Italia e immigrazione: intervista ad Alfredo Mantovano

Il contrario dell’intolleranza

Altro che frontiere chiuse. Per il sottosegretario all’Interno Mantovano il pacchetto sicurezza elimina la discriminazione degli immigrati regolari…

di Rodolfo Casadei

 

A seguire i ritmi del dibattito politico, parrebbe che il cosiddetto pacchetto sicurezza del governo si riduca all’introduzione del reato di immigrazione clandestina e alla definizione della clandestinità come aggravante nei processi per altri reati. Sono questi gli argomenti su cui fervono le polemiche sia fra il governo e l’opposizione che all’interno della maggioranza. Fortunatamente la portata dei provvedimenti in corso di approvazione è più ampia. Ce lo spiega in un colloquio il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano.
Signor sottosegretario, ci aiuta a capire la tempistica del “pacchetto sicurezza”?
Il decreto legge sta procedendo verso la conversione: probabilmente alla fine della settimana prossima sarà all’esame del Senato dopo esser passato attraverso le commissioni Giustizia e Affari costituzionali. Poi andrà alla Camera e lì dovrebbe stare altri 20 giorni. Invece il disegno di legge (ddl) sulla sicurezza è stato trasmesso al Senato il 5 giugno. Non essendoci i tempi contingentati come per il decreto legge immagino un percorso lievemente più lungo, però l’obiettivo è arrivare all’approvazione entro fine luglio. Poi ci sono anche tre decreti legislativi che sono atti del governo di attuazione di direttive comunitarie, come la direttiva sui rimpatri degli immigrati clandestini extracomunitari messa a punto la settimana scorsa, che passano dal Parlamento per l’espressione di un parere in commissione. Ma gli interventi del governo per la sicurezza non finiscono qui. Ci sono altri temi che saranno presi in considerazione dopo l’estate: polizia locale, istitituti di vigilanza, riordino delle carriere nelle forze di polizia sono altrettanti capitoli in agenda. Il senso del pacchetto è di varare subito ciò che riteniamo possa rispondere in termini di immediatezza alle urgenze della sicurezza di oggi.
Passando ai contenuti, quali sono i caposaldi del pacchetto e le opzioni strategiche?
Mi spiace che il dibattito si sia avvitato attorno alla questione del reato di immigrazione clandestina, che è solo una delle circa 50 norme del pacchetto. I caposaldi del pacchetto sono almeno cinque: un maggior rigore nei confronti dei clandestini, un maggior rigore nei confronti dei comunitari (soprattutto neocomunitari) che si muovono nell’illegalità, provvedimenti in materia di sicurezza stradale, disposizioni su sequestro e confisca dei beni di provenienza mafiosa, infine una serie di norme sulla sicurezza urbana che danno più peso al ruolo dei sindaci e della polizia locale, in raccordo con le forze di polizia di ambito nazionale. Lungo queste cinque piste si muovono sia il decreto legge che il ddl, che i decreti legisaltivi.
Come si pone il pacchetto rispetto alla vexata quaestio del nesso stranieri-criminalità?
Intanto accentua la linea di confine fra regolari e clandestini. Noi usciamo sulla base di dati obiettivi che sono accessibili a chiunque: usciamo da due anni durante i quali gli immigrati regolari sono stati vessati mentre i clandestini hanno avuto un trattamento di riguardo. Negli anni successivi all’entrata in vigore della Bossi-Fini il numero di permessi di soggiorno rilasciati o rinnovati si aggirava attorno ai due milioni per anno, a partire dalla seconda metà del 2006 e poi nel 2007 c’è stata una drastica riduzione a 1,5 milioni. Contemporaneamente sono diminuiti gli ingressi nei Cpt e in modo sensibile il numero delle espulsioni. Vogliamo ribaltare questa logica. Gli immigrati regolari, il cui tasso di criminalità è statisticamente pari a quello degli italiani, devono vedere la loro strada facilitata; gli immigrati clandestini vanno espulsi: non ci sono soluzioni intermedie. I decreti legislativi mirano a rafforzare le misure tendenti alle espulsioni dei clandestini e a evitare la strumentalizzazione di istituti buoni come il ricongiungimento familiare e il diritto di asilo, che negli ultimi due anni sono stati utilizzati per ampliare la fascia delle presenze irregolari. Riguardo poi alle misure di contrasto alla criminalità, non hanno un carattere etnico o di di-scriminazione sulla base della provenienza, ma tendono a riportare un minimo di rispetto delle regole. Per il commercio di merce contraffatta si prevede la possibilità di distruggere tali prodotti senza bisogno di attendere la sentenza definitiva: questo scoraggerà molto la pratica di questo reato. C’è una serie di disposizioni che incrementano le sanzioni penali e quelle accessorie, come la perdita della potestà di genitori per chi utilizza i minori in attività di accattonaggio. Ci sono misure per contrastare i matrimoni di comodo, perché si prevede la dimostrazione di una stabile convivenza sul territorio italiano dopo il matrimonio, per chi chiede la cittadinanza in quanto coniuge straniero di un italiano. E poi c’è la misura su cui si concentrano gli strali del Pd, che prevede che se un reato viene commesso da un clandestino scatta un aggravante. Ma è la stessa logica del reato commesso da un latitante: in un caso come nell’altro non si rispetta un ordine dell’autorità (la carcerazione in un caso, l’ordine di espulsione nell’altro), e perciò scatta l’aggravante.
Resta la diatriba sul reato di clandestinità.
Credo che si arriverà a una sintesi. Credo che il Parlamento debba decidere quali possono essere gli strumenti più efficaci per raggiungere l’obiettivo dell’espulsione. Il Consiglio dei ministri ha deciso di inserire il reato di ingresso clandestino nel ddl e non nel decreto legge proprio per rispetto nei confronti del Parlamento su una questione molto controversa, come sta emergendo anche all’interno della stessa maggioranza.

Tempi 09 Giugno 2008