Il partito del premier turco nel Ppe. Incubo? No, triste realtà

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Dopo la Turchia Erdogan porta in Europa anche il suo partito


Venerdì il Ppe accoglierà come osservatore l’Akp del premier turco, scrive il País. Conferme da Bruxelles. Se il partito europeo dovesse accogliere l’Akp, Erdogan incasserebbe un secondo (personale) successo…

Madrid. Il moderato e d’ispirazione islamica Adalet ve Kalkinma Partisi (Akp) – che in turco significa Partito della giustizia e dello sviluppo – del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, al potere ad Ankara con maggioranza assoluta dal 2002, entrerà venerdì prossimo, come osservatore, nel Partito popolare europeo (Ppe). Lo ha scritto, dandolo per certo, il quotidiano madrileno País, suscitando non pochi interrogativi, dal momento che il Ppe, il gruppo più importante all’Europarlamento di Strasburgo (268 seggi su 732), si era a dicembre opposto all’avvio dei negoziati per l’entrata della Turchia nell’Unione europea. “L’ingresso dell’Akp è effettivamente nell’agenda dell’ufficio politico che si riunisce a Bruxelles giovedì e venerdì – confermava ieri pomeriggio al Foglio un’autorevole fonte del Ppe – E la luce verde è probabile“. Se il partito europeo dovesse accogliere l’Akp Erdogan incasserebbe un secondo (personale) successo.
E’ stato proprio il “basbakan” – premier in ottomano – ex sindaco di Istambul dal 1994 al ’98 a fondare l’Akp il 14 agosto del 2001, subito dopo la revoca della condanna all’ostracismo politico “per attività contrarie al secolarismo di Stato”.
Ma in Europa ci sarebbero effetti dirompenti. Un po’ più di un mese fa, infatti, alla vigilia del “sì condizionato” all’inizio dei negoziati di adesione all’Ue, la presidentessa della Cdu tedesca, Angela Merkel, aveva scritto ai membri del Ppe una lettera in cui sottolineava il suo “nein” alla Turchia nell’Unione, soprattutto per l’incapacità dell’Ue di sopportare il carico di altri 70 milioni di persone – di cui il 99 per cento fedele a Maometto – e confermava il suo appoggio a una più gestibile “associazione privilegiata”. La posizione di Merkel, condivisa anche dal presidente del Ppe, il teutonico Hans-Gert Pöttering, e dal premier austriaco, Wolfgang Schüssel, coordinatore del Partito popolare europeo sulla questione turca, non era però condivisa da tutti nel partito, tanto che era stata lasciata una sostanziale libertà di voto. “Non ha prezzo l’effetto di contagio per il mondo musulmano di un paese islamico che si trasformi in una società aperta e integrata nell’Unione europea”, sosteneva lo spagnolo Alex Vidal-Quadras, vicepresidente dei popolari europei.
 Il nuovo arrivo ha un precedente, che mette in pratica lo slogan spesso ripetuto dal centrodestra a Bruxelles: “L’Europa non è un club cristiano”. Nel giugno del 2003 l’Internazionale democratica di centro (la ex Internazionale democristiana rifondata nel 2001 dal suo presidente, José María Aznar, per permettere anche l’ingresso di partiti non osservanti del Vangelo) aveva fatto entrare, come osservatore, l’Istiqlal, partito nazionalista marocchino con solide radici islamiche, seconda forza politica nel regno di Mohamed VI e al governo in coalizione con i socialisti. Il liberal El Mundo allora rivelava: “Tra gli architetti dell’arrivo dell’Istiqlal c’è anche il segretario esecutivo del Ppe, il navarro López- Isturiz”. E non è certo un caso che proprio questi, ex segretario personale di Aznar, commenti al País: “I dirigenti dei popolari europei sostengono adesso che gli statuti del Akp e il suo programma sono di stampo europeo”. Il quotidiano spagnolo osserva, palesando il suo appoggio: “Il partito di Erdogan rifiuta di denominarsi “democratico- islamico” e preferisce invece definirsi “conservatore”, valorizzando le tradizioni, la famiglia, la religione ed i valori etici”. E trova così un minimo comune denominatore con i moderati europei del Ppe.


Il Foglio 26 gennaio 2005