NIENTE QUORUM? NIENTE RIMBORSI

Tratto da http://www.impegnoreferendum.it/NR/exeres/A6C4F3BE-3BFE-4587-9DC5-299183C17F48.htm


Due miliardi di vecchie lire a rischio quorum. Poco più di un milione di attuali euro “pesanti”. C’è anche questo consistente gruzzolo sul tavolo del quorum referendario. Una questione che non viene mai sbandierata, forse per non “inquinare” la presunta “purezza” del dibattito sul merito.

Se, infatti, per i quattro referendum non andasse a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto i comitati promotori non incasserebbero la cifra prevista come rimborso per le spese sostenute. Lo prevede le legge n.157 del 3 giugno 1999, che regolamenta le nuove forme di finanziamento ai partiti tramite i rimborsi elettorali e referendari. Un motivo in più per i promotori per opporsi alla campagna astensionista, visto che in ballo ci sono anche quattrini sonanti.
Ma a chi potrebbero andare, in questa occasione, i rimborsi previsti? I comitati, come è noto, sono costituiti da soggetti di diversa provenienza. I radicali in prima fila ma anche parlamentari del centrosinistra e, in numero minore, del centrodestra. Si tratta di esponenti politici di partiti che incassano già i rimborsi elettorali. Non è quindi da escludere che siano pronti a rinunciare a favore dei meno “ricchi” radicali. Sempre però che raggiungano il quorum.
La legge, all’articolo 1 comma 4, pone infatti precisi paletti: «In caso di richiesta di uno o più referendum, effettuata ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e dichiarata ammissibile dalla Corte costituzionale, è attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma
risultante dalla moltiplicazione di lire mille per ogni firma valida, fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e fino ad un limite massimo pari complessivamente a lire 5 miliardi annue, a condizione che la consultazione referendaria abbia
raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto.
Analogo rimborso è previsto, sempre nel limite di lire 5 miliardi di cui al presente comma, per le richieste di referendum effettuate ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione (le modifiche della Carta costituzionalendr)».
Si può notare, incidentalmente, che la stessa legge sembra fatta apposta per incentivare la presentazione, non di un singolo quesito referendario ma di un “pacchetto” multiplo, perché è intuibile che l’operazione più costosa, quella della raccolta delle firme, comporta impegni finanziari quasi uguali sia per racimolare i consensi a un singolo referendum che per 6, 8 o 10. Mentre il rimborso, in caso di quorum raggiunto, si moltiplica appunto fino a un massimo di
dieci volte.
Dunque, tornando al caso odierno, mille lire (poco più di mezzo euro) per firma, per un massimo di 500 mila firme, quelle necessarie per convalidare la raccolta. Un totale di 500 milioni di vecchie lire per ogni referendum. Che moltiplicati per i quattro quesiti sulla fecondazione assistita fanno, appunto, due miliardi di lire, circa 1.033.000 euro. Quelli a rischio quorum. La legge, come detto, è del 1999. Prima di allora ai comitati promotori non toccava nulla. Chi si impegnava in una sfida referendaria lo faceva a sue spese. Ma, ironia della sorte, anche con la nuova normativa ai comitati non è mai arrivato nulla. Infatti proprio da allora i referendum non hanno mai più
raggiunto il quorum.

L’affluenza alle urne si collocò tra il 31,9 e il 32,5 per cento nel caso dei sette quesiti del 21 maggio 2000. Si fermarono ancora più in basso, al 25,7 per cento, quelli sui licenziamenti e sugli elettrodotti del 15 giugno 2003. Per ulteriore ironia della sorte, uno dei referendum radicali
del 2000 chiedeva, oltre all’abolizione del rimborso delle spese elettorali ai partiti, anche quella dei rimborsi referendari. Gli elettori però non andarono a votare nella misura sperata. Né per quello né per gli altri sei referendum. E i radicali non incassarono, allora, 3 miliardi
e mezzo di lire (500 milioni per sette referendum). La norma è così ancora in vigore. Pur se mai applicata. E il quorum… miliardario rimane sempre a rischio.

di Antonio Maria Mira
(C) Avvenire 10 marzo 2005