La miscelatura s’inceppa


Ragazzi contro, causa il colore
Studenti di Parigi sotto scacco dai coetanei maghrebini



Maurizio Blondet
Avvenire 17 marzo 2005

Manifestiamo contro le ineguaglianze, e loro ci picchiano: Leo, 16 anni, ginnasiale parigino, non si rimette dal crollo delle sue certezze pacifiste, fraterne, di sinistra. Come tanti della sua età, nelle grandi manifestazioni studentesche in corso a Parigi contro una riforma scolastica (la legge Fillon), s’è trovato pestato e derubato da altri studenti come lui. O non precisamente come lui: gli aggressori erano tutti Blacks (neri), parola del gergo giovanile che comprende “rebeus” (maghrebini) e “renois” (africani). Coalizzati contro i “blancs”, i “petits français”.


Erano un migliaio, dice la polizia. Scesi dalle banlieues e dalle scuole professionali di Seine St. Denis. Le foto degli incidenti mostrano i violenti: quasi dei bambini, figli di ghanesi e senegalesi, con il cappuccio della felpa calato sugli occhi, che scalciano in dieci o venti un ragazzo steso a terra. Intervistati il giorno dopo dai giornali, si dicono soddisfatti, rievocano ghignando “le facce da vittime” dei “petits français”, il “piacere di picchiare”, e di “fare soldi”: hanno rubato decine di telefonini, lettori di musica Mp3 e portafogli dei loro compagni. Compagni? No: “des Blancs, des bolos”. Neologismo che significa, insieme “secchione” e “piccione”, vittima predestinata.


È la più recente e maligna involuzione dell’annoso problema delle banlieues. I ragazzini di colore esprimono senza vergogna un razzismo estremo, in discorsi di estrema destra a rovescio. Adoratori della forza, spregiano “les blancs” perché non si difendono. Anche perché, spiega Abdel di 18 anni, “rebeus (arabi) e renois (negri) hanno tanti figli, non sai mai se chi ti picchia ha dei fratelli maggiori”. E’ la crisi demografica ridotta all’esito più elementare; i violenti, vengono da scuole dove i “bianchi” non sono più di 2 su dieci. E qui, il branco è pronto a distruggere moralmente quei loro stessi amici di colore che cercano di avere buoni voti, mettendoli in croce come “leccapiedi dei bianch i”; allo stesso modo in Usa i ragazzi neri accusano le ragazzine nere studiose di “fare le bianche”; chi studia è emarginato e ridicolizzato, e il conformismo di branco – così imperioso sugli adolescenti – esercita tutta la sua forza nel trascinare verso il basso, e così perpetuare la disparità sociale, con danni incalcolabili. Il conformismo delle bande giovanili è totale e cieco: ogni minima diversità è colpita, basta un taglio di capelli “strano”, o comunque diverso da quello dalla banda, per identificare la vittima come “bolo” e provocare l’aggressione. “E’ come se avessero scritto in fronte: vieni a prendermi la roba”, sogghigna un giovane renoi. E’ il grado zero dell’inciviltà, il primitivo “noi” contro “loro” che erutta senza freni nel cuore della società di Rousseau (“L’uomo nasce buono”, ricordate?) e dell’illuminismo.


Non ci sono soluzioni facili. Un sociologo azzarda che il furto preferito dai Blacks, il telefonino, equivalga a strappare l’identità della vittima, tanto lo studente si identifica col suo cellulare e lo “personalizza” con suonerie. Che tristezza. Tante opportunità offerte ad una generazione, per vederla poi identificarsi con consumi standard e dozzinali. Tanta libertà, e la vediamo cadere schiava sotto la dittatura più spietata: quella della gang, con le sue regole anonime, senza luce e senza cuore. Tanta “integrazione”, e siamo all’odio razziale. Che fare?



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