La Croce, la mezzaluna e la stupidità…

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IL CASO HEGAZI

In tre puntate p. Samir Khalil Samir racconta la “via crucis” di un giovane egiziano, Mohammad Hegazi, convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, ma che invece rischia una condanna a morte per apostasia.
Intanto, come denuncia Magdi Allan, il Riformista ci vuol far credere che Hegazi sia un «mitomane prezzolato» che avrebbe venduto la sua anima a una «organizzazione criminale» dedita a sobillare la guerra religiosa in un Paese, l’Egitto, dove musulmani e cristiani andrebbero d’amore e d’accordo. Incredibile.
Pare proprio che non vi sia limite alla stupidità o fors’anche alla malafede…

1) Il caso Hegazi: l’ossessione dell’Islam per le conversioni

2) Il caso Hegazi: proselitismo islamico

3) Il caso Hegazi: un disegno mondiale di conversione all’Islam?

4) L’egiziano e la fatwa negata di Magdi Allan

Facciamo lo sforzo di leggere questo DOSSIER, ne vale veramente la pena.

1)


Il caso Hegazi: l’ossessione dell’Islam per le conversioni

Il caso di Mohammad Hegazi, giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, ha aperto nel mondo islamico un nuovo dibattito sulle conversioni, viste spesso come un’azione di apostasia che merita la morte. È emersa anche una vera e propria ossessione dell’Islam per le conversioni personali, essendo questa religione ridotta più a una sottomissione di tipo etnico e sociologico. Vi è chi parla perfino di un disegno per convertire all’Islam l’Europa e il mondo, al quale i governi europei danno una mano.
La Prima parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.

di Samir Khalil Samir, sj

Beirut (AsiaNews) – I fatti sono noti: un giovane egiziano di 25 anni, Mohammad Ahmad Hegazi, (nella foto) si è convertito al cristianesimo diversi anni fa (alcuni dicono 9, altri 6 anni fa, la versione islamica invece dice da pochi mesi!). Poi si è sposato con una donna che si chiama Zeinab, anch’essa divenuta cristiana, col nome di Cristina. In questi mesi egli ha chiesto che la sua conversione venga riconosciuta anche sui suoi documenti.

In Egitto, la carta d’identità riporta obbligatoriamente la religione e la sua finora è l’Islam. Ciò significa che egli apparirà come musulmano in varie questioni: diritto, successione, i figli, ecc.

La sua richiesta è stata rifiutata dall’amministrazione, che non ha dato seguito alla richiesta. Hegazi si è perciò rivolto direttamente al governo.

Come mai ha chiesto questo cambiamento solo ora, dopo anni dalla sua conversione? Forse perché la coppia aspetta un bambino. E se essi appaiono come musulmani, il bambino dovrà essere registrato obbligatoriamente come musulmano, indipendentemente dalla volontà dei genitori.

Al rifiuto dell’amministrazione, Hegazi ha cominciato una causa legale per esigere i suoi diritti, aiutato da un avvocato, membro di una ong.

Il fatto è importantissimo, più di quanto appaia, anche perché la cosa si è diffusa in molti media mondiali e ora anche tutta la stampa in Egitto discute il suo caso.

Dapprima vi sono state le reazioni degli ulema, poi quelle della gente comune. La stragrande maggioranza afferma che Mohammad Hegazi deve essere ucciso come apostata. Solo qualcuno osa citare il Corano – che afferma che “non c’è costrizione in materia di religione” – e si esprime a favore della sua libertà.

La carta d’identità

Da decenni il mondo liberale in Egitto chiede la soppressione di questa voce nei documenti ufficiali. Essa serve solo a discriminare la gente, i non musulmani.

Io stesso ho fatto esperienza di questa discriminazione tante volte e devo dire che, al di là delle promesse di tanti politici, non si riesce ancora a cancellare questa dicitura dalla carta d’identità. Vi sono per esempio seminaristi cattolici che sulla carta d’identità appaiono come “musulmani”. All’anagrafe egiziana, quasi per “default”, chiunque nasce è registrato come musulmano. Se poi uno vuol cambiare, gli si dice che “è complicato” e che “essere musulmano è un vantaggio”.

Tutto ciò non è solo un problema di burocrazia. C’è la volontà, da parte di alcuni uffici amministrativi, di approfittar della loro posizione per “islamizzare” i cristiani, o semplicemente una ripugnanza a fare questo cambiamento. Tale ripugnanza non è però dovuta alla lentezza della burocrazia egiziana. La prova è che, in senso contrario, non c’è mai difficoltà a cambiare la carta d’identità di un cristiano che si fa musulmano, e lo si fa subito! Vi è dunque una lobby e una tendenza dell’amministrazione pubblica a islamizzare la gente a partire dai documenti ufficiali.

Una cosa simile avviene addirittura in Turchia – nella Turchia laica! – in cui per cambiare il proprio nome in un nome cristiano, come mi ha attestato un mio confratello , si deve aspettare per anni.

Il fenomeno è generalizzato ed è volto ad islamizzare il più gran numero di cristiani (che in Egitto sono almeno 7 milioni). Una mia parente, cristiana da 3 generazioni, rimane con tutta la famiglia con la dizione “musulmana”. I figli, che vanno a messa tutte le domeniche, sono registrati come “musulmani”. Questo rende difficile il loro matrimonio con cristiani e spesso sono costretti a fuggire dal Paese per sposarsi con rito cristiano.

Il problema è che questa situazione è difesa dalla legge. La legge egiziana stabilisce che i figli “appartengono alla religione migliore” e cioè l’Islam. Affermare questo in un corpo di leggi spiega tutte le discriminazioni. Ad esempio, una musulmana non ha il diritto di sposare un cristiano: i figli infatti appartengono al padre, e perciò i figli di un cristiano sono “cristiani”. Tutta la legislazione è fatta per islamizzare.

Questo ha conseguenze anche in Italia. Lo scorso anno ha fatto scalpore il caso di una tunisina che voleva sposare un italiano, cattolico battezzato, ma non praticante. Per lo stato italiano la donna doveva presentare un documento di stato civile libero, richiesto all’ambasciata tunisina. Per tutta risposta il consolato tunisino ha chiesto un documento sul fidanzato per verificare che il futuro sposo fosse “musulmano”!

E pensare che la Tunisia è uno dei pochi Paesi musulmani “moderati” e assai laicizzante! Tuttora la coppia non è sposata per il rifiuto del consolato tunisino a consegnare il documento di stato libero. Ogni anno in Italia ci sono decine di casi simili. Ciò sta ad indicare la forte intromissione della religione islamica nelle scelte personali. Purtroppo l’Italia e l’Europa non si accorgono di essere presi in giro da questi Paesi.

Proprio in questi mesi in Egitto è in corso un grande dibattito giuridico, per il caso di 12 cristiani: essi si sono convertiti formalmente all’islam per poter divorziare, ottenendo subito una nuova carta d’identità con la menzione della nuova religione. Subito dopo si sono dichiarati di nuovo cristiani e chiedono il ritorno alla vecchia carta d’identità. La faccenda sembra prendere una piega positiva per loro e dovrebbe essere risolta favorevolmente nel settembre 2007.

Come si vede, la questione della “carta d’identità” ha un importanza politica assai grande, e ciò spiega la forza del dibattito in corso nel mondo islamico. Si tratta infatti di un passo che dovrebbe portare verso un certa neutralità dello Stato verso la religione.

L’ossessione dalle conversioni

Nel mondo islamico vi è una vera e propria ossessione verso le conversioni. Almeno 7 Paesi islamici applicano la pena di morte per i convertiti dall’Islam. In Sudan, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Pakistan, Mauritania ….. si uccide. Ma gli altri stati – come l’Egitto – condannano alla prigione, non in quanto apostata ma per aver compiuto un oltraggio all’islam, come lo spiega Hossam Bahgat, membro dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali.

Secondo il quotidiano del governo Al-Massa’, tutti gli imam sono unanimi sulla necessità di uccidere l’apostata Hegazi. Dicono che la sharia (non il Corano) va applicata ed essa esige la pena di morte.
Chi è più moderato dice: se l’apostata nasconde la sua conversione, non diffonde la sua decisione, allora non è necessario ucciderlo, ma potrà vivere. Se invece lo fa sapere, allora produce scandalo (fitna) e deve morire.

Per caso ho aperto il sito del “Forum dell’aviazione araba”. Nella sezione “islamica” del sito, si parla di questo unico tema, la conversione di Hegazi. Tutte le 8 reazioni registrate affermano che egli deve essere ucciso. Alcuni dicono più velatamente: “Il governo deve prendere la decisione più dura per eliminare questo problema”, ma tutti gli altri citano il Corano: “La fitna è peggiore che l’uccisione” (Corano 2,191 e 2,217) ; altri citano che “L’Islam è la religione migliore”; altri ancora: “Uccideteli affinché non ci sia fitna”(8,39); altri: “Chi vuole una religione diversa dall’Islàm, il suo culto non sarà accettato, e nell’altra vita sarà tra i perdenti” (3,85). Nessuno cita la frase coranica che afferma la libertà di coscienza, quella citata dal papa a Ratisbonna il 12 settembre scorso: “non c’è costrizione in materia di religione” (2,186); neppure quell’altra che dice: “La verità viene dal tuo Signore. Chi vuole, creda ; e chi vuole, non creda” (18,29).

E così a decine e decine in molti siti islamici nella sola scorsa settimana.

In genere, su 10 che vogliono la sua uccisione, vi è solo uno che dice: “Credo che Hegazi dovrebbe essere libero di scegliere”.

Altri ancora dicono che sì, nel Corano esiste il versetto “non c’è costrizione…”, ma esso è stato cancellato (nusikha) dal famoso “versetto della spada” (âyat al-sayf) che avrebbe cancellato decine di versetti, ma che nessuno sa identificare: se il versetto 5 del capitolo 9 (detto della “penitenza”, al-tawbah), o il versetto 29, o il 36, oppure il 41: tutti questi parlano di uccidere l’altro, e sono spesso applicati agli apostati. [1]

Morte per l’apostata

Ad ogni modo contro Hegazi vi sono le opinioni di 3 famosi imam. Il primo è l’imam Yusuf al-Qaradawi, molto esperto nel suo campo, che cita decine di referenze dei primi secoli e conclude che Hegazi deve essere ucciso perché c’è pericolo per il gruppo e il gruppo ha priorità sull’individuo. L’idea è: se costui comincia a parlare e dice che egli è contento di essere cristiano, e anzi appare nelle foto sorridente e con in mano un vangelo, ciò è insopportabile ed è una propaganda non musulmana, che non è ammessa ufficialmente né in Egitto, né in altri Paesi islamici. E siccome Hegazi sta facendo propaganda cristiana, egli deve essere ucciso.

Suad Saleh, giudice musulmana e decano della Facoltà di scienze islamiche dell’università Al-Azhar, ha dichiarato: sì, in materia di fede non vi è costrizione, ma Hegazi sta facendo propaganda e quindi bisogna applicare la legge. La giudice consiglia di dare all’apostata 3 giorni di tempo perché si penta e si riconverta all’Islam (istitâbah), poi di “applicare la legge” (e cioè l’uccisione).

Il Gran Mufti d’Egitto, Dr. Ali Gomaa, massima autorità religiosa egiziana, nel mese di giugno aveva dichiarato al Washington Post che l’apostasia “non dovrebbe” essere punita con la morte, sollevando tante reazioni da parte dell’Azhar. Dopo che molti si sono espressi a favore dell’uccisione, lui ha ritrattato in modo confuso e tuttora non si capisce la sua posizione. Visibilmente, egli voleva rassicurare l’occidente usando formule ambigue, come quella che ripete: “L’apostasia va punita quando rappresenta una fitna o quando minaccia le fondamenta della società”.

In realtà, come abbiamo detto, non c’è nel Corano nessun castigo previsto in questo mondo per l’apostata. Ma gli imam si appoggiano su un hadith del Profeta dell’islam trasmesso da Ibn ‘Abbas: « Chi cambia la sua religione, uccidetelo ». E s’appoggiano al fatto che Maometto ha applicato questo castigo contro Abdallah Ibn al-Ahzal, il quale per non essere ucciso, aveva cercato protezione nel santuario della Kaaba, ma Maometto ordinò ai suoi compagni di ucciderlo.

A tutto questo occorre aggiungere le reazioni dei genitori di Hegazi e della sua sposa. Interrogato dai giudici islamici, il padre di Hegazi ha negato che suo figlio si sia convertito al cristianesimo. La sua madre si è messa a gridare in modo isterico: “Mio figlio è morto, non ci sarà mai più relazione tra di noi fino al giorno del giudizio!”. Ali Kamel Suleiman, il padre di Zeinab, la ragazza, è stato più esplicito. Egli ha dichiarato al quotidiano indipendente al-Dustûr: “Portatemi mia figlia in qualunque modo, anche morta”. Nella nostra mentalità egiziana questo significa: uccidetela, oppure portatemela viva e la uccido io.

A causa dell’atteggiamento dei genitori, Mamduh Nakhla, copto, direttore del Centro «al-Kalima» per i Diritti Umani, che aveva depositato presso la giustizia amministrativa una richiesta di riconoscimento della conversione cristiana di Hegazi, l’ha poi ritirata per 2 motivi: “non voler rompere i legami di Hegazi con la sua famiglia” e per la “mancanza di un certificato di conversione [di Hegazi] presso la Chiesa copta”. Ciò è stato confermato da padre Morcos, un vescovo vicino al patriarca Shenouda, che ha dichiarato “La Chiesa non fa proselitismo”.

In tutte queste faccende di conversioni, la Chiesa copta è di solito molto prudente, perché deve tener conto del “bene generale”, per non compromettere altre trattative che ha col governo. Rumani Gad el-Rabb, un altro responsabile del Centro al-Kalima, ha invece dichiarato all’Afp che il gruppo ha ritirato la richiesta dopo aver ricevuto delle minacce.

[1] In realtà secondo gli studiosi questa lettura non è esatta. Va precisato: nell’esegesi coranica vi è un principio secondo cui un versetto può cancellare altri versetti (Cfr. Corano 2,106). Ma per sapere quali versetti sono cancellati, deve essere chiaro nel Corano, o deve esserci unanimità nella comunità delle origini. Ad ogni modo gli studiosi dicono che in questo caso non c’è per nulla unanimità. Secondo il più grande studioso medievale, Jalal al-Din al-Suyuti (m. 1505), solo 21 versetti coranici rispondono a questi criteri (cfr. il suo libro Mu‘tarak al-Aqrân, p. 118).

AsiaNews 29/08/2007

2)

Il caso Hegazi: proselitismo islamico

Mohammad Ahmad Hegazi, il giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, rischia una condanna a morte per apostasia. Il mondo islamico si difende dalle conversioni anche con leggi che esaltano la propaganda musulmana e proibiscono quella delle altre religioni. Almeno 10 mila cristiani ogni anno divengono musulmani. Ma quasi nessuno per motivi religiosi. La malattia dell’Islam: la mancanza di spiritualità e la riduzione della religione a elemento etnico, sociologico, politico.

La Seconda parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.

di Samir Khalil Samir, sj

Beirut (AsiaNews) – L’Islam si difende dalle conversioni attraverso la condanna a morte o l’imprigionamento dell’apostata. Ma l’ossessione delle conversioni va di pari passo con una serie di privilegi dati all’Islam. In tanti paesi musulmani, anche quelli “laici”, il diritto di propagare l’Islam è un diritto naturale e non vi è bisogno di alcuna legge; il diritto di propagare un’altra religione è considerato di fatto o per legge inaccettabile.

La propaganda islamica è un dovere dello Stato: in Egitto ogni settimana vi sono canzoni, preghiere, film, rubriche tutti inneggianti all’Islam e deprecativi del cristianesimo. E questo senz’altro suscita conversioni all’Islam.

Invece la propaganda cristiana (tabshir) è proibita per legge. Di recente in Algeria è stata varata una nuova legge che condanna chi propaganda la fede cristiana e chi si converte. Certo, qualcuno dice: questa legge è solo contro il proselitismo protestante. È vero, ma i musulmani non fanno proselitismo? Se vi è una legge, non deve essere uguale per tutti?

Il Paese dove lo squilibrio dei due pesi e due misure è più evidente è l’Arabia Saudita. Perfino il sito della Saudi Arab Airlines porta scritto con chiarezza che sui suoi voli sono proibiti bibbie, crocifissi, ecc. Ogni segno religioso non islamico viene requisito. Nel Paese, perfino due pezzi di legni incrociati per terra sono considerati un segno religioso e chi vi è vicino è costretto dalla polizia a calpestarli.

La propaganda anticristiana si vede anche nell’uso delle parole. In arabo i cristiani si chiamano “massihi”. In Arabia si usano altri due termini: la prima è “salībi”, che significa “crociato”. Va notato che all’epoca dei crociati, gli storici musulmani non chiamavano “crociati” i cristiani, ma “farang”, franchi. Un’altra parola usata è “nasrami”, nazareno. La più frequente poi è “kuffar”, miscredenti, quelli che devono essere uccisi. Così tale linguaggio deprecativo e ostile si diffonde in tutto il mondo musulmano da circa 30 anni.

In Egitto si dice che negli ultimi decenni, le conversioni di cristiani all’islam sono state di circa 10.000 all’anno. Quasi sempre per motivi pratici: per divorziare o sposare una musulmana (o un musulmano), o per motivi di lavoro; raramente per motivi religiosi. Più recentemente, si è parlato molto di migliaia di convertiti dell’islam al cristianesimo. Si dice che vi sono delle “centrali” di missionari protestanti, formati in America (qualcuno parla dell’Istituto Zwemer, famoso missionario protestante[1]), che offrono soldi, appartamenti, passaporti, ecc in cambio dell’adesione alla fede cristiana. In questa faccenda di Hegazi, la stampa islamica ha ripetuto spesso queste accuse. La parola “tabshīr”, che significa “evangelizzazione”, in arabo ha preso ormai un significato negativo, e l’atto è passibile di prigione o d’espulsione in Egitto come in altri Paesi musulmani. Invece la parola “da’wa”, che significa “chiamata” ad aderire all’islam, è considerata come positiva ed è un obbligo per ogni musulmano, al punto che molti Paesi musulmani hanno un “ministero della da’wa”, cioè della propaganda islamica (potremmo dire analogo al dicastero vaticano “De propaganda fide”).

Quando avremo un Islam spirituale?

La conversione dall’Islam è vista come uno scandalo religioso, sociale e politico. Dal punto di vista religioso si abbandona l’unica vera fede per una falsa. Il Corano afferma: “La vera religione presso Dio è l’Islam”(Corano 3,19) e anche: “Chi cerca un’altra religione avrà una conclusione tragica nell’aldilà” (Corano 3,85) .

Dal punto di vista sociale, se uno si converte al cristianesimo, incoraggia altri a seguirlo e allora diviene una piaga per la società.

L’aspetto politico, sempre messo in luce è che l’Islam è una comunità, la Ummah. Se uno lascia l’Islam, diviene come un traditore e una spia contro la propria nazione e perciò merita la morte.

Il governo egiziano, ad esempio, dice che chi si converte a un’altra religione, “attenta all’unità nazionale”. E’ probabile che il governo non ucciderà l’apostata. Di solito essi cercano di mettere a tacere la cosa o di far emigrare l’apostata. É avvenuto così per lo scrittore Nasr Hamed Abu Zaid, che ha ricevuto la fatwa per essere ucciso ed è stato fatto fuggire in Olanda.

Uno studioso musulmano francese, Abdennour Bidar, in un libro edito di recente[2], afferma: “L’Islam deve arrivare ad essere non più una religione, ma una corrente spirituale e una questione di scelte personali”. Il fatto grave dell’Islam è che l’adesione all’Islam oggi significa aderire ad un gruppo politico e sociologico: non significa aver fatto una scelta religiosa e spirituale. Questa è la grande malattia dell’Islam di oggi: se non si compie questa profonda conversione, l’Islam rimarrà sempre nemico del mondo moderno. Quest’ultimo è basato sulle libertà individuali, sulla persona più che sul gruppo, sulla libertà di coscienza, ecc. E i musulmani vogliono questo, ma non capiscono che tutto è collegato. Finché non si arriva a considerare che l’Islam è una scelta personale e non una questione di gruppo o di partito, si rimarrà indietro.

Fino ad oggi tutto l’insegnamento islamico è basato sulla “sottomissione” (Islam). Tale sottomissione è il contrario della libertà. Anch’io come cristiano riconosco la sottomissione a Dio, ma rimango figlio e libero! Anche Cristo è stato obbediente (Filippesi 2, 8); anche un religioso fa i voti di obbedienza, ma si aderisce e si rimane legati alla propria libertà di coscienza.

Invece nell’Islam l’insegnamento più classico che si diffonde nelle famiglie e nei media è che la sottomissione deve essere totale, annientando la personalità e ogni differenza.

E noi cristiani e gli occidentali, dobbiamo aiutare l’Islam a fare questo passo: capire che la libertà personale non è contro l’islam né contro Dio, ma al contrario per Dio che ha creato l’uomo dotato di discernimento e di libertà, a differenza di tutto il creato, perché senza libertà di scelta non c’è amore. Come dice Cristo ai discepoli: “Non vi chiamo servi, ma amici” (Giov 15,15).

[1] Samuel Marinus Zwemer (12 aprile 1867 – 2 aprile 1952), soprannominato “l’apostolo dei musulmani” è stato missionario in Arabia dal 1891 al 1905, e in altri Paesi musulmani, ha diretto a lungo la rivista “The Moslem World” e ha formato centinai di missionari protestanti. Il suo metodo consisteva nel convincere il musulmano partendo dal Corano e confrontandolo col Vangelo. Più che convertire i musulmani, la sua grande opera è stata di spingere cristiani a annunziare il Vangelo ai musulmani.

[2] Abdennour BIDAR, Self islam. Histoire d’un islam personnel, coll. « Non conforme » (Parigi : Seuil, 2006). Vedi l’ultimo capitolo, intitolato “Self islam” (p. 205-235).

AsiaNews 30/08/2007

3)

Il caso Hegazi: un disegno mondiale di conversione all’Islam?


Alcune teorie sulla conversione del mondo all’Islam sono un mito. Ma la propaganda costante e una specie di colonizzazione sociale e culturale dell’Islam in occidente è vera. L’Arabia Saudita dà il sostegno finanziario; la scristianizzazione dà il motivo religioso; l’ignoranza e l’impaccio dei governi in occidente fa il resto. La Terza (e ultima) parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.


di Samir Khalil Samir, sj

Beirut (AsiaNews) – Esiste un disegno islamico sul mondo? Si parla spesso di un documento pubblicato durante un convegno in India intorno al 1996 (che però io non ho mai visto), in cui si dà il via a una strategia di conversione dell’Europa all’Islam entro il 2050. Entro il XXI secolo ci dovrebbe essere la conversione di tutto il mondo all’Islam.

Io penso che tutto questo sia un mito o un’opinione gonfiata. Una cosa però è certa: convertire anzitutto i Paesi musulmani all’Islam, trasformandole da “musulmane” a “islamiche”, applicando la sharia, è un progetto che va avanti da almeno 60 anni da parte dei Fratelli Musulmani ed è ormai sostenuto dall’Arabia Saudita e da molti altri Paesi: Pakistan, Indonesia, Malaysia, ecc.

La seconda fase di questo progetto – contemporanea alla prima – è islamizzare i cristiani che vivono nel mondo musulmano. Questo avviene ovunque vi siano dei musulmani radicali: Pakistan, Bangladesh, Egitto, Iraq … Lo abbiamo visto in quest’ultimo anno in Iraq, dove si sono stabiliti anche solo in alcuni quartieri di Baghdad dei “califfati” dove i cristiani o si convertono all’Islam, o devono pagare la jizya (la tassa di protezione), rimanendo cittadini di seconda classe.

Convertire l’Europa

La terza fase è la conversione dell’Europa (e l’Europa, per i musulmani, è simbolo del cristianesimo). Anzitutto lavorando sui giovani musulmani nati in Europa tramite imam formati all’ideologia radicale nelle moschee, nelle prigioni, nelle librerie. Poi impegnandosi nella propaganda. Dal Pakistan è giunto un metodo che è quello del tabligh. Questo movimento si è diffuso in tutta l’Europa ed è un movimento missionario di tipo sufi, mistico, che ha convertito decine di migliaia di europei.

Un altro movimento che tende alla conversione dell’Europa, è quello dell’Islam radicale, critico verso la cultura europea in blocco.

Ma la tendenza per me più pericolosa – perché più sottile – è quella incarnata dallo studioso Tariq Ramadan, divenuto ormai un leader e un esperto chiamato da molti governi come consultore. Ramadan dice: noi vogliamo essere musulmani europei. Ma per questo la società europea deve riconoscerci e lasciarci tutti gli spazi di espressione. In pratica si tenta una conversione del sistema socio-giuridico europeo per arrivare a convertire le persone. Si tratta in questo case di islamizzare le strutture, partendo dalla premessa: l’Europa non ha più anima, ha solo tecnologia; l’Islam è l’unica religione a poter colmare questo vuoto.

In tutta la storia dell’Islam le conversioni sono avvenute sempre attraverso i cambiamenti del sistema. In Egitto, ad esempio, il cristiano che voleva avere un ruolo politico doveva presto o tardi diventare musulmano, e tutta la famiglia seguiva automaticamente. Oggi, chi vuol essere ministro, o dottore primario, o generale dell’esercito, ha vantaggio ad essere musulmano. In tal modo nei secoli, le migliori intelligenze sono migrate e così tutta la loro discendenza.

La stessa cosa avviene con i matrimoni: tutte le donne che sposano un musulmano si fanno oggi musulmane. Eppure secondo il Corano un’ebrea o una cristiana, per sposarsi, non devono cambiare la loro religione, in conformità con il versetto 5 del capitolo 5 (ultimo capitolo rivelato da Dio secondo i musulmani):

Oggi vi son dichiarate lecite le cose buone, e lecito è per voi il cibo di coloro cui fu dato il Libro, così come il vostro cibo è lecito a loro; e vi sono permesse, come mogli, le donne oneste di fra le credenti, come anche le donne oneste di fra coloro cui fu dato il Libro prima di voi, purché diate loro le doti, vivendo castamente, senza fornicare e prendervi amanti. E, chi rinnega la fede, andrà in rovina ogni sua opera e, nell’aldilà, sarà fra chi perde” (trad. Bausani) .

In Italia e in Europa invece, è ormai molto comune che una donna europea si faccia musulmana per sposarsi un tunisino, un libico o un marocchino, anche se la sharia non lo richiede. Spinti dagli estremisti, i musulmani lo esigono dalla donna, la quale, se non ha un identità religiosa forte, cede per affetto, senza rendersi conto delle conseguenze.

Fino agli anni ’50 intellettuali e politici islamici si vantavano ad avere una moglie cristiana. Ora non è più così. E non solo nei paesi islamici, ma anche nei Paesi di tradizione cristiana! Questa è una vittoria del mondo islamico radicale, che convertono all’Islam “anche nel loro mondo cristiano”, come dicono.

Il velo e la barba islamici

Anche la visibilità esterna fa parte di un’azione di proselitismo: lo hijab, il chador, ecc. rendono visibile le folle musulmane, mentre la scristianizzazione porta a cancellare tutti i segni religiosi cristiani. I simboli di appartenenza islamica hanno un significato politico evidente, oltre che un valore religioso per chi ne è convinto. Per questo motivo alcuni Paesi musulmani ed europei vietano negli uffici pubblici questi segni di affermazione identitaria islamista. Sulla stessa linea, in Egitto, è stato vietato varie volte un certo tipo di barba: nell’islam radicale, tutti i simboli religiosi prendono una dimensione politica.

Nella letteratura contemporanea musulmana questi temi sono molto dibattuti. Si dice: dobbiamo convertire l’Europa e ci sono i mezzi; l’Europa è ormai pagana e deve essere perciò combattuta e convertita. Un altro tema molto ricorrente è la scristianizzazione dell’occidente, visto come il primo passo di una sua conversione all’Islam.

Grazie all’Arabia Saudita, al suo potere finanziario e ideologico, l’ideologia wahhabita e dei Fratelli musulmani si diffonde ovunque: sui giornali, alla televisione, nelle scuole per imam, nei finanziamenti per costruire moschee e centri islamici.

In Italia una derivazione di questo movimento è l’Ucoii (Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia); in Francia, l’UOIF (Union des Organisations Islamiques de France). Purtroppo in Europa questi gruppi islamici filo-sauditi vengono presi come punti di riferimento per un dialogo con l’Islam, anche se la maggioranza dei musulmani si rifiutano di riconoscerli come loro espressione. Ma i governi europei, per ignoranza, per motivi pratici, o per compromesso, li accettano nelle loro Consulte.

Conclusione: insieme, umanizzare il mondo

Il mondo musulmano sta attraversando la sua più grande crisi. Il confronto con la modernità, rappresentata e promossa dall’Occidente, sempre considerato “cristiano”, “concorrente” e molto spesso “nemico”, rimette in questione un ordine islamico stabile e incontestato. Secoli di quasi stagnazione del pensiero rendono questo confronto ancora più evidente. Dopo la tanto elogiata grandezza dell’Islam nei secoli IX e XI, oggi si sente la decadenza!

Alcuni si rifugiano nel passato, quando i musulmani partirono alla conquista del mondo (VII secolo), considerato l’ “epoca d’oro” dell’Islam. Altri cercano la loro forza dalla violenza e cadono nel terrorismo in nome di Dio, pensando di difendere insieme l’Islam e Dio. Altri cercano un’uscita dall’Islam, vissuto come un peso, una morsa, una prigione, verso l’ateismo pratico e talvolta verso il cristianesimo.

A sua volta, il mondo occidentale – di matrice cristiana, nonostante i negazionisti –attraversa anch’esso una grande crisi. Avendo bollato Dio come un invenzione umana e la religione come una droga (“l’oppio dei popoli”), esso si ritrova in un vuoto ideologico e spirituale. Alcuni, idealisti, si rifugiano nel futuro, sognando mondi migliori; altri, in un razionalismo svuotato da ogni valore etico e da spiritualità; altri in una libertà assoluta auto-distruttrice. Tanti infine vivono in un materialismo pratico.

Il conflitto di civiltà è inevitabile: la conversione, vista come uno tradimento che merita la morte, ne è un segno. La partizione del mondo in due campi, quello dei buoni e quello dei cattivi, diviene un’ossessione. Ritroviamo qui tutto l’impianto dell’analisi fatta dal Professor Ratzinger (per altro, papa Benedetto XVI), nella sua lezione magistrale all’università di Regensburg lo scorso 12 settembre: una razionalità svuotata dello spirito (una ragione senza fede) in Occidente; una razionalità diventata violenza (una fede senza ragione) nell’Islam. Due tentazioni opposte e parallele.

La soluzione è nelle mani dei credenti non fanatici – musulmani, cristiani ed altri –, aperti a tutto ciò che è umano, per costruire – insieme ad altri, credenti e no – un mondo più umano, per umanizzare il mondo. Questa è la sfida del XXI° secolo: accettare la sfida della libertà purificatrice, senza cadere nel libertinaggio; la sfida della modernità, senza rigettare tutto il passato, ma anche senza rimpiangerlo; la sfida della democrazia, senza cadere nel disordine o la violenza.

AsiaNews 31/08/2007

4)


L’egiziano e la fatwa negata

di Magdi Allam

Il caso del giovane egiziano Mohamed Hegazi condannato a morte perché convertito al cristianesimo che vi ho raccontato sul Corriere lo scorso 20 agosto sarebbe dunque un falso. E lui sarebbe solo un «mitomane prezzolato». Un «mitomane prezzolato» che avrebbe venduto la sua anima a una «organizzazione criminale» dedita a sobillare la guerra religiosa in un Paese, l’Egitto, dove musulmani e cristiani andrebbero d’amore e d’accordo.

Lei, Suad Saleh, preside della Facoltà di studi islamici e arabi dell’Università islamica di Al Azhar, non avrebbe mai emesso alcuna fatwa, un responso giuridico islamico, legittimante la morte dell’apostata.

Sono rimasto incredulo nel leggere, riportato integralmente da due siti italiani di spiccata simpatia islamica, l’articolo pubblicato il 22 agosto dal Riformista con il titolo «Caso Higazi. Ma la fatwa dov’è?», a firma di Paola Caridi, che inizia così: «Al Cairo cadono dalle nuvole. Studiosi d’islamismo e persone della maggioranza silenziosa che segue l’islam politico moderato. Nessuno sa nulla della fatwa di Al Azhar contro Mohammed Hegazy, il 25enne egiziano convertitosi al cristianesimo nove anni fa, che ha richiesto la modifica della sua appartenenza religiosa sui documenti d’identità. Perché, finora, nessuna fatwa è stata emessa. E cadono dalle nuvole anche quando si spiega che sui giornali italiani, invece, il caso sta montando come panna. Sulla stampa egiziana, anche su quella indipendente — invece — poco si legge. E quello che si legge, a dire il vero, è decisamente moderato ».

Bene. Cominciamo dai fatti. Hegazi, 25 anni, è un militante politico dell’opposizione, rappresentante a Port-Said del movimento Kifaya (Basta!). Ha rilasciato delle dichiarazioni pubbliche, raccolte anche dal corrispondente del quotidiano francese Le Figaro, Tangi Salaun, in cui denuncia che «ricevo delle minacce di morte sul mio cellulare».

Quanto alla Saleh, piaccia o meno, le viene riconosciuto il titolo di «mufti», giureconsulto abilitato a rilasciare dei responsi legali islamici, così come è formalizzato sul sito islam-online.net, legato ai Fratelli Musulmani, in data 21 febbraio 2007, che pubblica una sua fatwa in cui prescrive che «la donna può accedere alla carica di capo dello Stato ma a condizione che non sia in contrasto con il suo ruolo fondamentale in seno alla società, ovvero di essere madre e moglie ». Ed è proprio l’alto incarico che detiene in seno all’università-moschea, che viene considerata una sorta di «Vaticano dell’islam sunnita», che accredita i suoi responsi giuridici e li trasforma in sentenze per coloro che prestano obbedienza cieca e assoluta alla sharia, la legge islamica.

Ebbene il responso giuridico con cui la Saleh legittima la condanna a morte di Hegazi, a condizione che la pena venga attuata dallo Stato e non dai singoli, è stato reso noto nel corso di un suo incontro pubblico con delle militanti islamiche pubblicato dal quotidiano indipendente Al Dostour lo scorso 14 agosto. La stessa fatwa di condanna a morte di Hegazi è stata da lei reiterata in una dichiarazione rilasciata al quotidiano Al Quds Al Arabi del 20 agosto. Suffragata da fatwe simili emesse da altri esponenti di primo piano di Al Azhar, tra cui Abdel Sabbur Shahine, Youssef Al Badri, Mohammad Hosam, Amina Nasir.

Questi stessi personaggi avevano sostenuto la condanna a morte dell’apostata in dichiarazioni raccolte dal quotidiano indipendente Al Masri Al Youm l’ 11 agosto. Così come il caso Hegazi è stato al centro di inquietanti inchieste dei settimanali Rose El Yossef del 25 agosto e Al Ahram Al Arabi del 18 agosto. Come si fa a sostenere che nessuna fatwa di condanna a morte di Hegazi sarebbe stata emessa quando ce ne sono diverse, tutte di autorevoli esponenti di Al Azhar, pubblicate dalla stampa egiziana? E come si fa a sostenere che il regime egiziano sarebbe moderato dal momento che è lui che designa gli alti gradi di Al Azhar e paga gli stipendi a tutti i suoi dipendenti? E come si fa a negare la persecuzione e l’esodo a cui sono sottoposti i cristiani in Egitto, documentato da fatti e da cifre incontestabili? Evidentemente nell’era del negazionismo dell’Olocausto, del genocidio armeno e dell’11 settembre, non ci si fa scrupoli a negare l’evidenza e a mistificare la realtà, anche quando la posta in gioco è la sacralità della vita di tutti noi.

Il Corriere della Sera 31 agosto 2007