Così il pastore resiste “ai lupi”
sulla trincea della difesa dell’umano
Il Papa invita anche i non credenti a battersi contro il pericolo eugenetico. Benedetto XVI continua a dimostrare che volgere gli occhi al cielo non significa rifiutarsi di vedere ciò che avviene sulla terra…
Incurante di sarcasmi e anatemi di chi lo vorrebbe, se non proprio silenzioso, quanto meno concentrato innocuamente su asettiche questioni dogmatiche, Papa Benedetto XVI continua a dimostrare che volgere gli occhi al cielo non significa rifiutarsi di vedere ciò che avviene sulla terra. E sulla terra – lo conferma la cronaca quotidiana, proprio in queste ore, tra lo sdoganamento inglese della vendita di ovociti e il “miglioramento” genetico di embrioni – è in atto un tentativo senza precedenti di ridisegnare il senso stesso del termine “umano”.
Se quel tentativo passa nell’indifferenza o nell’inconsapevolezza generale, rubricato sotto il confortante titolo di “progresso scientifico che si autogiustifica in nome della felicità e della salute per tutti”, questo Papa ritiene invece sia suo preciso compito smascherarlo per quello che è. Lo va facendo da tempo, in ogni possibile occasione pubblica. Dei suoi appelli c’è chi si lamenta, come se quel battere reiterato su certi tasti (famiglia, origine, fine e manipolazione della vita, eugenetica) significasse scarsità di altri argomenti. Ma i punti richiamati dal Papa appaiono, a chi ha occhi per vedere, decisivi per il presente e il futuro degli esseri umani. Anche sabato, rivolgendosi ai congressisti chiamati da ogni parte del mondo e dalla Pontificia Accademia Pro Vita a discutere di obiezione di coscienza, il Papa ha ricordato che il diritto alla vita, “fondamentale in ordine agli altri diritti umani”, va difeso contando “su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza”.
Non ha paura, il Pontefice, di chiamare a raccolta credenti e non credenti. I suoi argomenti volano alto e non lasciano spazio a piccine dietrologie politicanti. La trincea della difesa dell’umano, al centro della sua azione pastorale, non riguarda solo chi ha fede ma anche, come dice con espressione faticosa ma efficace il filosofo tedesco Jürgen Habermas, tutti coloro che sanno cos’è l’“adeguata autocomprensione etica” del genere umano. Tutti coloro che, cioè, sanno riconoscere l’umano dove si manifesta. Operazione sempre più difficile, perché, dice Ratzinger, “nell’attuale fase della secolarizzazione chiamata post moderna e segnata da discutibili forme di tolleranza, non solo cresce il rifiuto della tradizione cristiana, ma si diffida anche della capacità della ragione di percepire la verità, ci si allontana dal gusto della riflessione. Addirittura, secondo alcuni, la coscienza individuale, per essere libera, dovrebbe disfarsi sia dei riferimenti alle tradizioni, sia di quelli basati sulla ragione”. Il Papa dice che “gli attacchi al diritto alla vita in tutto il mondo si sono estesi e moltiplicati, assumendo anche nuove forme”. Non ci sono solo l’aborto (anche nella variante del “ricorso alla liberalizzazione delle nuove forme di aborto chimico sotto il pretesto della salute riproduttiva”), le “politiche del controllo demografico”, la promozione di “leggi per legalizzare l’eutanasia” e le “spinte per la legalizzazione di convivenze alternative al matrimonio e chiuse alla procreazione naturale”. L’attacco all’umano oggi assume anche la forma della “ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del ‘figlio perfetto’, con la diffusione della procreazione artificiale e di varie forme di diagnosi tendenti ad assicurarne la selezione. Una nuova ondata di eugenetica discriminatoria trova consensi in nome del presunto benessere degli individui”.
Riecheggia, nell’allarme del Pontefice, la stessa preoccupazione del laico Didier Sicard, presidente del Comitato bioetico francese, e di Jacques Testart, altro laicissimo esponente della scienza d’oltralpe. Entrambi hanno di recente denunciato il “rischio eugenetico” che corre la Francia, a causa dell’uso generalizzato della diagnosi prenatale, concepita come sistema per eliminare gli individui che non rispondono a standard di accettabile “conformità”, se non di perfezione. A essere in gioco, ha detto Sicard in un’intervista al Monde, non è semplicemente il destino del singolo embrione o il valore che gli si voglia attribuire, ma “il sapere che cosa vogliamo costruire per noi stessi come società umana che ci consenta di rispettarci”. Un altro laico, l’europarlamentare diessino Giovanni Berlinguer, intervistato dal Foglio aveva unito la propria voce a quell’allarme, e aveva segnalato la fondatezza di un pericolo eugenetico veicolato da tecniche apparentemente neutre come la diagnosi prenatale, e richiamato con tanta chiarezza lo scorso sabato da Benedetto XVI. Eclissi della fede ed eclissi della ragione vanno di pari passo, dice da sempre il Papa, fin da quando era il cardinale Joseph Ratzinger, e ne risulta l’eclissi dell’umanità, per come è stata pensata e si è pensata fino a oggi. Per scongiurare quell’eclissi, per far fronte agli attacchi di cui è oggetto il diritto alla vita, ha detto sabato, “il cristiano è chiamato a mobilitarsi”. E prima di tutto, “occorre rieducare al desiderio della conoscenza della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta di fronte ai comportamenti di massa e alle lusinghe della propaganda, per nutrire la passione della bellezza morale e della chiarezza della coscienza”. Solo così “sarà possibile avviare i giovani a comprendere i valori della vita, dell’amore, del matrimonio, della famiglia. Solo così si potrà portarli ad apprezzare la bellezza e la santità dell’amore, la gioia e la responsabilità di essere genitori e collaboratori di Dio nel dare la vita. In mancanza di una formazione continua e qualificata, diventa ancor più problematica la capacità di giudizio nei problemi posti dalla biomedicina in materia di sessualità, di vita nascente, di procreazione, come anche nel modo di trattare e curare i pazienti e le fasce deboli della società”. Le parole del Papa sono accolte con favore dallo storico della matematica Giorgio Israel, che nel suo ultimo libro (“Liberarsi dei demoni. Odio di sé, scientismo e relativismo”, Marietti) analizza lo stretto legame tra i miti della palingenesi sociale e della gestione scientifica dei processi sociali, piaghe del Novecento, con quello, oggi trionfante, della scienza come unico e ultimo arbitro di ciò che è bene e di ciò che è male, oltre che (ed è il tema implicito dell’intervento papale) della ridefinizione dell’umano. Dice Israel al Foglio che “con i suoi coraggiosi interventi Benedetto XVI, Papa filosofo, sta mettendo in discussione quella che, con linguaggio husserliano, si può chiamare ‘ragione ridotta’. Il tema dominante delle sue riflessioni è il fondamento oggettivo della conoscenza, contro ogni visione radicalmente relativistica, e la possibilità di una concezione della ragione che includa la dimensione della fede e della religiosità, e non consista nella ragione mutilata e ‘ridotta’, appunto, proposta dal positivismo. Quella che oggi imperversa e detta legge non è scienza ma una sua triste parodia, la tecnoscienza, che non fa mistero dei propri intenti manipolativi. Essa è fatalmente portatrice di un atteggiamento antiumano, perché l’essere umano viene da essa considerato come oggetto tra i tanti, al pari di qualsiasi altro oggetto naturale”. Oggi, dice ancora Israel, bisogna prendere atto che “è il Papa ad alzare con determinazione la bandiera dell’umanesimo, mentre vasti settori della scienza contemporanea sembrano voler dare ragione alle fosche previsioni del filosofo francese Merleau-Ponty. Il quale diceva che la scienza, quando tradisce il progetto iniziale di conoscenza dal quale aveva preso le mosse, tradisce anche l’uomo. Diventa cioè un progetto ideologico che non vede più, nell’uomo stesso, l’essere fatto di soggettività, tempo, coscienza, finalità. Qualcosa di misterioso e destinato a rimanere tale, lontanissimo dalla ‘macchina umana’, che viene proposta oggi dalla volontà manipolatrice e selezionatrice della tecnoscienza, e che ha come esito l’eugenetica denunciata dal Papa e, con lui, dalle coscienze più vigili del mondo laico”.
Il Foglio 27/02/2007
SI PUÒ ALTERARE L’EMBRIONE
Inquietudine per la frontiera aperta a Londra
di Marina Corradi
La possibilità di alterare il patrimonio genetico dell’embrione entro il quattordicesimo giorno di vita, ipotizzata in Gran Bretagna in vista della nuova legge sulla riproduzione assistita, è ammessa – afferma il progetto del governo Blair – solo «per fini di ricerca». Esclusivamente «per fini di ricerca» dunque si potrà intervenire sul Dna di embrioni, che comunque verranno poi distrutti. Ma il limite, si precisa in una clausola del “libro bianco” anticipato dalla stampa inglese, vale «per il futuro prevedibile, e finché non siano garantite l’efficacia e la sicurezza di questi interventi».
E dunque, l’inquietudine suscitata dalla nuova frontiera aperta a Londra appare giustificata. Certo che la sperimentazione è “a fini di ricerca”: ma quando questa ricerca approdasse a risultati concretamente applicabili, che cosa impedirebbe di offrire alla società le opzioni “migliorative” ottenute? Del resto, nel “libro bianco” si afferma anche che “il governo non è convinto della necessità di precludere ricerche che alterino la struttura dell’embrione”. In questa logica, quando gli interventi sugli embrioni fossero «sicuri e efficienti», il primo passo sarebbe la eliminazione dei caratteri che apportano malattie ereditarie. Cominciando dalle più gravi per poi estendersi a più veniali “difetti”, se non addirittura ai casi in cui il nascituro ha non la certezza, ma solo buone probabilità di sviluppare, a una data età, una data malattia.
Che la china su cui si avvia il governo Blair nell’aggiornare il “vecchio” Human Fertilisation and Embryology Act apra a una possibilità di eugenetica pare perciò possibile. La Gran Bretagna del terzo millennio potrebbe diventare il luogo in cui si verifica la profezia di Francis Crick, uno degli scopritori del Dna: «In un futuro nessun nascituro potrebbe essere dichiarato umano fino a che non abbia superato una batteria di test sul suo patrimonio genetico, e non superando questi test potrebbe perdere il diritto alla vita».
Ora, che ad opera di un governo labour, da una tradizione socialdemocratica, si apra la strada che potrebbe portare a un diritto alla vita soltanto dei sani, potrebbe apparire paradossale. I valori storici di quella sinistra non si richiamano forse, nella difesa operaia, nella creazione del welfare, alla tutela delle parti sociali più deboli? Eppure proprio l'”illuminato” Blair socchiude la porta a una prospettiva che per ora non è ammessa né in Europa né negli Usa, mentre ipotizzando la vendita di ovociti da parte di donatrici retribuite ammette anche il libero mercato del materiale genetico.
Paiono, gli ultimi colpi del governo Blair, il rumorio stonato e confuso di una cultura che imploda su se stessa. Dove alla difesa storica della classe operaia è subentrata la difesa della middle class borghese; e al diritto collettivo a condizioni di vita dignitose si sono sostituite inclinazioni individuali, che pretendono di farsi diritti. Metamorfosi possibile se al centro di un progetto politico c’è non l’uomo, ma – alla fine – il suo presunto benessere nell’accezione più materialista.
La briglia sciolta in materia di riproduzione assistita e ricerca non solo soddisfa i “desideri-diritti” di chi vuole un figlio fuori dalla naturalità, ma fa della Gran Bretagna l’avanguardia in una ricerca economicamente promettente. I soggetti deboli di queste mutazioni – i nascituri che non nasceranno nella logica del “diritto al figlio sano”, i figli senza padre o assegnati a coppie gay nella logica del “diritto al figlio” – non scioperano, e non hanno sindacati. Nemmeno proletari ma “ultimi” davvero, dimenticati da una politica che ha perso orientamento e memoria nell’inseguire non un bene comune, ma l’appagamento, possibilmente immediato, dei privati desideri.
AVVENIRE 27 febbraio 2007