Padre Pio, difesa delle stimmate
Per rispondere ai sospetti dello storico Luzzatto, i due giornalisti Tornielli e Gaeta riesaminano tutta la documentazione raccolta sulle piaghe del cappuccino di Pietrelcina. Il verdetto: si tratta di accuse vecchie, già risolte e basate su fonti parziali. Leggendo le quattro pagine della PREMESSA scritta dagli autori, si può già comprendere l’importanza del libro…
Un libro per rispondere a un libro. Scomodando Jean Guitton «se la critica può mettere in crisi il credente, la critica della critica può ristabilire la verità». Spentesi le polemiche che a fine ottobre riempirono giornali, talk show e blog, con il volume di Sergio Luzzatto su Padre Pio, ecco un nuovo volume con il proposito «di ristabilire la verità dei fatti», dopo aver riscontrato «affermazioni apodittiche», «omissioni», «approssimazione». Al contrattacco, tra rilievi e contestazioni, riletture di documenti e nuove testimonianze, vanno Saverio Gaeta ed Andrea Tornielli da oggi in libreria con Padre Pio. L’ultimo sospetto (Piemme, pp. 240, 14,90). Convinti che il libro di Luzzatto «rappresenta di fatto un atto d’accusa contro P. Pio sulla base di vecchi e superati sospetti», meno convinti dal suo modo di snobbare le fonti agiografiche («salvo poi riferirsi ad esse… quando può far comodo»), ma, soprattutto, nella certezza che le stimmate per mezzo secolo sul frate di Pietrelcina «non sono sovrastrutture o semplici proiezioni mentali », i due hanno rivisto negli archivi della Congregazione per la Dottrina della fede e in quella delle Cause dei santi, i documenti sul caso e la Positio.
Obiettivo, dimostrare «come i vecchi sospetti, messi in pagina da Luzzatto siano stati abbondantemente superati e risolti». La controinchiesta verte per larga parte proprio sul tema delle stimmate (la miccia – si ricorderà – che accese il dibattito, a partire da sospette richieste da parte del cappuccino di acido fenico e veratrina). Gli autori passano al vaglio ogni fonte coeva circa la scoperta delle piaghe da parte del frate sul suo corpo, sia i successivi racconti da lui fatti a direttori spirituali e confratelli (nel
Che però, oltre alla posizione di Luzzatto sulle stimmate rifiuta anche quella circa il Padre Pio «clerico-fascista ». Se nel cappuccino è innegabile l’avversione per le sinistre, «farne il simbolo del clerico-fascismo, come pretende Luzzatto (…), è una riduzione », scrivono Gaeta e Tornielli. Pronti poi a fargli le pulci sulla tesi che farebbe intravedere nel frate «l’ideologo se non addirittura la \’causa\’ dell’eccidio di San Giovanni Rotondo del 1920», mentre all’origine c’era stata l’uccisione di un carabiniere. Non è finita. Anche sulle contraddizioni di Emanuele Brunatto, benefattore e faccendiere, difensore del cappuccino e spia fascista, ma pure sul reale atteggiamento di Giovanni XXIII verso il frate, sono parecchie le divergenze interpretative. E la querelle tra storici e giornalisti che invertono i ruoli rivendicando patenti e primati?
Qui prende la cifra di uno scontro tra giornalisti magari «devoti» (definizione di Luzzatto), ma che di certo non rinunciano allo scavo sui documenti, e uno storico «agnostico» che non disdegna fogli quotidiani e piccolo schermo. Risparmiamo ai lettori il venenum in cauda del libro, che rilancia sullo storico un «ultimo sospetto» circa il suo ricorso a fonti «inedite », corredato di segnalazioni di sviste, refusi, errori di natura onomastica e… audiatur et altera pars. Chissà cosa direbbe don Giuseppe de Luca. Lui, che ben conosceva il cappuccino, così ne scrisse a un amico il 15 settembre 1934: «Che cosa terribile un santo! (…) Lei sa che ha le stimmate, le vere stimmate innascondibili sono nell’occhio, d’una abbagliante luce, nel suo volto pallido e bruciato da una febbre oltremondana, nella povera persona fiacchissima e percorsa sempre da un brivido terribile, dal pensiero di Dio. In nessuno mai ho visto così presente e \’crudele\’ Iddio…».
Avvenire 26 febbraio 2008