Anonimato addio Londra fa dietro front
di Marina Corradi – (C) AVVENIRE – 15 febbraio 2005
È passato quasi sotto silenzio. È un breve pronunciamento, dieci righe soltanto, della Human fertilisation & embriology authority, la commissione bioetica britannica. Dieci righe soltanto, datate pochi giorni fa, in cui la massima autorità bioetica di quello che fu il primo paese occidentale a sperimentare la fecondazione assistita, il primo a regolamentarla con una legge, afferma che d’ora in poi non saranno più ammissibili paternità anonime nei percorsi della procreazione artificiale: dall’aprile di quest’anno i bambini generati col seme di un donatore sconosciuto dovrebbero avere, a 18 anni, il diritto di sapere chi è il loro padre.
Quello della Hfea è un parere fornito al Parlamento, che si appresta a discutere la nuova legge. Un parere autorevole, tuttavia, che viene dalla stessa commissione che in questi giorni ha permesso a Ian Wilmut la clonazione terapeutica dell’embrione. Tuttavia, a 15 anni dall’Human Embriology and Fertilisation Act, sul “nome del padre” si registra dunque un ripensamento, anzi una netta inversione di marcia. “Riteniamo – si legge – nel comunicato della authority – che condividere coi nostri figli le informazioni circa le loro origini sia parte di una genitorialità responsabile. Ci sembra sbagliato che lo Stato abbia delle informazioni sulle origini di un individuo, che questa persona non può ottenere. Così come è venuto meno il segreto nella adozione, deve venire meno anche quello nella riproduzione assistita”.E dunque, contrordine. Nell’anno 2023 i figli della provetta eterologa inglesi nati dall’aprile 2005 potranno sapere, se la legge “benedetta” dall’Hfea va in porto, di chi saranno figli. Probabilmente, ce ne saranno di meno: non è certo un’incentivazione al “dono” del seme il venir meno dell’anonimato, comunque si arrangino le cose dal punto di vista del diritto di famiglia e della successione. Ma, al di là di questo, pare un giro di boa quello intrapreso dalla Hfea, mentre da noi aspramente si combatte per la legittimità della fecondazione eterologa, che avviene per lo più con un donatore anonimo.
A molti anni dall’entrata in vigore dell’Human fertilization and embriology Act, e dopo la nascita in Gran Bretagna di 25 mila bambini da seme donato – 15 sterline di ricompensa al donatore, garantito l’assoluto anonimato – si cambia rotta, con una brusca sterzata. Psicologi e psicoanalisti perplessi su quel padre sospeso nel nulla, il confrontarsi con le nuove direttive sull’adozione, le inquietudini dei primi figli della provetta che s’affacciano talvolta alle cronache dei tabloid, tutto questo insieme ha spinto a interrogarsi sul “diritto” all’anonimato e il dovere di dire a un figlio, invece, da dove viene.
Nel momento in cui i figli, crescendo, chiedono conto della loro origine, si fa qualche conto e il paese antesignano delle leggi sulla procreazione mostra di voler tornare sui suoi passi: il nome del padre, non si può cancellare. Era forse irrilevante per chi quel figlio lo voleva comunque, ma conta, terribilmente, per il figlio che da quel nome deriva la sua vita, e il suo destino. Il nome del padre appartiene al figlio, non gli può essere negato.
Certo, cadendo l’anonimato del donatore entra in crisi per ovvie ragioni il sistema della fecondazione eterologa. Che da noi si vorrebbe introdurre ad ogni costo, in ritardo di quindici anni, mentre chi l’ha inventata smantella il suo principio basilare, l’anonimato del padre biologico. E, mentre tutti parlano della clonazione di Wilmut, che strano silenzio, su questa decisione contromano.