Mons. Caffarra scuote di nuovo l’indifferenza saccente

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Caffarra docet

Il Vescovo di Bologna che vuole educare alla realtà ne ha fatta un’altra. Interessante

Di Giuliano Ferrara

Si può essere miscredenti, nel senso che non si ha la fede, ma non si deve mai essere increduli, nel senso dell’autoillusione. L’Arcivescovo di Bologna, Monsignor Carlo Caffarra, crede con eguale intensità nella Chiesa (di cui è tra le guide) e nella passione di Cristo, e non è mai incredulo o debole di pensiero perché predica l’educazione alla realtà come misura non transigibile delle cose umane, che per lui è fissata dalla nozione del divino e della sua incarnazione. Per questo nella sua prima Nota pastorale sono scappate a Caffarra alcune idee semplici e utili, da discutere laicamente anche se non si è destinatari della lettera perché non si è nel gregge.
Dice il vescovo, che è un intellettuale di valore (se la parola intellettuale abbia ancora un senso, chissà), che nel mondo si agita uno spiritualismo disincarnato, di tipo gnostico; che prevale un’etica universalistica, da “arcipelago dei popoli”, in cui il denominatore morale si attesta su una soglia morale sempre più bassa, fatta di mere regole formali; che la Chiesa non può limitarsi all’amore per la pace e per i poveri, deve essere significativa nel confronto con la realtà; che i cristiani hanno diritto di essere tali nella società e nella scuola, contro la religione della laicità che annulla l’identità; e che l’uomo sarà pure un discendente biologico evoluto della scimmia, ma è anche altro.
C’è un piccolo partito convinto che nella penuria di pensiero della società liberale moderna certi uomini di Chiesa sono un senato accademico di prima utilità e grandezza per capire la realtà, perché studiano e parlano da una cattedra che oggi ha più cose da dire della cattedra impolverata del libero pensiero. Siamo da tempo in quel partito.
E Caffarra docet.

Il Foglio (16/09/2004)