Mons. Crepaldi: ecco gli errori dell’ecologismo

Riportiamo un importante intervento su “Chiesa ed ecologia”, pronunciato da monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, a Narbonne il 10 ottobre 2004. Premessa

Talvolta si sente dire che il Magistero sociale della Chiesa cattolica sarebbe piuttosto povero circa le tematiche legate all’ambiente naturale e alla sua salvaguardia. Che ci sia la necessità di un approfondimento della riflessione dottrinale del Magistero sulla vasta problematica dell’ecologia è certamente vero, ma non perché tale Magistero sia stato finora povero o addirittura renitente, quanto perché la dottrina sociale della Chiesa nasce “dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società. Lungi dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove questioni che si presentano di continuo ed esige il contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze”. Da un lato questo insegnamento sociale è “costante”, soprattutto per il suo vitale rapporto con il Vangelo, “dall’altro è sempre nuovo, perché è soggetto ai necessari ed opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle condizioni storiche”. Non c’è dubbio, infatti, che tra le “nuove questioni” ( le res novae) e le variate “condizioni storiche” si dia anche l’insieme delle problematiche che vanno sotto il titolo di “questione ambientale”, che è un aspetto non secondario o, se si preferisce, un modo moderno di presentarsi della “questione sociale”.

In occasione del World Summit sullo sviluppo sostenibile tenutosi a Johannesburg nel 2002, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha pubblicato un interessante sussidio dal titolo: “From Stockholm to Johannesburg. An Historical Overview of the Concern of the Holy See for the Environment”. Scorrendone le pagine è facile rendersi conto di quanto il Magistero abbia prodotto, dal Vaticano II a Paolo VI a Giovanni Paolo II e di come l’attuale Pontefice e la Santa Sede siano stati fortemente presenti nello sviluppo del dibattito mondiale sui grandi temi dell’ambiente e dello sviluppo. Vorrei aggiungere inoltre che anche il Magistero delle Conferenze Episcopali, proseguendo l’insegnamento pontificio e declinandone l’ispirazione di fondo in sede locale e continentale, è stato molto sensibile ai problemi ambientali. Questo Magistero ha trovato poi espressione anche nelle Esortazioni apostoliche Ecclesia in America del 22 gennaio 1999, Ecclesia in Asia del 6 novembre 1999, Ecclesia in Oceania del 22 novembre 2001, che contengono importanti riflessioni sull¹ambiente. Un Magistero senz’altro da approfondire quello sull’ecologia, ma finora piuttosto consistente.

Perdonate, infine, un altro riferimento al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Il 10 e l’11 novembre 2003 il Dicastero pontificio ha organizzato un seminario di studio sul tema: “OGM: minaccia o speranza?”. Anche in questa occasione, seppure a livello di indagine conoscitiva e di esplorazione del nuovo, la Chiesa ha dato prova di attingere da un lato ai principi permanenti del Vangelo e dall’altro di aprirsi al “contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze”, come affermava il passo dell’Istruzione Libertatis conscientia appena citato, per aiutare l’uomo ad orientarsi nelle scelte pratiche relative ai problemi ambientali.

E’ il caso allora, visto che il Magistero anche recente della Chiesa non ha trascurato questo problema, di mettere a fuoco nel loro insieme alcuni degli orientamenti di fondo di questo insegnamento sull’ambiente, evitando, per motivi di tempo, di esaminare le pur interessanti problematiche particolari.

La natura in rapporto a Dio e all’uomo

La prima osservazione da farsi è che quando la Chiesa si occupa della “natura” non la intende solo naturalisticamente. Non sembri un gioco di parole. Essa vede sempre la natura in rapporto a Dio e all’uomo, non la vede solo come un insieme di “cose”, ma anche di “significati”.

La parola Physis, significava per gli antichi filosofi greci, non solo le cose, ma anche il legame di senso che le teneva unite. La Physis era un Cosmo: le cose e, insieme, la loro misura, il loro ordine. Non era quello un ordine antropocentrico, perché per il greco anche l’uomo è cosa tra le cose e nella natura esistono addirittura cose più nobili di lui, come per esempio gli astri del cielo. Ci vorrà il messaggio ebraico-cristiano perché l’uomo emerga sulle altre cose come realtà eminente. L’uomo è creato “ad immagine e somiglianza di Dio” e in Gesù di Nazareth Dio stesso si è fatto uomo: et Verbum caro factum est. Da quel momento il fondamento dell’ordine della natura oltrepassava l’ambito cosmico per fondarsi su un principio assoluto e trascendente e, per lo stesso motivo, l’uomo veniva innalzato sopra il creato. La natura trovava un suo senso in un dialogo tra l’uomo e Dio e le cose stesse trovavano collocazione in un rapporto di amore e di intelligenza.

La scienza moderna avrebbe potuto svilupparsi dentro un simile paradigma, perché nulla di quanto essa afferma lo contraddice. Ma sappiamo che, non per la scienza in sé, quanto per alcune “visioni” della scienza, talvolta la “ragione strumentale” ha avuto ed ha il sopravvento e la natura è stata concepita, per fare l’esempio di Kant, come materia cui l’intelletto umano detta autoritativamente le proprie forme. La visione strumentale della natura, separata dal rapporto con l’uomo dentro un orizzonte di senso radicato in Dio creatore, ha avuto mille espressioni, ma non può vincere ed avere il sopravvento. Per molto tempo la scienza ha “disincantato”, per dirla con Max Weber, la natura, spogliandola del suo riferimento al Dio. Oggi la scienza, ove non venga ideologicamente deviata, mostra sempre di più l’intelligenza che sta dentro la natura e che non può essere semplicemente natura .

Sulla natura l’insegnamento della Chiesa getta la luce della rivelazione, ossia, come afferma la Tertio millennio adveniente – Lettera apostolica di Giovanni Paolo II in vista del Giubileo del 2000 e quindi carica di significati sull’uso “giubilare”, appunto, del Creato -, la luce della creazione e la luce escatologica della redenzione. La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio.

Il Magistero della Chiesa, quindi, non avalla né l’assolutizzazione della natura, né la sua riduzione a mero strumento; ne fa invece teatro culturale e morale nel quale l’uomo gioca la propria responsabilità davanti agli altri uomini, comprese le generazioni future, e davanti a Dio. Questo significa che la natura, biologicamente e naturalisticamente intesa, non è un assoluto, ma una ricchezza posta nelle mani responsabili e prudenti dell’uomo: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà il cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe”. Significa anche che l’uomo ha una indiscussa superiorità sul creato e, in virtù del suo essere persona dotata di un’anima immortale, non può essere equiparato agli altri esseri viventi, né tantomeno considerato elemento di disturbo dell’equilibrio ecologico naturalistico. Significa, infine, che la natura, così come non è tutto non è nemmeno niente e l’uomo non ha un diritto assoluto su di essa, ma un mandato di conservazione e sviluppo in una logica di universale destinazione dei beni della terra che é, come noto, uno dei principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa.

Natura, progetto e finalità

Nella filosofia scolastica la parola natura significava l’ “essenza” (essentia) intesa come principium operationis. Quando si dice la “natura umana” non ci si riferisce semplicemente alla dimensione materiale, fisica, biologica dell’uomo. Questa è l’accezione naturalistica di natura, che è accezione riduttiva. Quando si afferma che la norma morale naturale richiede di vivere secondo la propria “natura di persona umana”, non si vuol dire che la persona si limiti ad una vita meramente biologica-vegetativa. Come si vede, anche qui il termine “natura” è legato ad un progetto e ad una finalità che vanno oltre la dimensione puramente naturalistica e indicano un compito. Per gli animali inferiori, infatti, la natura è un automatismo. Per l’uomo è un compito morale e religioso.

Esistono molte forme, oggi, di idolatria della natura nel senso naturalistico del termine, che confluiscono in un “ecologismo radicale” il quale perde di vista l’uomo. Come esiste la tendenza, solo apparentemente opposta, a risolvere completamente e senza residui la natura nella cultura. Un simile ecologismo radicale emerge spesso nel dibattito sui problemi demografici e sul rapporto tra popolazione, ambiente e sviluppo. In occasione della Conferenza internazionale del Cairo su Popolazione e Sviluppo nel 1994, la Santa Sede ha dovuto contrastare, assieme a molti Paesi del Terzo mondo, l’idea improntata ad un ecologismo radicale secondo cui l’aumento della popolazione nei prossimi decenni sarebbe tale da portare al collasso gli equilibri naturali del pianeta e impedirne lo sviluppo. Queste tesi sono state ormai confutate e, per fortuna, sono in regressione. Nel contempo, però, gli stessi che proponevano questa visione malthusiana, animati da un radicale ecologismo, proponevano, quale mezzo per frenare le nascite e impedire il supposto disastro ambientale, strumenti tutt’altro che naturali, come il ricorso all’aborto e alla sterilizzazione di massa nei Paesi poveri ad alta natalità.

La Chiesa propone una visione realistica delle cose. Essa ha fiducia nell’uomo e nella sua capacità sempre nuova di cercare soluzioni ai problemi che la storia gli pone. Capacità che gli permettono di confutare spesso le ricorrenti, infauste e improbabili previsioni catastrofiche. La Chiesa sa anche però che l’agire umano nei confronti della natura deve essere eticamente orientato. L’enciclica Evangelium vitae interpreta la presenza di questo orientamento come già esistente fin dall’inizio con la proibizione di mangiare dei frutti dell’albero (Gn 2,16-17). Se, infatti, la produzione alimentare è aumentata rispetto alle previsioni e permette quindi di sfamare molte più persone di quanto non si potesse prevedere, è altrettanto vero che la distribuzione del cibo è disuguale e tale da lasciare nella fame una fetta consistente del pianeta.

Il problema ecologico va quindi percepito come problema etico. Questo chiede la Chiesa, dato che “esiste una costante interazione tra la persona umana e la natura”. Ma la natura non può essere intesa in senso etico se considerata solo naturalisticamente, né se viene intesa come campo indiscriminato di esercizio della tecnica. Esistono davanti ai nostri occhi molte prove di questo rapporto complementare tra natura e uomo, tra aspetti materiali e aspetti immateriali del trattamento dell’ambiente. E’ il caso, per esempio, del rapporto tra povertà e degrado ambientale e, al contrario, del rapporto tra supersviluppo e distruzione degli equilibri ambientali. La desertificazione è frutto della povertà, ma la povertà non è un dato naturale né naturalistico, è un fatto storico e culturale. Come tutti sanno tra povertà e desertificazione, cioè tra il fatto storico-culturale del mancato sviluppo e il degrado della natura c’è una circolarità per la quale i due elementi si autoalimentano vicendevolmente. Molti sostengono che nei Paesi sviluppati le cose stanno diversamente perché ci sono maggiori risorse da dedicare all’ambiente. Questo è vero, però anche la moderna civiltà dei consumi provoca profondi squilibri, per esempio nel clima.

Un altro chiaro esempio è dato dal rapporto tra guerre e conflitti in genere e il degrado dell’ambiente. Lo aveva sottolineato il Santo Padre nel Messaggio a Jacques Diouf, Direttore generale della FAO, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione il 4 ottobre 2000: “A questo proposito vale ricordare che la prima causa della deficienza alimentare sono le guerre e i conflitti” e non cause puramente naturali. Non è per colpa della natura che ogni giorno muoiono per mancanza di alimentazione quasi 40 mila persone.

Che ci sia ormai un intreccio molto stretto tra elementi naturali ed elementi culturali in ogni problematica ambientale è paradossalmente reso evidente perfino dalla realtà delle cosiddette “eco-mafie” e del cosiddetto “eco-terrorismo”. Questi due strani neologismi pongono chiaramente in relazione l’ambiente naturale con un suo uso umano, riprovevole ma comunque umano. Anche in senso negativo e criminale, la natura non è semplicemente da intendersi in senso naturalistico.

Ecologia umana

A segnare questa complementarietà sempre più evidente tra ambiente naturale e mondo dell’uomo, tra aspetti materiali ed immateriali dello sviluppo, tra ecologia da un lato e cultura ed etica umane dall’altro Giovanni Paolo II ha felicemente adoperato l’espressione “ecologia umana”. Dio – Egli scrive – non solo ha dato all’uomo la terra, ma gli ha anche dato l’uomo stesso. Egli deve quindi rispettare non solo la natura mediante una “ecologia naturale”, ma anche la degna vita morale dell’uomo mediante una “ecologia umana”. Con i due esempi dell’urbanizzazione e del lavoro, il Santo Padre fa capire che l’una e l’altra sono strettamente legate. Se non si rispetta la natura ne deriveranno dei danni anche per la società: un quartiere urbano degradato provoca anche disagio sociale; contemporaneamente, se non si rispetta l’ecologia dei rapporti umani e sociali ne risulterà deturpato anche l’ambiente.

Il problema ambientale è un problema antropologico: “All’origine dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra e invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui” .

Nella prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, quella ecologica non è solo un’emergenza naturale, è anche un’emergenza antropologica. Il modo di rapportarsi al mondo dipende dal modo di rapportarsi dell’uomo con se stesso. Ma a leggere il passo della Centesimus annus riportato qui sopra, bisogna anche aggiungere che il modo con cui l’uomo guarda dentro se stesso dipende da come si rivolge a Dio. L’errore antropologico è, a sua volta, un errore teologico. Quando l’uomo vuole porsi al posto di Dio, come dice l’enciclica, perde di vista anche se stesso e la sua responsabilità di governo della natura.


Tratto da: SviPop (Magazine su ambiente, sviluppo e popolazione),
16 Ottobre 2004

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