Il “popolo della vita” comincia a pensare da maggioranza

Pro life, una minoranza attiva che dopo trent’anni prova a pensare da maggioranza

Breve storia del popolo dell’embrione nazionale. La nascita dei movimenti, la battaglia contro la 194, le divisioni interne, la Caporetto del 1981, poi la legge 40…

di Francesco Agnoli

L’evento referendario del giugno scorso non è passato invano. In quei mesi infatti i tanti gruppi e gruppuscoli pro life italiani, riuniti nel Comitato Scienza e Vita in occasione della battaglia in difesa della legge 40 e chiamati in causa recentemente dal ministro della Salute Francesco Storace nella disputa intorno alle sperimentazioni della Ru486, si sono organizzati per conferenze, dibattiti e volantinaggi, con una operatività assolutamente nuova.
Complice anche l’uso di Internet, il “popolo della vita”, come ama autodefinirsi, ha stretto relazioni e alleanze, sinergie nuove, ben più che in passato.

Il mondo pro life precedente al referendum sulla legge 40, infatti, risulta piuttosto scalcagnato e disorganizzato, incapace di agire, almeno sul piano culturale, con una certa incisività. Anche i rapporti all’interno del mondo cattolico, del resto, non sono sicuramente dei migliori: in molti, infatti, soprattutto per influenza del pensiero progressista, stimano quasi dannoso dedicarsi alla salvaguardia della morale naturale, ritenendola una battaglia di retroguardia, mentre altri rifiutano qualsiasi tono forte, in nome della “apertura al mondo”, del dialogo fine a se stesso e del pacifismo utopico. Sono gli anni in cui in Parlamento si discute sull’aborto, senza che il partito dei cattolici, la Democrazia cristiana, prenda veramente a cuore il problema, se non attraverso alcuni suoi singoli membri. L’Espresso e Repubblica, appoggiate anche dal Corriere della Sera, suonano la grancassa mediatica a favore della legalizzazione dell’aborto, senza peraltro proporre nulla di concreto per le reali necessità delle donne: la presenza dei cattolici, intanto, appare penosamente latitante. Ne sono prova le modalità con cui nasce, il 12 gennaio 1977, il Movimento per la vita: a fondarlo un “semplice” giornalista di Avvenire, Piero Pirovano, senza particolare seguito e, come ricorda lui stesso, con lo stipendio “al minimo contrattuale”. Pirovano, persona affabile e tenace, sente il dovere di buttarsi nella mischia, ma senza immaginare cosa possa scaturire dalla sua personale iniziativa: “Ero spiritualmente lacerato tra la spinta a fare qualcosa, ad agire, e la consapevolezza della mia limitatezza, che mi frenava”. Ciononostante, con un gesto di coraggio, convoca, in base a non si sa quale autorità, come scherza lui stesso, i dirigenti della varie associazioni cattoliche di Milano, riuscendo a raccogliere, tra le altre, l’adesione di Roberto Formigoni, allora responsabile nazionale del Movimento popolare e di don Dionigi Tettamanzi, assistente spirituale dell’Amci. Non vuole invece coinvolgere, se non tangenzialmente, le gerarchie ecclesiastiche, allo scopo di condurre una battaglia, come spiega nei suoi comunicati, puramente razionale, comprensibile a tutti, anche ai non credenti. Non immagina certo, però, a quanto ho compreso, che proprio tanti religiosi accoglieranno freddamente l’iniziativa, e che alcuni arriveranno addirittura a ostacolarla. A ricordare incomprensioni e scontri di quegli anni con alcuni rappresentanti del mondo ecclesiastico è Carlo Casini, il magistrato di Firenze che nello stesso periodo, insieme al ginecologo Enrico Ogier e all’ingegner Mario Paolo Rocchi, costituisce il primo Centro di aiuto alla vita italiano, nella città di Firenze. Nella patria di Dante, dove il celebre dottor Conciani pratica clandestinamente aborti e sterilizzazioni, medici, psicologi, giuristi e assistenti sociali si propongono come volontari per aiutare le madri in difficoltà: è la risposta vera a un dramma umano esistente, e che non può essere ignorato. I frutti, in breve tempo, sono tali da allargare il cuore: “I 45 casi esaminati (31 di ragazze madri e 14 dovuti a situazioni di particolare difficoltà di coppia) sono stati tutti positivamente risolti e i bambini sono venuti alla luce”.


Mentre il Centro di Firenze diviene modello per molti altri, in tante città d’Italia, il Movimento per la vita inizia a prendere forma e a ingrossare le fila. In origine tale organizzazione non è assolutamente, come si potrebbe pensare, vicino a posizioni di “destra” (secondo le banali etichette correnti): al contrario, leggendo le memorie di Pirovano, si intravede una ferma volontà di differenziarsi non solo dalla destra politica, ma anche da altri movimenti pro life, come Alleanza cattolica, considerati eccessivamente intransigenti. Vogliamo essere propositivi, “per la vita”, più che “a difesa della vita”: è questo un concetto espresso più volte dal Pirovano, forse anche per cercare uno spiraglio, per il dialogo, con altre posizioni culturali. Fiancheggiato in questi anni anche dal celebre professor Lombardo Vallauri, il Movimento inizia la sua attività con due iniziative particolarmente interessanti: una conferenza dei coniugi Barbara e Jack Willke, per presentare un loro libro, vendutissimo in America, intitolato “Manuale sull’aborto”, e una proposta di legge di iniziativa popolare, di ispirazione assai liberale, in cui si prevede “il perdono giudiziale per alcuni casi in cui la concreta applicazione della sanzione penale sia sproporzionata rispetto alla drammaticità della situazione soggettiva vissuta dalla donna che ha abortito”. Si prospetta così la possibilità per il giudice di non condannare la donna che abbia abortito “per la propria salute”, “per un concepimento determinato da violenza carnale o per un accertamento di un rischio elevato di una gravissima malformazione o deficit neurologici del nascituro”. Una tale “apertura” non trova però simpatizzanti tra i sostenitori della legalizzazione dell’aborto, né piace a quanti vi vedono un cedimento inaccettabile rispetto al principio, intoccabile, della sacralità della vita. Anche lo stesso mondo pro life italiano finisce così per dividersi, e per diminuire le sue forze.


Nel 1980 il Movimento per la vita raggiunge il culmine della sua attività proponendo il referendum parzialmente abrogativo della legge 194: vengono raccolte ben 2.300.000 firme, ma la sconfitta è dietro l’angolo, e sarà clamorosa.
In realtà, rievocando quei fatti, si omette spesso di ricordare che alla vigilia della consultazione il mondo cattolico si presenta debole sul piano mediatico e politico, estremamente povero e disorganizzato, e, soprattutto, spaccato al suo interno: le Acli, l’Azione cattolica, la Lega democratica di Pietro Scoppola, e il Centro italiano femminile, per esempio, sono fermamente contrari al referendum, da posizioni, per così dire, di sinistra, mentre altre organizzazioni, come Un popolo per la vita e il Criv, al contrario, contestano il fatto che il referendum parzialmente abrogativo (detto “minimale”), proposto dal Movimento stesso, permetta in alcuni casi l’aborto legale.
La sconfitta diventa così una Caporetto, da cui salvarsi con la fuga: seguono anni di sconforto, di sfiducia, in cui spesso si abbandona il desiderio e il coraggio di agire anche culturalmente all’interno della società italiana.


Sino a qualche mese fa: il referendum, a torto scongiurato e temuto, forse anche per una paura ormai penetrata nelle ossa, rivela un popolo italiano diverso dal passato, e, soprattutto, una gioventù disincantata rispetto alla retorica della libertà sopra ogni cosa e del culto dei “diritti acquisiti”.
In tanti vogliono capire di più, osservare meglio, delegare meno ai giornali e ai partiti, la cui scarsa affidabilità è sotto gli occhi di tutti. Si aprono opportunità inaspettate, si crea un nuovo spirito di collaborazione e di intesa tra le organizzazioni e i movimenti cattolici, tra cattolici e pattuglie non conformiste di laici. Sorgono anche nuove associazioni, come ad esempio Un popolo per la famiglia, fondato a Firenze per iniziativa di Pucci Cipriani, giornalista, insegnante di religione, già militante ai tempi del referendum sull’aborto, oggi coadiuvato da un gruppo di giovani professionisti. Si arriva addirittura al punto di concepire la possibilità di dar vita a un “partito della vita”: si tratta del Movimento politico Solidarietà, la nuova creatura di Piero Pirovano. Attivissimo, infine, nei giorni del referendum, anche un altro soggetto recentissimo come il Comitato verità e vita, reduce da un importante raduno in Val d’Aosta, e animato da veterani come il Rocchi, da giovani scrittori di fama come Mario Palmaro, dal domenicano padre Carbone, e, infine, da Giuseppe Garrone, colui che ha reintrodotto in Italia, negli anni Novanta, la ruota degli esposti, per salvare i bambini dai cassonetti, e che ha ideato per primo i famosi telefoni verdi, disponibili 24 ore su 24 per aiutare le mamme in difficoltà, e per seguire anche il percorso post aborto di tante donne lasciate sole. “Ci sono veramente grandi possibilità – conferma Mario Palmaro, punto di riferimento di numerosi circoli culturali sorti nel periodo referendario – perché sempre più gente è interessata e ci chiama in giro per l’Italia per conferenze e incontri, nelle parrocchie, ma anche in ambienti laici e nelle scuole”.


Il Foglio 15 novembre 2005