Perugia: tra massoni e comunisti spunta il vescovo

Monsignor Giuseppe Chiaretti accusa:«Qui c’è un regime». Politici e intellettuali: «Ha ragione»
di Riccardo Paradisi

Tratto da L'Indipendente del 4 novembre 2006

 

A Perugia comandano due Chiese. Ma nessuna delle due è cattolica. La prima si chiama Massoneria. La seconda ieri si chiamava Pci e oggi si chiama Ds». Parola di Roberto Segatori – sociologo all’Università di Perugia ed ex assessore comunale per la sinistra indipendente al comune di Foligno – che in un articolo comparso giovedì scorso sul Corriere dell’Umbria ha disegnato con pennellate efficaci un ritratto tanto impietoso quanto inquietante del panorama politico umbro.
Un quadro dentro il quale la Chiesa cattolica appare come un vaso di coccio stretto tra i vasi di ferro del potere massonico e di quello comunista, poteri strutturati e capillari che spesso e volentieri si intrecciano e saldano assieme. «Due vescovi della terza chiesa perugina», scrive ancora Segatori, hanno provato ad affrontare la massoneria e la sinistra. Ma entrambi ne sono usciti con le ossa rotte». Il primo vescovo a osare fu Cesare Pagani, nella seconda metà degli anni Ottanta. Non si capisce ancora se per ingenuità o indomito coraggio. Sta di fatto che contro di lui, dal giorno in cui denunciò lo strapotere delle logge massoniche in città, si scatenò un’ostilità violentissima. Perugia fu addirittura tappezzata dai manifesti dei massoni che, rispolverando la retorica dei tempi che furono, additavano Monsignore come un’oscurantista. Don Cesarino Pagani scoprì a quel punto due cose: che lui era solo, e che a essere massoni,«non erano solo repubblicani e socialisti storici, ma anche comunisti e peggio ancora cattolici. Ci rimase malissimo», racconta Segatori, «perse vivacità e da lì a poco cominciò il suo declino». Morì di crepacuore, narrano locali leggende devozionali.

Per anni seguì il silenzio: a Perugia sinistra e massoneria continuarono a lavorare tranquille. Poi però le acque hanno cominciato a muoversi: scandali politico affaristici finiti sulle pagine dei quotidiani nazionali, divisioni interne, un potere in affanno nel garantire ancora una redistribuzione delle risorse come in passato e un’immagine esterna difendibile. A sfidare la seconda chiesa quella comunista, è a questo punto, Monsignor Giuseppe Chiaretti. Che a metà ottobre denuncia: in Umbria da sessant’anni c’è un regime che affievolisce le coscienze, dentro il quale il mondo del laicato cattolico patisce una subalternità politica e culturale». Apriti cielo.

La chiesa comunista ha reagito ricordando a monsignore le gestioni bianche della Cassa di risparmio, il mitico buongoverno rosso, e naturalmente il fatto che “i preti non devono occuparsi di politica”. Però stavolta il vescovo non è è rimasto solo. Il mondo del laicato cattolico – dall’associazionismo al sindacato passando per Comunione e liberazione – l’hanno sostenuto, e così hanno fatto intellettuali da posizioni trasversali sulle pagine dei quotidiani locali.

Lo hanno sostenuto il centrodestra e larghi settori dell’imprenditoria umbra. Persino un monumento del vecchio Pci umbro come Lello Rossi ha riconosciuto che il Vescovo ha sollevato un problema che non si può negare.

Qualcosa si muove a Perugia.