Mons. Caffarra sulla procreazione artificiale: aspetti etici ed aspetti politici

Verona – Ospedale S. Cuore di Negrar
08-02-2003

01. E’ necessario che precisi subito la prospettiva del mio intervento : è la prospettiva etica-politica. Mi fermo su questi due aggettivi che qualificano la prospettiva della mia relazione. Il discorso etico riguarda, cioè ricerca e dimostra, la verità sul bene morale, che è il bene della persona come tale. Poiché ciò che è proprio della persona umana è la sua ragionevolezza, bene morale è l’atto della libertà che sceglie conformemente ai dettami della retta ragione. Ma il nostro è una riflessione di etica-politica. Riguarda cioè l’agire umano in quanto è agire di uno che vive nella società statale: che è cittadino di uno Stato.

Qual è l’oggetto preciso di un discorso di etica politica? esso ricerca e dimostra la verità sul bene comune, cioè concretamente quali azioni promuovono il bene comune e quali azioni sono contrarie al bene comune. A chi compete questa ricerca e questa dimostrazione? Certamente a tutti, dal momento che, per definizione, tutti sono responsabili del bene comune; ma in primis compete a chi ha, a vario titolo, responsabilità istituzionali del bene comune, cioè chi esercita l’autorità. Soprattutto a chi esercita l’autorità legislativa, chi ha cioè il dovere istituzionale di “fare le leggi”. La legge infatti è l’orientamento [uso un termine generico di proposito] impresso nelle scelte dei cittadini in ordine al bene comune. È la legge che determina quali azioni devono essere compiute, quali non devono essere compiute per il bene comune.

Ne deriva che l’esistenza di leggi giuste è uno dei tesori preziosi di un popolo: leggi cioè che orientano le scelte dei cittadini verso il vero [non apparente] bene comune.


02. La nostra riflessione quindi cercherà di rispondere precisamente a questa domanda: a quali condizioni una legge che regolamenta il ricorso alla procreazione artificiale [d’ora in poi PA] è giusta? Facciamo bene attenzione alla formulazione della domanda. Non ci chiediamo esattamente se il ricorso alla PA è moralmente lecito o illecito; questa è una domanda che riguarda l’agire della persona considerata nella sua singolarità. La nostra è una domanda certo di carattere etico, ma di etica politica.


Qualcuno potrebbe pensare che questa precisazione è abbastanza inutile, ragionando nel modo seguente: se il ricorso alla PA è illecito, perciò stesso una legge che lo permettesse sarebbe ingiusta. Il passaggio dall’etica “individuale” all’etica “politica” non è però immediato. In altre parole, non necessariamente ciò che è e rimane quindi comunque illecito deve essere proibito dalla legge civile. Questa infatti per sua stessa natura non orienta l’agire del singolo come tale: non tende al bene “privato”. Essa prende in considerazione l’agire dei singoli solo in quanto è rilevante per il bene comune. Ora non c’è dubbio che non ogni azione moralmente cattiva è negativamente rilevante per il bene comune [si pensi per es. a tutto l’ambito della mera interiorità umana].


La nostra domanda quindi si precisa ulteriormente in due sotto-domande: il ricorso alla PA è un agire rilevante per il bene comune, e quindi è necessario che il legislatore produca una legge al riguardo? Se sì, quali sono le condizioni indispensabili perché sia una legge giusta?



1. Non sono mancate e non mancano persone che ritengono non necessaria una legge che disciplini il ricorso alla PA, dal momento che esistono già leggi e codici deontologici che disciplinano l’esercizio della professione medica. Salvaguardata la sicurezza dal punto di vista della salute ed assicurata l’esclusione di inganni gravemente lesivi, ciascuno deve essere lasciato libero.


Benché da un punto di vista pratico questo punto della nostra riflessione sia abbastanza inutile, dal momento che già esiste una progetto di legge approvato dalla Camera dei deputati, ed è intenzione dell’attuale legislatore di proseguire, tuttavia fermarsi un momento su questo aspetto del problema è necessario. Saremo aiutati ad entrare in alcuni aspetti essenziali del problema generale.


La posizione che stiamo discutendo – quella di chi dice innecessaria una legge – in realtà copre non infrequentemente una convinzione che a mio giudizio è una vera e propria metastasi spirituale che sta distruggendo il tessuto connettivo di ogni società umana. La convinzione secondo la quale il diritto in senso soggettivo coincide col desiderio del bene-essere psico-fisico: ciò che io desidero ho diritto ad avere. Questa identificazione “desiderio-diritto” si sposa ad un’altra convinzione, quella secondo la quale “ciò che è tecnicamente possibile deve essere consentito”. Ho parlato di una metastasi spirituale. Perché? Il tessuto connettivo di ogni società umana è la “solidarietà”. E’ cioè la convinzione cui segua una prassi coerente, secondo la quale il mio bene non può mai essere realizzato contro il, o prescindendo dal bene dell’altro: il bene umano è un bene comune. Ora la logica del desiderio è una logica inevitabilmente di ricerca esclusiva ed escludente del proprio bene privato: è una logica individualista.


Il ricorso alla PA ha una rilevanza pubblica per almeno le seguenti ragioni. E’ necessario, è il primo e più nobile compito della legge civile, tutelare i diritti fondamentali delle persone più deboli. Ora chi viene concepito, anche attraverso la PA, deve esserlo in modo che i suoi diritti fondamentali siano tutelati: lo Stato quindi deve intervenire da questo punto di vista. Risulterà in seguito perché il concepito da PA sia particolarmente esposto al rischio di subire ingiustizie.


Inoltre le attuali tecniche di PA consentono/possono consentire una strumentalizzazione dell’embrione umano – meglio: della persona umana allo stadio embrionale – da parte di altre persone, introducendo così nella società un vulnus al fondamento stesso della medesima: la pari dignità o l’uguaglianza nella dignità fra le persone.


Inoltre, le attuali tecniche di PA possono orientare, se interamente lasciate a se stesse, verso una programmazione genetica fatta a partire dalle preferenze dei genitori. Questo fatto pone il “programmato” al momento delle “posizione iniziale della sua vita” già in una condizione di non totale indipendenza dall’altro, impedendogli di concepirsi come l’autore indiviso della propria vita. [E’ la tesi lungamente argomentata anche da un pensatore come J. Habermas, in Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Biblioteca Einaudi, Torino 2002].


E’ dunque necessario che lo Stato disciplini il ricorso alla PA. Nel punto seguente cercheremo quindi di rispondere alla seconda domanda.


2. La risposta alla seconda domanda è difficile: essa deve individuare le condizioni di giustizia di una disciplina giuridica del ricorso al PA. La ricerca di questa condizioni deve essere guidata da un criterio, un criterio euristico, se si vuole evitare di ragionare a vuoto. Enuncerei il criterio euristico nel modo seguente. Ogni fattispecie di PA deve salvaguardare tre diritti fondamentali del concipiendus: il diritto ad essere trattato come soggetto e non oggetto; una volta concepito il diritto inviolabile alla vita; il diritto ad una famiglia fondata sul matrimonio.


Non mi fermo a dimostrare la verità di questo criterio euristico poiché esso si fonda sulla natura stessa della persona umana, la quale (natura) appartiene in senso pieno anche al concepito.


2,1. In base a questo criterio una legge che permette la produzione di embrioni umani al solo fine di sperimentazioni scientifiche, per es. per avere cellule staminali, è da ritenersi gravemente ingiusta. La persona umana non può essere usata per nessun fine che non sia il suo bene, sia pure per fini eticamente leciti.


2,2. In base a questo criterio, più precisamente in base al diritto inviolabile alla vita che ogni embrione umano possiede, una legge che permettesse la PA in vista della diagnosi preimpiantatoria per fini eugenetici, è da ritenersi gravemente ingiusta. L’embrione umano deve essere protetto, e una tale legge giustificherebbe un trattamento reificante nei confronti dell’embrione in vitro. “Nel loro desiderio di avere un figlio, i genitori producono una situazione nella quale saranno liberi di disporre a loro piacimento circa un’eventuale prosecuzione della vita umana prepersonale [ovviamente, personalmente non accetto questa qualificazione]. Questa strumentalizzazione fa inevitabilmente parte del quadro di azione in cui si inserisce ogni diagnosi di preimpianto” [L. Siep; cfr. J. Habermas, op. cit. pag. 97].


2,3. In base a questo criterio, più precisamente in base al diritto del concepito ad una famiglia fondata sul matrimonio, è da ritenersi gravemente ingiusta una legge che non proibisse la PA eterologa, la produzione di cloni umani e di partenoti [=zigoti da partenogenesi]. Mi soffermo un po’ più lungamente su questo punto. Le fondamentali relazioni che costituiscono originariamente la condizione sociale dell’uomo sono quelle famigliari. Esse sono di carattere biologico e si strutturano come relazioni psicologiche e spirituali: l’humanitas di queste correlazioni non dimora solo nella dimensione psicologica e spirituale delle medesime, ma anche nella dimensione biologica. Il legame umano, in quanto è umano, è anche un legame biologico. Pertanto introdurvi un “eteron” [= procreazione eterologa] significa dissestare tutto l’insieme.


Abbiamo una controprova: negando quanto detto, si arriverebbe a due conclusioni che certamente distruggerebbero il nostro ordinamento civile. La prima: si ridurrebbe la paternità/maternità ad un fatto puramente intenzionale. E’ padre/madre chi decide di esserlo nei confronti di un individuo umano già esistente [= della cui origine non si è responsabili]. Ma la prima fondamentale relazione di ogni persona umana è la relazione di origine: non tutti infatti sono padre, madre, fratello, sorella; ma tutti sono figlio. Quindi il permanere nella vita della stessa dipenderebbe dal riconoscimento di un altro. Cioè: non l’esserci di una persona umana fonda il dovere di riconoscerla, ma il fatto del riconoscimento fonda l’essere della persona. E questo è il principio base di ogni discriminazione fra le persone umane. La seconda: eliminare in linea di principio la fondazione biologica della paternità/maternità, porrebbe una radicale disuguaglianza fra le persone adulte e l’embrione. Infatti, se il solo e semplice fatto della generazione biologica non bastasse a fondare e a esigere la costituzione del rapporto spirituale, inevitabilmente la paternità/maternità esprimerebbero un “progetto di vita” dentro al quale si inserisce l’embrione già per altro esistente. Esso cioè viene orientato non ad un proprio autonomo progetto di vita, ma secondo il progetto di un altro. I fondamenti biologici della nostra identità personale, di cui è parte precipua la relazione di origine, sono indisponibili: la definizione di paternità/maternità non è una convenzione lasciata al computo dei voti parlamentari, perché è la definizione di famiglia che non è disponibile al computo di maggioranze-minoranze.


Riguardo poi ai cloni e ai partenoti ci sarebbero anche molte altre considerazioni da fare, che il tempo a disposizione non mi consente di fare.


2,4. In base a questo criterio, più precisamente in base al diritto del concepito di essere trattato come persona e al diritto dalla vita, una legge che permettesse il ricorso alla PA non escludendo la “produzione di embrioni sovra-numerari”, sarebbe gravemente ingiusta. Li esporrebbe infatti a gravi pericoli di vita, ed a condizioni non adeguate alla loro dignità (la crio conservazione). E qui si pone il problema più difficile.


Alla luce di quanto detto finora si dovrebbe concludere: una legge che consentisse il ricorso alla PA omologa a due sposi, proibendo loro la “produzione di embrioni sovra-numerari”, proibendo cioè la creazione di un numero di embrioni trasferibili superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, pur essendo una legge che permette un comportamento moralmente illecito, per gravi motivi potrebbe essere promulgata dal legislatore umano. Tuttavia, le cose non sono così semplici: per almeno tre ragioni. Dovendo trasferire più embrioni; risultando che altissimo è il tasso di aborti spontanei; questa procedura porrebbe gravi problemi dal punto di vista della salute della donna e quindi potrebbe configurare atti medici penalmente perseguibili: si deve concludere che il ricorso alla PA da una parte è un’esposizione degli embrioni avuti in vitro a gravissimo pericolo di vita non motivato dalla finalità del bene dell’embrione stesso ma dal desiderio di paternità/maternità di un altro/a, dall’altra l’atto medico potrebbe essere penalmente perseguibile.


Pertanto la mia conclusione è la seguente: ritengo ogni legge civile che consente il ricorso alla PA un legge gravemente ingiusta.


3. A questo punto potrei ritenere la mia relazione conclusa. Tuttavia, chi ha responsabilità legislative può trovarsi dentro ad una situazione nella quale, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, esistono già fatti gravemente contrari alle esigenze del bene comune. Più precisamente: trovarsi di fronte a proposte di legge sottoposte a discussione e votazione, che sono gravemente lesive del bene comune perché non conformi affatto a quel criterio sopra enunciato.


In questa situazione, nel caso in cui non fosse possibile evitare una legge già messa ai voti che consente il ricorso alla PA, è lecito dare il proprio contributo e voto per rendere la legge la più conforme possibile a quel criterio sopra enunciato, secondo il giudizio prudenziale che compete a chi ha la responsabilità del bene comune. A lui infatti, secondo S. Tommaso, “prudentia competit secundum specialem et perfectissimam sui rationem” [2,2, q. 50, a.1].


Due osservazioni necessarie. E’ assolutamente importante chiarire a tutti che si tratta comunque di una legge gravemente ingiusta. Certi comportamenti o campagne a favore di leggi che non sono [non erano] giuste da ogni punto di vista, come se fossero le leggi della PA … cattolica, sono scandalose dal punto di vista teologico [= possono indurre molti, soprattutto i più semplici, a gravi errori in settori morali fondamentali] e pedagogicamente devastanti. Inoltre, è necessario – soprattutto in situazioni come queste – tenere ben distinte le responsabilità. Altra è la responsabilità e il compito di un parlamentare che ha doveri legislativi, altra è la responsabilità e il compito di soggetti culturali (per es. movimenti, associazioni) che hanno doveri educativi. Questi ultimi devono continuamente tenere viva nell’ethos del nostro popolo non semplicemente la giustizia legale, ma la giustizia reale.


Concludo. La vera questione in materia di PA è molto profonda. Non possiamo dimenticare infatti che l’uomo è anche un “animale simbolico”: la ricorrenza di corsi di azioni genera una “simbolizzazione” che produce a sua volta un intero universo di significati. Ciò premesso ritorno al nostro problema.


La PA ormai si inscrive dentro ad una sorta di “imperativo tecnologico”: ciò che è tecnicamente possibile deve essere consentito; il contrario è rassegnazione priva di senso.


La PA trasferisce il generare umano nell’ambito del fare fuori dall’agire. Da atto umano la generazione umana diventa un atto tecnico. Questa trasformazione della natura dell’umano generare ha una portata antropologica immensa: si oscurano le relazioni costitutive della persona, le relazioni di origine, quelle di paternità/maternità e figliazione; si oscura progressivamente l’intima verità della comunità coniugale.


Mi fermo. Basta per comprendere come l’intera verità e quindi l’intero significato dell’universo umano potrebbe subire un cambiamento radicale. E’ questa la più profonda sfida culturale che chi è ancora capace di stupirsi di fronte alla dignità della persona, deve raccogliere.


Tratto da www.caffarra.it