruirsi della forma finale attraverso molti stadi partendo dallo zigote implica ed esige una regolazione che deve essere intrinseca ad ogni singolo embrione, e mantiene lo sviluppo permanentemente orientato nella direzione della forma finale. E precisamente a causa di questa legge epigenetica intrinseca, la quale è scritta nel genoma e incomincia ad operare dal momento della fusione dei due gameti, che ogni embrione – e quindi anche l’embrione umano – mantiene permanentemente la propria identità, individualità e unicità, rimanendo ininterrottamente lo stesso identico individuo durante tutto il processo dello sviluppo, dalla singamia in poi, nonostante la sempre crescente complessità della sua totalità.


W.J. Gehring riconobbe chiaramente questa legge, anticipando i futuri progressi della genetica dello sviluppo: « Gli organismi – scriveva – si sviluppano secondo un preciso programma che specifica il loro piano corporeo in grande dettaglio e determina inoltre la sequenza e la temporizzazione degli eventi epigenetici. Questa informazione è immagazzinata nelle sequenze *nucleotidiche del DNA […]. Il programma di sviluppo consiste in un preciso quadro spaziale e temporale di espressione dei geni strutturali che formano la base dello sviluppo. Lo sviluppo normale richiede l’espressione coordinata di migliaia di questi geni in una modalità concertata. Poiché il controllo indipendente dei singoli geni strutturali condurrebbe a uno sviluppo caotico, noi possiamo predire che ci sono geni di controllo che regolano l’attività coordinata di gruppi di geni strutturali ».41


La risposta


E evidentemente chiaro che le tre proprietà ricordate, ad una considerazione spassionata, soddisfano perfettamente i criteri essenziali stabiliti da una riflessione meta‑biologica per la definizione di un “individuo”.


Perciò la induzione logica dai dati forniti dalle scienze sperimentali conducono all’unica possibile conclusione, e cioè che, a parte fortuiti eventi di disturbo, alla fusione dei due gameti un nuovo reale individuo umano incomincia la propria esistenza, o ciclo vitale, durante il quale – date tutte le condizioni necessarie e sufficienti – realizzerà autonomamente tutte le potenzialità di cui è intrinsecamente dotato. L’embrione, pertanto, dal tempo della fusione dei gameti è un reale individuo umano, non un potenziale individuo umano.


Noi riteniamo che le chiare affermazioni della Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1987, siano scientificamente corrette. Esse recitano: « Dalle recenti acquisizioni [del]la biologia umana [… si …] riconosce che nello zigote derivante dalla fecondazione si è già costituita l’identità biologica di un nuovo individuo umano ».42





RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


(1) Cf R. Yaganimachi, Mammalian fertilization, in E. Knobil, J.D. Neill (a cura di), The Physiology of Reproduction, New York, Raven Press, 2nd ed., 1994, vol. 2, 189‑317.


(2) Cf P.M. Wassarman, The biology and chemistry of fertilization, Science 1987, 235: 553‑556, p. 553. Vedi anche: Id., Fertilization in mammals, Scientific American 1989, 256 (6): 78‑84; R.J. Aitken, The Complexities of Conception, Science 1995, 269: 39‑40.


(3) Cf P.M. Wassarman, Zona pellucida glycoproteins, Annual Review of Biochemistry 1988, 57: 415‑442; R.B. Shabanowitz, M.G. O’Rand, Characterization of the human zona pellucida from fertilized and unfertilized eggs, Journal of Reproduction and Fertility 1988, 82: 151‑161. J. Dean, Biology of mammalian fertilization: role of the zona pellucida, Journal of Clinical Investigation 1992, 89: 1055‑1059. La zona pellucida dei mammiferi è costituita da tre principali glicoproteine differenti (ZP1, ZP2 e ZP3). La gliocoproteina zonale più studiata è la ZP3, a motivo del fatto che questa molecola, almeno nel topo, gioca un ruolo determinante nel riconoscimento dello spermio e nella induzione della reazione acrosomiale.


(4) Cf M.G. O’Rand, Steps in fertilization process: understanding and control, Advances in Experimental Medicine and Biology 1986, 207: 383‑393; D. Ralt, M. Goldenberg, P. Fetterholf, D. Thompson, J. Dor, S. Mashiach, D.L. Garbers, M. Eisenbach, Sperm attraction to a follicular factor(s) correlates with human egg fertilizability, Proceedings of the National Academy of Sciences 1991, 88: 2840‑2844; C.P. Blobel, T.G. Wolsberg, C.W. Turck, D.G. Myles, P. Primakoff, J.M. White, A potential fusion peptide and an integrin ligand domain in a protein active in sperm‑egg fusion, Nature 1992, 356: 248‑252; L.H. Book Binder, A. Cheng, J.D. Bleil, Tissue and species‑specific expression of sp56, a mouse sperm fertilization protein, Science 1995, 269: 86‑89; D.J. Burks, R. Carballada, H.D.M. Moore, P.M. Sailing, Interaction of tyrosine‑kinase from human sperm with the zona pellucida at fertilization, Science 1995, 269: 83‑86; X. Gong, D.H. Dubois, D.J. Miller, B.D. Shur, Activation of a G‑protein complex by aggregation of b‑1,4‑galactosiltransferase on the surface of the sperm, Science 1995, 269: 1718‑1721.


(5) Cf D.J. Anderson, A.F. Abbot, R.M. Jack, The role of complement component C3b and its receptors in sperm‑oocyte interaction, Proceedings of the National Academy of Sciences 1993, 90: 10051‑10055; M. Okabe, S. Matzno, T. Nagira, T. Nimura, Y. Kawai, T. Mayumi, A human sperm antigen possibly involved in binding andor fusion with zona‑free hamster eggs, Fertility and Sterility 1990, 54: 1211‑1226; F. Fusi, R.A. Bronson, Y. Hong, B. Ghebrehiwei, Complement component C1q and its receptor are involved in the interaction of human sperm with zona‑free hamster eggs, Molecular Reproduction and Development 1991, 29: 180‑188.


(6) Cf P.M. Wassarman, The biology and chemistry of fertilization, art. cit. p. 554. Vedi anche: M. Withaker, C. Swann, Lighting the fuse at fertilization, Development 1993, 117: 1‑12; J. Parrington, K. Swann, V.I. Shevchenko, A.K. Sesay, F.A. Lai, Calcium oscillation in mammalian eggs triggered by a soluble sperm protein, Nature 1996, 32: 364‑368.


(7) Cf B.M. Shapiro, Control of oxidant stress at fertilization, Science 1991, 252: 533‑536, p. 536.


(8) Cf G. Palermo, S. Munné, J. Cohen, The human zygote inherits its mitotic potential from male gamete, Human Reproduction 1994, 9: 1220‑1225; Z.P. Nagy, J. Liu, H. Joris, P. Devroey, A. Van Steirteghem, Time course of oocyte activation, pronucleus formation and cleavage in human oocytes fertilized by intracytoplasmic sperm injection, Human Reproduction 1994, 9: 1743‑1748; R. Asch, C. Simerly, T. Ord, V.A. Ord, G. Schatten, The stages at which human fertilization arrests: microtubule and chromosome configurations in inseminated oocytes which failed to complete fertilization and development in humans, Human Reproduction 1995, 10: 1897‑1906; D. Dozortsev, A. Rybouchkin, A. De Sutter, C. Qian, M. Dhont, Human oocyte activation folllowing intracytoplasmic injection: the role of sperm cell, Human Reproduction 1995, 10: 403‑407; C. Simerly, G.J. Wu, S. Zoran, T. Ord, R. Rawlins, J. Jones, C. Navara, M. Gerrity, J. Rinehart, Z. Binor, R. Asch, G. Schatten, The paternal inheritance of the centrosome, the cell’s microtubule‑organizing center in humans and the implications for infertility, Nature Medicine 1995, 1: 47‑52.


(9) Cf G.A. Schultz, Utilization of genetic information in the preimplantation mouse embryo, in J. Rossant, R.A. Pedersen (a cura di), Experimental approach to mammalian embryonic development, Cambridge: Cambridge University Press 1986, 239‑259; A.W. Murray, N.W. Kirschner, Cyclin synthesis drives the early embryonic cell cycle, Nature 1989, 339: 275‑280; T. Hunt, Cell cycle gets more cyclins, Nature 1991, 350: 462‑463.


(10) Cf H. Vögler, Human blastogenesis: formation of the extraembryonic cavities, Basel: Karger, 1987, p. 13.


(11) Cf S. Caveney, The role of gap junctions in development, Annual Review of Physiology 1985, 47: 319‑335; S. Lee, L.B. Gilula, A.E. Warner, Gap junctional communication and compaction during preimplantation stages of mouse development, Cell 1987, 51: 851‑860; J. Pereda, S. Cheviakoff, H.B. Croxatto, Ultrastructure of a 4‑cell human embryo developed in vivo, Human Reproduction 1989, 4: 680‑688; G. Fishman, L.E. Rogers, T.B. Shows, L. Rosenthal, L.A. Leinwand, The human connexin family of gap junction proteins: distinct chromosomal locations but similar structures, Genomics 1991, 10: 250‑256.


(12) Cf J. Gerhardt, The primacy of cell interaction in development, Trends in Genetics 1989, 5: 250‑256.


(13) Cf M.H. Johnson, B. Maro, Time and space in the mouse early embryo: a cell biological approach to cell diversification, in J. Rossant, A. Pedersen (a cura di), Experimental approach to mammalian embryonic development, op. cit., pp. 35‑65; A. Pedersen, Potency, lineage and allocation in preimplantation mouse embryos, in J. Rossant, A. Pedersen (a cura di), Experimental approach to mammalian embryonic development, op. cit., pp. 3‑33; G.L. Mottla, M.R. Adelman, J.L. Hall, P.R. Gindoff, R.J. Stillman, K.E. Johnson, Lineage tracing demostrates that blastomeres of early cleavage stage human pre‑embryos contribute to both throphectoderm and inner cell mass, Human Reproduction 1995, 10: 384‑391.


(14) Cf R.M. Borland, Transport processes in the mammalian blastocyst, Development of Mammals, 1977, 1: 31‑67; L.M. Wiley, Cavitation in the mouse preimplantation embryo: Na+K+‑ATPase and the origin of nascent blastocoel fluid, Developmental Biology 1984, 105: 330‑342.


(15) Cf R.G. Edwards, Conception in the Human Female, Cambridge: Academic Press 1980, pp. 804‑807.


(16) Cf ibid., pp. 767‑801; K. Yoshinaga, Uterine receptivity for blastocyst implantation, Annals of the New York Academy of Sciences 1988, 541: 424‑431; R.G. Edwards, Human uterine endocrinology and the implantation window, ibid., 445‑454; W‑Y. Chan, W‑R. Qiu, Human pregnancy‑specific b1‑glycoprotein is encoded by multiple genes localized on two chromosomes, American Journal of Human Genetics 1988, 43: 152‑159; J.C. Cross, Z. Werb Z., S.J. Fisher, Implantation and placenta: key pieces of the developmental process, Science 1994, 266: 1508‑1518.


(17) L’impianto della blastociste umana è un « paradosso biologico » (H.W. Denker, Implantation: a cell biological paradox, Journal of Experimental Zoology 1993, 266: 541‑558) che non può essere facilmente spiegato con le conoscenze biologiche attuali. Come possono due cellule epiteliali (le cellule del trofectoderma della blastociste e le cellule epiteliali dell’endometrio) stabilire un così forte contatto tra le loro membrane apicali che sono generalmente prive di cellule di adesione? Per una recente rassegna della letteratura e una discussione su un ipotetico modello molecolare di come possa avvenire l’impianto della blastociste umana, vedi P. Bischof, A. Campana, A model for implantation of the human blastocyst and early placentation, Human Reproduction Update 1996, 2: 262‑270.


(18) Cf M. Barinaga, Looking to development’s future, Science 1994, 266: 561.


(19) Cf W.B. Wood, Community of Caenorhabditis elegans Researchers (a cura di), The nemathode Caenorhabditis elegans, Cold Spring Harbor: Cold Spring Harbor Laboratory, 1988; N. Touchette, Finding clues about how embryo structures form, Science 1994, 266: 564‑565; C. Nuesslein‑Volhard, Of flies and fishes, Science 1994, 266: 572‑574.


(20) Cf T. Magnuson, C.J. Epstein, Genetic control of very early mammalian development, Biological Reviews, 1981, 56: 369‑408; L. Piko, RNA synthesis and cytoplasmic polyadenilation in the one‑cell mouse embryo, Nature 1982, 295: 342‑345; Id., Quantitative aspects of RNA synthesis and polyadenilation in the 1‑cell and 2‑cell mouse embryos, Journal of Embryology and experimental Morphology 1983, 74: 169‑172; L.M. Crosby, F. Gandolfi, R.M. Moore, Control of protein synthesis during early cleavage of sheep embryos, Journal of Reproduction and Fertility, 1988, 82: 769‑775.


(21) Cf R.M. Schultz, D.M. Worrad, Role of chromatine structure in zygotic gene activation in the mammalian embryo, Seminars in Cell Biology 1995, 6: 201.


(22) Cf C.L. Santiago, W.F. Marzluff, Changes in gene activity early after fertilization, in H. Schatten, G. Schatten (a cura di), The Molecular Biology of Fertilization, San Diego, Academic Press, 1989: 303‑322; N.A. Telford, A.J. Watson, Schultz, Transition from maternal to embryonic control in early mammalian development: A comparison of several species, Molecular Reproduction and Development 1990, 26: 90‑100; M.B. Dworkin, E. Dworkin‑Rastl, Functions of maternal mRNA in early development, Molecular Reproduction and Development 1990, 26: 261‑297.


(23) Cf G.M. Kidder, The genetic program for preimplantation development, Developmental Genetics 1992, 13: 319‑325, p. 320.


(24) Cf T. Magnuson, Mutations and chromosomal abnormalities: How are they useful for studying genetic control of early mammalian development?, in J. Rossant, R.A. Pedersen (a cura di), Experimental Approaches to Mammalian Embryonic Development, cit, pp. 437‑474.


(25) Cf G.M. Kidder, McLachlin, Timing of transcription and protein synthesis underlying morphogenesis in preimplantation mouse embryos, Developmental Biology 1985, 112: 265‑275; J.B. Levy, M.H. Johnson, H. Goodall, B. Maro, The timing of compaction: control of major developmental transition in mouse early embryogenesis, Journal of Embryology and Experimental Morphology 1986, 95: 213‑237; P.B. Seshagiri, B.D. Bavister, J.L. Williamson, J.M. Aiken, Qualitative comparison of protein production at different stages of hamster preimplantation development, Cell Differentiation and development 1990, 31: 161‑168.


(26) Cf W. Engel and W. Franke, Maternal storage in mammalian oocytes, in A. Gropp, K. Benirschke (a cura di), Developmental Biology and Pathology, Current Topics in Pathology, Berlin, Springer Verlag, 1976, pp. 29‑52.


(27) Cf P. Braude, V. Bolton, S. Moore, Human gene expression first occurs between the four‑and eight‑cell stage of preimplantation development, Nature 1988, 332: 459‑461.


(28) Cf E. Pergament, M. Fiddler, N. Cho, D. Johnson, W.J. Homgren, Sexual differentiation and preimplantation growth, Human Reproduction 1994, 9: 1730‑1732; M. Fiddler, B. Abdel‑Rahman, D.A. Rappolee, E. Pergament, Expression of SRY transcripts in preimplantation human embryos, American Journal of Medical Genetics 1995, 55: 80‑84; A. Ao, R.P. Erickson, R.M.L. Winston, A.H. Handyside, Transcription of paternal Y‑linked genes in the human zygote as early as the pronucleate stage, Zygote 1994, 2: 281‑287.


(29) Cf Y. Verlinsky, G.  Morozov, V. Gindilis, C.M. Strom, M. Freidine, S. Rechitsky, O. Verlinsky, V. Ivakhnenko, V. Zdanovsky, A. Kuliev, Homeobox gene expression in human oocytes and preembryos, Molecular Reproduction and Development 1995, 41: 127‑132; R. Daniels, T. Kinis, P. Serhal, M. Monk, Expression of myotonin protein‑kinase gene in preimplantation human embryos, Human Molecular Genetics 1995, 4: 389‑393; A. Kuliev, V. Kukharenko, G. Morozov, M. Freidine, S. Rechitsky, O. Verlinsky, V. Ivakhnenko, V. Gindilis, C. Strom, Y. Verlinsky, Expression of homeobox‑containing genes in human preimplantation development and in embryos with chromosomal aneuploidies, Journal of Assisted Reproduction and Genetics 1996, 13: 177‑181.


(30) Cf S. Glueckson‑Waelsch, Regulatory genes in development, Trends in Genetics 1987, 3: 123‑127; M. Kessel, Murine developmental control genes, Science 1990, 249: 374‑379; P.S. Budd, I.J. Jackson, What do the regulators regulate? First glimpses downstream, Trends in Genetics 1991, 7: 74‑76.


(31) Cf L. Reid, From gradients to axes, from morphogenesis to differentiation, Cell 1990, 63: 875‑882; G.B.A. Green, Growth factors as morphogenes: do gradients and thresholds establish body plans? Trends in Genetics 1991, 7: 245‑250; J.B. Gurdon, P. Harger, A. Mitchell, P. Lemaire, Activin signalling and response to a morphogen gradient, Nature 1994, 371, 487‑492; J. Kimble, An ancient molecular mechanism for establishing embryonic polarity?, Science 1994, 266: 577‑578; K. Anderson, One signal, two body axes, Science 1995, 269: 489‑490; J.B. Gurdon, A. Mitchell, D. Mahony, Direct and continuous assessment by cells of their position in a morphogen gradient, Nature 1995, 376: 520‑521; E.H. Davidson, K.J. Peterson, R.A. Cameron, Origin of bilateral body plans: evolution of developmental regulatory mechanisms, Science 1995, 270: 1319‑1325.


(32)  Cf S.A. Newman, Developing systems. Lineage and pattern in the developing vertebrate limbs, Trends in Genetics 1988, 4: 329‑332; P. Hunt, R. Krumlauf, Hox genes coming to head, Current Biology 1991, 2: 304‑306; D.A. Melton, Pattern formation during animal development, Science 1991, 252: 234‑241; D.S. Kessler, D.A. Melton, Vertebrate embryonic induction: Mesodermal and neural patterning, Science 1994, 266: 596‑604; D.J. Roberts, C. Tabin, The genetics of human limb development, American Journal of Human Genetics 1994, 55: 1‑6; R. Krumlauf, C.J. Tabin, Pattern formation and the developmental mechanisms, Current Opinion in Genetics and Development 1995, 5: 423‑425; J. Kimble, J. Smith, Pattern formation and developmental mechanisms, Current Opinion in Genetics and Development 1996, 6: 391‑394.


(33) Cf J.D. Molkentin, E.N. Olson, Defining the regulatory networks for muscle development, Current Opinion in Genetics and Development 1996, 6: 445‑453; H.L. Moses, R. Serra, Regulation by TGF‑b, Current Opinion in Genetics and Development 1996, 6: 581‑586.


(34) Cf B. Geiger, Adherin and catherin, Current Biology 1991, 1: 237‑238; M. Takeichi, Catherin cell adhesion receptors as a morphogenetic regulator, Science 1991, 251: 1451‑1456; P.W. Ingham, Signalling by hedgehog family proteins in Drosophila and vertebrate development, Current Opinion in Genetics and Development 1995, 5: 495‑498.


(35) Cf T.P. Yamaguchy, J. Rossant, Fibroblast growth factor in mammalian development, Current Opinion in Genetics and Development 1995, 5: 485‑491.


(36) Cf L. Wolpert, Do we understand development?, Science 1994, 266: 571.


(37) Cf C.H. Waddington, Principles of Embriology, London: G. Allen and Unwin, 1956, p. 10.


(38) Cf J. Van Blerkom, Extragenomic regulation and autonomous expression of a developmental program in the early mammalian embryo, Annals of the New York Academy of Sciences 1985, 442: 61.


(39) Cf N.M. Ford, When did I begin? Conception of the human individual in history, philosophy and science, Cambridge: Cambridge University Press, 1988, p. 145. Man mano che si rendono disponibili nuovi dati citologici e molecolari sugli embrioni precoci di mammifero, viene a mancare ogni forza all’affermazione di Ford che « almeno fino allo stadio di 8 cellule nell’embrione umano ci sono 8 distinti individui piuttosto che un solo individuo multicellulare » (p. 137).


(40) Cf D.G. Myles, P. Primakoff, Why did the sperm cross the cumulus? To get to the oocyte. Functions of the sperm surface protein PH‑20 and fertilin in arriving at, and fusing with, the egg. Biology of Reproduction 1997, 56: 320‑327.


(41) Cf W.J., Gehring, Homeo‑boxes in the study of development, Science 1987, 236: 1245‑1251, p. 1245.

(42) Cf Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione “Donum vitae” (22 febbraio 1987), Acta Apostolicae Sedis 80 (1988) 70‑102, p. 82.