«La Carità vincerà»
Lettera ai cristiani d’Occidente da un vescovo del mondo arabo. Gli islamici non sono insensibili all’amore cristiano. Ma non bisogna essere timidi quanto alla propria identità.
Cari Amici,
chi Vi scrive è il vescovo di Tunisi: il mio è un piccolo gregge originario di ben 44 paesi.
Siamo tutti stranieri, ma nella preghiera diventiamo una sola famiglia.
Il Signore, nella nostra situazione di minoranza, non ci lascia mancare le sorprese: il 22 maggio scorso abbiamo avuto, dopo 42 anni, la grazia di vivere l’evento di due ordinazioni sacerdotali. E altri due sacerdoti stranieri hanno chiesto di prestare servizio nella nostra diocesi.
Mi permetto sottoporVi qualche osservazione scaturita dall’attualità e dalla nostra esperienza: per quanto riguarda la situazione generale nei paesi arabi, dopo l’attentato alle Twin Towers e la guerra in Irak sono diminuite la fiducia nella giustizia internazionale e la
serenità.
Siamo feriti tutti e viviamo anche noi il terrorismo con dolore, come Voi in Occidente.
Anche in Medio Oriente gli attentati sono stati centinaia.
La violenza è in ogni paese, perché è nel cuore dell’uomo. A noi cristiani resta comunque e sempre la certezza di appartenere a quella grande Chiesa universale, di cui fanno parte anche tutti quegli uomini di buona volontà, e sono molti, che lottano contro la violenza insieme a noi. La questione non è solo l’Irak di Saddam, ci sono altri interessi in gioco e, soprattutto, non si può voler cambiare tutto il Medio Oriente con la forza.
Occorre tempo, fare del bene e continuare un dialogo che da parte della comunità cristiana non si è mai interrotto. Oggi l’islam è un mondo in crisi che crede, a volte, di trovare forza e garanzia nel fanatismo. Dobbiamo curarlo non con la guerra, ma dandogli amore e speranza, dentro una situazione mondiale che non aiuta.
In Italia e in Europa Voi conoscete una sempre più grande immigrazione dal Terzo mondo, compresi i paesi islamici, il che pone dei problemi culturali e identitari. Per parte mia, avrei voluto ringraziare il musulmano che ha chiesto di togliere il Crocifisso da quella scuola in
Abruzzo! Grazie a questo episodio molti italiani cattolici si sono svegliati.
Occorre affermare l’identità cristiana con coraggio, senza complessi, senza alcun timore reverenziale: il “basso profilo” non serve ed è denigrato dai musulmani stessi.
Non basta lamentarsi e denunciare. Di fronte al disagio, alla paura, alla violenza dobbiamo
chiederci: cosa facciamo noi cristiani per rimediare, per salvare, per aiutare?
Certo, molto importante è conoscersi reciprocamente a livello culturale: a Tunisi c’è una facoltà dell’università dedicata al dialogo fra culture; ma non basta il risvolto intellettuale, occorre la maturazione del singolo, cristiano e musulmano, nel quotidiano. La cultura del dialogo deve iniziare anche nelle scuole, nelle chiese e nelle moschee!
Devono essere incoraggiati gli incontri nazionali e internazionali su questo tema. Dev’essere ascoltata la voce del Magistero. L’immigrazione può essere una ricchezza e l’Italia deve essere orgogliosa di essere stata scelta quale mèta; tuttavia, per renderla meno selvaggia, occorre intensificare gli aiuti a quei governi che si impegnano a diffondere l’istruzione e aumentare la possibilità di lavoro in loco e, sul piano culturale, intensificare gli scambi a livello accademico e scientifico per favorire quelle componenti del mondo musulmano che vogliono un rapporto aperto con la modernità.
Occorrono patti chiari con i paesi di provenienza e regole da far rispettare con fermezza, certamente, anche se non è solo un problema di polizia di frontiera, ma di giustizia, economia, legalità, umanità. Incentivare le misure per l’integrazione scolastica, sociale
e abitativa, è la base per una futura buona convivenza. Occorre tenere presente che il fondamentalismo trova terreno fertile nella povertà, nell’ignoranza e nell’ingiustizia.
Nella nostra esperienza si dimostra che la testimonianza cristiana e la carità “sfondano” sempre, anche nell’universo musulmano. Inoltre per dialogare occorre prima di tutto una solida conoscenza della fede cristiana cattolica, un’adesione decisa al Magistero della Chiesa, che è la garanzia della sequela di Cristo. Pochi sono all’altezza di intraprendere un dialogo teologico. Invece il dialogo di amicizia, di aiuto, di servizio, è fattibile, entra, penetra. La carità rimane sempre il linguaggio più bello. E tutti possono fare qualcosa secondo le proprie possibilità, possono seminare: i frutti, il come e il quando si raccoglieranno, li lasciamo al Signore.
+ Mons. Fouad Twal (c) Tempi.it – Numero: 24 – 10 Giugno 2004