CON IL SUO EMBRIONE GIOVANNINO CAPÌ TUTTO
Il racconto venne cestinato dal direttore del settimanale Oggi e rimase inedito. Così lo scrittore anticipò di 40 anni il dibattito sull’aborto…
Pubblichiamo uno stralcio del racconto “L’embrione” (1967) di Giovannino Guareschi tratto dal volume “Baffo racconta” (Rizzoli, 2004, pp. 196, euro 8,4).
Fosse ancora tra noi, sarebbe stato certamente il primo firmatario e forse anche qualcosa di più, dell’appello lanciato da Giuliano Ferrara per la moratoria mondiale sull’aborto. Anzi, lui di quel Manifesto a difesa degli embrioni dallo sterminio e dal freezer, sarebbe stato senza dubbio l’interprete più efficace. La secca prosa di Giovannino Guareschi ha anticipato di quarant’anni le raffinate argomentazioni dell’Elefantino di Ferrara. E come l’ateo devoto e raziocinante direttore fogliante, Guareschi si prese lo scomodo della censura e pagò intero il prezzo della vigliaccheria editoriale.
Prima che Oriana aprisse il ranch
Forse il primo a prestare voce a quel pezzetto di vita, capo di una classifica che a tutt’oggi non arriva a cinque. L’incazzosa antipapista, poi convertita sulla brucica a Ratzinger, Oriana Fallaci doveva ancora venire con la sua “Lettera a una bambino mai nato”. A gettare scompiglio nel ranch delle puledre femministe e un po’ di polvere negli occhi degli arieti radicali. Lo straordinario creatore di Peppone e don Camillo aveva compreso tutto già alla fine degli anni Sessanta, intuito in quale secca di disgregazione e follia umana si sarebbe cacciata la società italiana. A quei tempi, i termini sottoghiaccio di bioetica, tecnoscienza, eugenetica, ancora non erano entrati nel lessico orwelliano (oggi così famigliare) della nuova civiltà del desiderio unico e del diritto omicida. Il racconto di Guareschi, infatti, è del 1967: si intitola “L’Embrione” e resterà inedito perché il direttore del settimanale che doveva pubblicarlo anziché in pagina lo imbucò direttamente nel cestino. L’aborto letterario ha un luogo e una data: Milano, 23 marzo 1967. Guareschi, ci informa il professor Mario Palmaro, nonostante le condizioni di salute non siano le migliori (un cuore matto e l’ulcera che lo tormenta) continua a lavorare alacremente, e ad annotare con l’abituale meticolosità i suoi impegni, registrandoli in un lunario. Un po’ come ai tempi della prigionia in Germania, documentata nel “Diario clandestino”. Accanto al giorno 23 di marzo, nel calendario Giovannino annota di aver inviato il racconto al settimanale “Oggi”, e subito dopo scrive un “No” con tanto di punto esclamativo. Il direttore del periodico Rizzoli, Vittorio Buttafava, seppure a malincuore, ha deciso di non pubblicare la storia destinata alla rubrica “Telecorrierino delle famiglie”. Scrive Buttafava: «Caro Guareschi, al momento di impaginare il tuo ultimo pezzo mi è mancato il coraggio. Figurati se non condivido le tue opinioni, ma come posso pubblicare su questo giornaletto per famiglie un attacco così provocatorio verso i magistrati?» Il direttore di “Oggi” si riferisce al «vecchio signore in toga intento a consultare certe carte» di cui si parla nel racconto, e che Guareschi definisce un usciere,ma che in realtà incarna proprio la magistratura. L’obiettivo della satira guareschiana è, questa volta, la normativa sul delitto d’onore: Giovannino non riesce ad accettare la logica che tende a giustificare l’omicidio compiuto dal coniuge tradito. Soprattutto quando a fare le spese dell’odio e della violenza è un innocente, il più innocente e indifeso essere umano: il nascituro. «Un bambino piccolo piccolo», scrive Guareschi, «che pareva fatto d’aria». E ancora: «Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me».
Dedicato a tutti i Veronesi d’Italia
Buttafava decise di cancellare il racconto, ma il primo a soffrirne fu proprio lui: «Mi spiace usarti una scortesia proprio a Pasqua (quell’anno si celebrò il 26 marzo, ndr), mentre dovrei mandarti centomila auguri e ringraziamenti, ma come posso rischiare così? “Oggi” è sotto milioni di occhi spesso malevoli; i più malevoli (detto tra noi) sono all’interno della stessa Rizzoli». E qui Buttafava sembra alludere in particolare a un importante giornalista che non vedeva di buon occhio la collaborazione di Guareschi con la casa editrice. Insomma, nulla di nuovo. Oggi, miliardi di bimbi urlano nel vento. A loro, come al figlio di Esterina viene ribattuto: «Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste». Ci si affida agli acchiappafarfalle del diritto e delle linee guida. Che come il giudice di Guareschi, scuotono il capo e indignati esclamano: «Che gioventù. Non sono ancora nati e già accampano diritti». Ironia amara e profetica, che fa piazza pulita del bon ton dell’abortista dalle mani pulite. Per cui si chiama Ivg (interruzione volontaria della gravidanza) ciò che è omicidio, e feto il bambino nell’utero. Commenta Palmaro: «Guareschi prefigura il drammatico scenario del rapporto tra la vita umana prenatale e la società moderna. Scenari per i quali aveva già trovato una risposta decisa, inoppugnabile, espressa in quella frase ironica che contiene una verità rovesciata. Sembrano fatti d’aria anche oggi quei bambini, perché il mondo non riesce a vederli, a coglierne la presenza. Quasi fossero una verità di fede, un dogma cattolico. E non una faccenda di carne e sangue, di muscoli e di tendini, un cuore pulsante». E questa semplice verità, la ragione, senz’altri attributi, davvero non la può capire? Consigliamo la lettura di Guareschi anche a tutti i professoroni Veronesi d’Italia che simpaticamente e col sorriso sulle labbra vorrebbero ripulire l’aria dove quei “piccolini” invisibili vagano come microbi solitari e senza pace. E per quelli che ce la faranno ad uscire dal ventre materno, ci sarà sempre una buona morte a toglierli dall’impaccio della vita. Ci penseranno gli stessi eutanasici medici da fitness-room che poi ti consigliano la dieta vegetariana: perché ingollarsi di carne fa venire il cancro. Prosit a Umberto, grande chirurgo-manager, e a tutti i doctor House dell’eugeneticamente corretto. Noi, invece, facciamo parlare Guareschi: l’embrione che fantasticamente torna in vita a rivendicare i suoi diritti, vale più di un meeting all’Ieo (la casa madre dello sciccoso Veronesi). La narrazione parte da un fatto di cronaca nera, un delitto d’onore. L’embrione è il bambino dell’Esterina, uccisa dal marito, Nazareno. Guareschi dialoga con un’immaginaria Giò, la colf «l’unica che non aspiri a diventare una diva tv».
di Luigi Santambrogio
LIBERO 26 gennaio
«Caro feto, lei non esiste. Non si azzardi ad accampare alcun diritto»
Pubblichiamo uno stralcio del racconto “L’embrione” (1967) di Giovannino Guareschi, tratto dal volume “Baffo racconta” (Rizzoli, 2004, pp. 196, euro 8,4). Il racconto, scritto nel 1967, è rimasto a lungo inedito. Fu rifiutato in quell’anno dalla rivista “Oggi”.
di GIOVANNINO GUARESCHI
«Come s’è detto, il caso era di normale amministrazione: il bravo Nazzareno fu condannato a due anni di carcere e, avendo interposto appello, “uscì liberamente dall’aula con un sorriso trionfante e fu accolto nel corridoio con applausi dal pubblico numeroso che aveva seguito il processo…”»
«Scusi – esclamò Giò interrompendomi. – ma questo è semplicemente quanto sta scritto sul giornale!»
«No, – risposi. – Sul giornale si dice pur che la giovane donna stava per diventare madre ed è logico pensare che il bravo Nazzareno abbia tenuto presente questo particolare e, mentre collocava qualcuno dei tanti colpi nel ventre della traditrice, abbia esclamato: “Crepa anche tu, figlio di malafemmina!”. Ed è qui che incomincia la mia storia.
«Accadde infatti che, allorquando era già finito da un’ora, un vecchio signore in toga ancora sostasse in ufficio, intento a consultare certe carte.
«A un tratto, sentì qualcuno tirargli l’orlo della toga e, chinatosi, vide che si trattava d’un bambino piccolo piccolo, che pareva fatto d’aria.
– Che cerchi? – domandò burbero l’uomo togato.
– Cerco giustizia – rispose il piccolino.
– E vieni a cercare giustizia proprio qui? – ridacchiò l’uomo. – Tu devi davvero essere piovuto giù da un altro mondo.
– Effettivamente sì – rispose il piccolino. – Io sono il figlio dell’Esterina. Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva pure tener conto!
– No, ragazzino. Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste. Il Codice parla chiaro: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito, sono subordinati all’evento della nascita”.
«Il piccolino che, mentre aspettava s’era sfogliato i Codici, replicò: – E allora come mai è stabilito che chi interrompe la maternità di una donna senza il consenso di lei è punibile con la reclusione da 7 a 12 anni? Mia madre non aveva davvero acconsentito che lui ammazzasse anche me!
– Non facciamo confusione, ragazzino – disse l’uomo togato. – Prima di tutto, qualora la maternità venga interrotta per “motivi d’onore”, si può ottenere lo sconto anche del 50 per cento. Secondariamente, l’art. 554 non è qui applicabile perché l’azione di Nazzareno non aveva lo scopo di interrompere la gravidanza di tua madre, bensì quello di uccidere tua madre. Se Nazzareno voleva semplicemente interrompere la gravidanza di una madre, non occorreva davvero che ammazzasse anche il suo amante. Il fatto che abbia ucciso anche l’amante della moglie, dimostra le intenzioni perfettamente legali della sua azione.
– D’accordo – esclamò il piccolino. – Ma siccome, ammazzando mia madre ha ammazzato anche me, praticamente si tratta di un crimine contro la maternità!
– No, ragazzino. Prima di tutto, quando si agisce per “motivi d’onore”, le pratiche cosiddette “illecite” non sono da considerare contro la maternità. Esempio: secondo un marito, il figlio che la moglie sta per dargli è il prodotto di una relazione extraconiugale: se il marito interrompe la gravidanza della moglie non si tratta di pratiche contro la maternità, ma contro la paternità. Egli non agisce contro il figlio della moglie ma contro il figlio dell’amante della moglie. Secondariamente tu non hai nessun diritto da accampare perché non sei una persona fisica. Tant’è vero che non sei nato!
– Però sono morto!
– E come può morire chi non è nato? D’altra parte, se non volevi grane, dovevi sceglierti una madre più onesta!
– O magari un padre meno cornuto! – replicò il piccolino perdendo la calma.
«Il vecchio togato s’indignò:
– Screanzato! Come osi offendere un uomo che, per tutelare il suo onore, non ha esitato ad ammazzare la moglie e l’amante di lei? Nessuno ha più il diritto di chiamare il buon Nazzareno con quel termine dispregiativo. Perché Nazzareno è a posto con la coscienza e con la legge. Gli articoli 551, 578, 587 eccetera del codice penale sono stati creati per consentire a tutti i galantuomini offesi nell’onore, di ammazzare la moglie infedele!
– Ma signor Giudice!…
– Io non sono un giudice! Io sono l’usciere e mi sono appartato qui per studiarmi in pace gli ambi ritardati. La toga me la sono buttata sulle spalle perché avevo freddo. Comunque anche un giudice non avrebbe potuto risponderti diversamente. Credi, non c’è niente da fare: dura lex sed lex. Oltre al resto io non capisco come tu ce l’abbia tanto con quel bravo giovanotto di tuo padre. Alla fine, che t’ha fatto di male?
«Il piccolino spalancò le braccine:
– Visto in che razza di mondo avrei dovuto vivere – borbottò – direi che mi ha reso un buon servizio.
«Poi s’infilò in una fessura del pavimento e scomparve.
«Il vecchio scosse il capo:
– Che gioventù – gridò indignato.
– Non sono ancora nati e già accampano dei diritti ! E si erigono a giudici del padre!…
«Non è una grande cosa, ma la storia c’è – ammise Giò. – Però non è valida perché basata su elementi fuori dalla realtà. Non è verosimile che il figlio di uno che ha ammazzato la moglie per motivi d’onore, parli così male del padre. Io ho letto fior d’inchieste e sempre i figli che avevano avuto la madre uccisa per motivi d’onore parlavano con entusiasmo ed orgoglio del padre. Si dicevano fieri che il padre fosse universalmente ammirato e stimato come “uomo d’onore”.»
«E se il ragazzino non fosse figlio…» prese a insinuare Margherita. Ma io l’interruppi:
«No, Margherita! Qui niente applausi per gli assassini! Qui non siamo in tribunale e qui i morti si rispettano!»
LIBERO 26 gennaio