Il ritorno di Bossi…

  • Categoria dell'articolo:Dal mondo

1) Bossi stavolta appende al tram Romano
di Renato Farina


2) Bossi, appello su famiglia e immigrati: «La sinistra vuol scardinare la società»
Il leader della Lega: «Con l’Unione mondo a rovescio»

1)


Bossi stavolta appende al tram Romano


di Renato Farina


Dicono gli osservatori: «Per forza che è tornato in tivù, se no che cosa sarebbe la Lega senza Bossi? Niente». La frase giusta è un’altra, dopo averlo rivisto a Porta a porta ieri sera: «Che cosa sarebbe la politica italiana senza l’Umberto?». Per usare una formula applicata dal Senatùr al programma di Prodi: sarebbe vaselina, e qualcuno che non ha capito l’uso della pomata, chieda in giro a che cosa serve. Ieri sera Umberto Bossi è tornato a Porta a porta. Il suo intervento era stato registrato qualche giorno fa nella sede milanese della Lega, in via Bellerio, e domenica ne abbiamo raccontato la sintesi. Ma vederlo è un’altra storia. Chi lo ha seguito dal video, scacciata un po’ di malinconia, ha ritrovato l’incanto della politica. Non dimentichiamocelo. Ne ha reinventato lui il linguaggio. Ieri con Bossi non c’erano toni alti o bassi. C’era il tono: ad altezza d’uomo, dove ci arriva senza capriole la mente della gente normale. «Berlusconi e la Lega siamo l’unico perno per il cambiamento», ha detto. Poi, dalla sua villetta di Gemonio, è andato all’università di Varese per festeggiare il portavoce di due Papi, Joaquin Navarro-Valls, cui veniva conferita la laurea honoris causa. Ha scandito Bossi: «La Chiesa non sbaglia mai». Il Senatùr è segnato dai guai fisici, si stanca facilmente. La volta precedente di Porta a porta, nel marzo del 2003, cantava con Mastella a Sanremo. Ora parla meno a lungo e trascina la voce. Ma ha un dono che se ne frega degli handicap. Non so se chi non è lombardo capisce (scusate, noi che siamo nati a Nord di Milano, ce la tiriamo un po’), ma il suo vocabolario è fisico, meccanico, ha l’odore delle officine quando parla di riforme istituzionali o di Chiesa cattolica. Officine con i bulloni da fresare e la tua donna che ti aspetta a casa. Non le officine finte, dove si attorcigliano avverbi, come quella così battezzata dal Mortadella e che a Bologna ha prodotto le 281 pagine di un programma alla vaselina. Riprendo la formula di Bossi: «Berlusconi e la Lega siamo l’unico perno per il cambiamento». Perno di Bossi contro cuneo fiscale di Prodi. Il perno è un aggeggio meccanico, qualcosa di fisico, che non ha bisogno di aggettivi per rendere l’idea. Cuneo fiscale invece è pura astrazione, una fumisteria da mandarino che ti frega con le sue cineserie. Ma sì, è lui, proprio il Bossi. A De Mita disse, nel 1996: «Tàches al tram!». A Prodi, con un giro tosto di parole, mette il perno nel cuneo. È l’Umberto, ragazzi. A Varese indossa la cotta del chierichetto: «La Chiesa ci azzecca sempre nella scelta del Papa. Questa volta ne occorreva uno che salvasse tradizione e identità della Chiesa, e questo Papa mi pare l’uomo giusto». Poi se la toglie. I suoi successori? Ride. Anche se lo trattano come uno più di là che di qua, sa essere spiritoso: «I miei delfini? Sono tanti. Io comunque sono vecchio e prima o poi dovrò andarmene. Chi preferisco? Preferisco una bella donna». E così riprende in mano il movimento, attraversato da molte polemiche. Maroni ha individuato nelle settimane scorse una specie di golpe dei giovani turchi della Lega (turchi in senso non proprio etnico), che hanno buttato fuori dalle liste parecchi bravi deputati. Il rischio è che la prossima pattuglia parlamentare della Lega – vittoriosa o sconfitta – sia ingovernabile. Per questo Maroni nei giorni scorsi ha visto a Novara Giancarlo Giorgetti, il segretario della Lega lombarda, ritenuto capo della nuova onda, e ora alla guida del carroccio c’è pace. Bossi, per sancirla, ha spiegato che a Roma ci viene lui, non farà più il deputato europeo. Nessuno, neanche il più scavezzacollo tra le camicie verdi oserà metterglisi contro. Queste però sono beghe interne. Secondarie. In primis, la notizia è che Bossi è tornato. E la qualità della politica sale, c’è un altro livello. Non quello degli interessi, sia pure legittimi, o dell’ideologia, forse necessaria. Quello della politica come passione più forte della malattia e persino della morte quando – il più tardi possibile – verrà. Bossi è questa roba qui. Qualcuno dice: non bisognava strumentalizzare così quest’uomo, non è più adatto alla pugna. Invece è una testimonianza. Per i cristiani, testimone è uguale a martire. Etimologicamente: uno che versa la sua vita. Bossi non ha fatto altro: la politica come una missione di cambiamento, per far stare meglio la sua gente. E se la salute va a gambe per aria, al diavolo la salute, si deve pur morire di qualche cosa. Bossi ha pitturato le sue scritte padane e federaliste sull’autostrada rovinando la macchina nuova di Roberto Maroni, perché, dopo alterne passioni (era stato anche vicino al Pci, ed aveva aiutato, nel 1976, a raccogliere denaro contro «il fascista Pinochet») aveva incontrato un signore che lo aveva affascinato: Bruno Salvadori. Non un libro, ma una persona. Accadde nel febbraio del 1979 alla facoltà di medicina di Pavia: lì l’Umberto casualmente incontra il leader del partito Autonomista Union Valdôtaine. Un anno dopo Salvadori muore. Bossi ne raccoglie l’eredità: soprattutto debiti. È stato preso per un mitomane. L’ictus dell’11 marzo del 2004 gli ha consegnato una doppia esperienza. È stato «schiacciato dal dolore». Ma ha sentito il calore affettuoso della famiglia e dei suoi amici. La politica o viene da questo affetto o è un cuneo. Meglio il perno.


Libero 28 marzo 06


2)


Bossi, appello su famiglia e immigrati: «La sinistra vuol scardinare la società»
Il leader della Lega: «Con l’Unione mondo a rovescio»


Tira dritto Umberto Bossi. Che ha deciso di passare queste due ultime settimane di campagna elettorale in mezzo alla gente e spingere sull’acceleratore, così da tirare lo sprint alla Lega in vista del voto del 9 e 10 aprile. Quella del Senatùr è una miscela equilibrata di comizi sul territorio e apparizioni tv, queste ultime valutate di volta in volta con attenzione certosina. Così, dopo il Porta a Porta di lunedì, ieri il Senatùr ha partecipato a DopoTg1, trasmissione di approfondimento di RaiUno condotta da Clemente Mimun. E per la prossima settimana ci sono in ballo altre apparizioni, probabilmente a Matrix e ancora a Porta a Porta (in entrambe i casi il Senatùr potrebbe essere presente direttamente in studio). Televisione a parte, dopo il comizio di Novara, ieri sera è andato a Pavia, venerdì parteciperà a Milano al battesimo del gruppo politico femminile della Lega Nord (da lui fortemente voluto) e sabato sarà a Vicenza. Insomma, dopo due anni di assenza, seppure con qualche acciacco in più, Bossi ricomincia da dove si era fermato quell’alba dell’11 marzo 2004. E riprende pure a scrivere l’editoriale di Lega Nord, tradizionale pubblicazione elettorale del Carroccio stampata in circa 9 milioni di copie e distribuita per posta in tutto il Nord Italia. Eloquente il titolo: «Votiamo contro il mondo alla rovescia».
«In queste elezioni – scrive Bossi – è in gioco il futuro della nostra società così come noi la concepiamo». E quindi, «se vogliamo evitare di svegliarci il 10 aprile in un mondo alla rovescia dobbiamo spendere tutte le nostre forze». Il Senatùr è caustico, perché «dovesse prevalere la sinistra, la nostra società e il nostro mondo verrebbero irrimediabilmente scardinati». Il leader del Carroccio attacca su tutti i fronti cari alla Lega: famiglia («sarebbe la prima a cadere così come da secoli la concepiamo, subito sostituita dalla famiglia omossessuale»), imprese («la nostra piccola imprenditoria sarebbe strozzata dalla sleale concorrenza dei cinesi senza che nessuno metta dei limiti») e federalismo. Quello istituzionale, perché «dopo tutti gli sforzi che abbiamo fatto per arrivarci democraticamente sarebbe a rischio», e quello fiscale, «il nuovo passo che ci attende». «Che i soldi rimangano laddove sono prodotti con il lavoro», sarebbe una «conquista sbarrata» nel caso di vittoria del centrosinistra. Concetti che Bossi sintetizza così: «Dovremmo ricominciare da capo le estenuanti battaglie che abbiamo condotto fin qui».
C’è spazio anche per una considerazione personale, che in qualche modo dà la misura del ritrovato attivismo del Senatùr: «La sorte mi ha ferito, ma non vinto». Parole dalle quali emerge un Bossi sì diverso da prima («più buono», dice lui) ma pur sempre combattivo. «Padani – è l’appello che rivolge ai suoi – ancora una volta vi chiedo di non lasciare decidere ad altri il nostro destino. Mai senza di noi dove si decide di noi!». Insomma, il Senatùr è d’accordo con Berlusconi: quelle del 9 e 10 aprile non sono solo delle elezioni ma «una lotta per evitare che il nostro mondo sia rovesciato, i nostri sogni distrutti, le nostre speranze calpestate».
Bossi, poi, torna sulle battaglie care al Carroccio e punta il dito contro «l’invasione degli immigrati clandestini» e «l’Europa dei burocrati» che «scricchiola». A DopoTg1, registrato nel pomeriggio in collegamento da via Bellerio, il segretario della Lega ribadisce di essere sulle posizioni del presidente della Cei Camillo Ruini: «Dobbiamo stare lontanissimi dall’idea di famiglia omosessuale che in Spagna deriva dall’idea dei Pacs». E attacca Romano Prodi sul fronte economico: «Quando gli hanno chiesto come ridurrà il cuneo fiscale ha risposto “armonizzando la tassazione sui rendimenti finanziari”. Un’affermazione generica che dice tutto e niente. Così la sinistra si lascia le mani libere per fare quello che vuole».


di Adalberto Signore
Il Giornale n. 74 del 29-03-06