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Quando gli islamici combattevano in camicia bruna

Storia delle milizie maomettane arruolate dall’esercito nazista per conto del Gran Muftì Amin Al Husseini, zio di Yasser Arafat e amico personale di Hitler “Allah mit uns”, si potrebbe sintetizzare. Le accuse di nazismo mosse a Israele da parte di alcune associazioioni islamiche italiane, a cui fanno cassa di risonanza certe frange no global che difendono ciecamente Hezbollah e, Hamas, ritornano ai mittenti. Che devono aver rimosso quei quattro anni di storia in cui i Partiti nazionalisti arabi andavano talmente a braccetto con il nazismo da spingere le masse Palestinesi, irachene e magrebine a indossare la divisa delle SS. Il Gran Muftì di Gerusalemme, Hajii Amin Al Husseini dal 1921 in avanti fu la figura di riferimento per tutti i nazionalisti arabi e palestinesi. Da giovane militò nell’esercito ottomano (durante la Prima guerra mondiale) e accumulò un certo bagaglio di conoscenze militari. Negli anni Venti, già leader indiscusso dei musulmani palestinesi, preoccupato che l’immigrazione israeliana potesse mettere in discussione la supremazia araba in Medioriente, iniziò a gettare le basi per un stretta collaborazione con i regimi assolutistici europei. Il Gran Muftì non solo cercò la collaborazione di Adolf Hitler per perseguire i suoi progetti pan-arabi, ma non smise mai di dichiarare un’affinità di fondo con il nazismo di cui apprezzava particolarmente la “soluzione finale”. Tanto che tentò di convincere Hitler ad estendere lo sterminio ebraico nell’Africa del Nord e in Palestina. Suggerì alla Luftwaffe di bombardare Tel-Aviv. E nel febbraio del 1941 chiese alla Germania e all’Italia di Mussolini «di accordare alla Palestina e agli altri stati arabi il diritto di risolvere il problema degli elementi ebraici in Palestina in conformità con gli interessi degli arabi usando lo stesso metodo per risolvere la questione di quello usato nei Paesi dell’Asse». Non ci fu mai una risposta precisa da parte del Führer, che però assecondò sempre il nazionalismo arabo.
Ma il contributo concreto di Husseini alla guerra non si fermò alla propaganda. Reclutò palestinesi e musulmani dell’intero medioriente perché fossero addestrati in Germania e inquadrati in un’apposita divisione di SS conosciuta come “Handzar”, la sciabola dell’Islam, diventata poi tremendamente famosa nel 1943 in Bosnia.
Il 10 febbraio del ’43 Hitler diede l’ok alla creazione della brigata con il compito specifico di combattere i partigiani di Tito. Il 13 febbraio Himmler in persona chiamò l’SS Gruppenführer Arthur Phelps per dargli incarico di iniziare l’addestramento. Il 2 marzo il Gran Muftì si recò a Sarajevo per passare in rassegna le unità musulmane che come segno caratteristico indossavano un fez (rosso per le parate e grigio d’ordinanza) per non tradire le tradizioni del califfato.

LA DIVISIONE HANDZAR, SCIABOLA DELL’ISLAM
Husseini in persona benedisse l’aquila con la svastica e le ossa incrociate sul teschio, logo delle SS. La divisione che raggiunse il numero di ottomila combattenti nel 1944, svolse il periodo di addestramento in Bosnia, in Germania e nell’Alta Loira. Ritornò in Bosnia e fu impiegata nella regione di Tuzla. Di fronte alla crescente affluenza di musulmani nella divisione Handzar, i tedeschi progettarono una seconda unità, la “SS Division Kama”, la cui nascita fu impedita soltanto dalla fine della guerra. Al termine del 1945 Husseini fu arrestato in Francia, scappò nel 1946 e chiese asilo politico in Egitto. Le autorità jugoslave emisero contro di lui un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità. Sarebbe dovuto andare a giudizio a Norimberga assieme ai gerarchi nazisti, ma la Lega Araba lo protesse fino alla morte, nel 1974. Anche altri leader spinsero per la creazione di truppe musulmane da inserire nell’Afrikakorps. Ad esempio, Fawzi Al Qawuqji, capo dei feddayn, e Rashid Alì Kailani, golpista iracheno. L’incapacità di trovare una politica comune pan-araba e i dissidi tra leader «ebbero ripercussioni anche nella formazione dei reparti combattenti arabi» – scrive Carlo Panella nel suo “Libro nero dei regimi islamici” – associati alla Wehrmacht». Nell’agosto del 1942 i reparti arabi furono inviati a Doberitz per l’addestramento. Qui confluirono iracheni, palestinesi, algerini, marocchini e tunisini, che nel settembre 1942 furono tutti e 6mila inglobati nel “Kommando motorizzato 68” per le operazioni speciali” e impiegati nel Caucaso. All’inizio del gennaio 1943 a Tunisi nasce poi la divisione Commando Truppe Tedesco-Arabe. A metà febbraio, il “Kodat”, come era chiamata in gergo l’unità, contava già 4 battaglioni per un totale di 3000 uomini. Diverse nazionalità, stessa religione: tutti musulmani. Solo gli ufficiali e i sottufficiali erano di origine tedesca. E si distinguevano anche dalle divise: questi ultimi indossavano quella regolamentare tedesca con lo stemma al braccio destro utilizzato dalle divisioni Sonderverband 287 e Sonderverband 288, un sole giallo con palma e svastica.

ARABI AL SERVIZIO DELL’ESERCITO TEDESCO
La truppa musulmana, invece, vestiva un’uniforme continentale modello 1935 color kaki senza insegne: portava solo una fascia al braccio destro con la significativa scritta “Im Dienst der Deutschen Wehrmacht” (Al servizio dell’esercito tedesco). Tutte queste unità furono poi incorporate nella Legione Araba, la Freies Arabien o Kommando Deutsche-Arabischer «che rispondeva alle richieste più volte avanzate dal Gran Muftì – si legge sempre nel libro di Panella – e che sia nel distintivo, sia nella divisa riproduceva la bandiera della rivolta araba». Una bella bandiera palestinese.
Quando l’Afrikakorps fu sconfitto, i soldati arabi che si salvarono e riuscirono a rifugiarsi in Italia, furono raccolti nell’845° battaglione di fanteria arabo-tedesco e dirottati in Grecia contro i partigiani, dove, come i colleghi delle SS croate ed Herzeg-Bosniache, si dedicarono ai rastrellamenti. Supportati dalle puntuali fatwa del Gran Muftì, i tedeschi affidarono loro i “lavori” più sporchi.

CLAUDIO ANTONELLI – Libero 31 ago. 06