Quei cattolici “rinnegati”
Scalfaro, Bindi e i cattolici “adulti” che rinnegano la dottrina cristiana. Dividono la fede privata dall’impegno pubblico e così la sacrificano al relativismo e al potere.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
Visto dall’esterno, il mondo cattolico può anche dare l’impressione di un blocco monolitico di soldati saldi nella fede e stretti attorno al Papa. Visto dall’esterno, appunto. Perché questa idea è frutto di un’illusione ottica, e la bagarre sui Dico attualmente in corso ne è la conferma. In questi giorni è un turbinare di intellettuali e politici cattolici che si affannano per insegnare a Benedetto XVI come si fa il Papa, al cardinale Ruini come si fa il presidente della Cei, all’episcopato in generale come si fa il vescovo. Ci si sono messi in tanti, dalla scuola dossettiana di rito bolognese ai preti disobbedienti passando per tutte le sfumature del cattolicesimo cosiddetto adulto, di cui il presidente del Consiglio Romano Prodi è uno dei campioni. Quali le cause? L’esistenza di una radicale frattura di carattere dottrinale circa il senso della democrazia e il suo rapporto con la verità.
Ma per capire le ragioni di ciò che sta avvenendo conviene partire dagli argomenti di due politici, peraltro eminentissimi, quali Rosy Bindi e Oscar Luigi Scalfaro. «Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio», ha bacchettato la signora ministro per la Famiglia. Dal suo canto, il presidente emerito della Repubblica ha messo in guardia i vescovi da eventuali pronunciamenti che vincolino i politici cattolici su materie eticamente sensibili come quella toccata dai Dico. «Io confido che non ci saranno» ha detto Scalfaro. «Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l’assunzione individuale della libertà». In soldoni: il prete dica quello che vuole in chiesa, il laico agisca come meglio crede nel mondo. Roba da «libera Chiesa in libero Stato» di memoria anticlericale che fiorisce sulle labbra di persone che, almeno in quanto politici, continuano ad accreditarsi presso l’opinione pubblica come pii figli della Chiesa.
Questi «cattolici del dissenso» hanno matrici fra loro diverse: studiosi come Alberigo e Melloni sono un «prodotto» del laboratorio di Giuseppe Dossetti, appartengono a quella covata di intellettuali che considerano il popolo con lo stesso criterio giacobino-leninista di ogni minoranza rivoluzionaria: materia inerte da plasmare per il suo stesso bene.
La Bindi e Scalfaro, invece, vengono da un’esperienza popolare e sono rappresentativi di una vasta fetta del mondo cattolico. Vengono dall’Azione Cattolica, di cui lei è stata vicepresidente nazionale dal 1984 al 1989, e di cui lui esibiva fieramente il distintivo all’occhiello anche quando alloggiava al Quirinale. Per chi non lo ricordasse, l’Azione Cattolica – della cui appartenenza tanti militanti storici vanno giustamente fieri – per molto tempo ha voluto dire Luigi Gedda, i Comitati Civici, l’impegno in politica seguendo gli insegnamenti della Chiesa e della sua dottrina sociale, il sostegno di Papi come Pio XI e Pio XII.
Ma l’Azione Cattolica di cui sono l’esempio la Bindi e Scalfaro, quella rimasta nelle parrocchie dopo la débâcle degli anni Settanta, è tutt’altro. È figlia di un concetto, di un’operazione intellettuale: e già solo questo fatto dovrebbe mettere in allarme perché riconduce al metodo rivoluzionario dossettiano. La svolta fu la cosiddetta «scelta religiosa», che è la negazione della natura e della storia di un’associazione che ha formato intere generazioni di cattolici.
La «scelta religiosa», vista da un laico, sembrerà magari la quintessenza dell’esperienza cattolica. In realtà, nei disegni di chi la concepì era la decisione di rinunciare al desiderio di costruire una società che fosse il più possibile conforme al diritto naturale e rivelato, una società permeata dagli insegnamenti di Cristo. In altre parole, si decise che altro era la fede da praticare in forma privata o anche in associazioni, comunque private; e altro era l’impegno nella vita pubblica, dove essere cattolici contava tanto quanto non esserlo. Qualche cosa che va in direzione opposta rispetto al «Padre nostro», che recita: «venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in Cielo come in terra».
Sul semplice piano contabile, il risultato della «scelta» fu il crollo delle iscrizioni all’Azione Cattolica, che passarono da tre milioni a seicentomila. Ma, sul piano umano, data la rete capillare di cui l’associazione disponeva nelle parrocchie, il risultato fu una formazione sempre più intimistica e intellettuale che condusse i cattolici a pensare di poter fare ognuno per sé o per la propria parte politica: in sostanza, a non essere più Chiesa. All’inizio, solo sul piano dell’azione; poi anche su quello della teologia e della dottrina.
Così capita che la Chiesa si rivolga a un governo sordo ai suoi richiami, nonostante il presidente del Consiglio e molti ministri siano dei credenti «certificati», prodotti dal mondo cattolico ufficiale degli ultimi quarant’anni. Siamo di fronte a una vicenda completamente diversa dalle fratture degli anni Settanta, quando cristiani affascinati dal marxismo migravano nel Pci come indipendenti. Rosy Bindi e Romano Prodi sono punte di diamante di un progetto formativo e culturale che credeva di portare al timone della nazione uomini affidabili dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, giovandosi del favore di una fetta non marginale dello stesso episcopato italiano. Oggi dobbiamo constatare il totale fallimento di quell’idea: giunti al nodo gordiano di un tema «non negoziabile», come direbbe Ratzinger, i cattolici democratici fanno la loro scelta: sacrificano la dottrina sull’altare del consenso e del potere. Il punto è che questo modo di agire non è il frutto di una debolezza umana, o di uno stato confusionale, ma di una tragica coerenza fra una cattiva formazione dottrinale e l’agire politico. Quando Rosy Bindi dice: «Ogni tanto perdo le staffe e reagisco male se ascolto sciocchezze, ma credo almeno di avere una virtù: la coerenza delle mie idee» a suo modo dice la verità. La signora Bindi ritiene – come ha spiegato Pietro Scoppola ospite l’altra sera a Otto e Mezzo – che il compito della politica non sia affermare una verità e un bene sull’uomo, ma raggiungere un punto di sintesi. Non si potrebbe immaginare nulla di più lontano dalla millenaria dottrina della Chiesa. Ma il tragico è che questa visione è perfino più debole e relativista della concezione di molti laici, i quali hanno ormai capito che ridurre la democrazia a pura gestione formale delle opinioni, senza ancoraggio ad alcuna verità, è un suicidio della civiltà occidentale. Il risultato paradossale è un nuovo asse della politica dei prossimi anni, che non vedrà più contrapporsi atei e credenti. D’ora in poi il fronte separerà da un lato relativisti e seguaci della «democrazia formale» di Hans Kelsen; dall’altro, tutti coloro che sono onesti cercatori della verità. Per questo motivo è del tutto normale oggi vedere Rosy Bindi e Oscar Luigi Scalfaro giocare con la stessa maglia dei post comunisti e dei radicali.
Il Giornale n. 43 del 2007-02-20 pagina 1