Il governo italiano ha assunto 9.229 insegnanti di religione

ROMA, venerdì, 17 dicembre 2004 (ZENIT.org).- Nonostante la crescente secolarizzazione in atto in Europa che non si limita a negare l’ostentazione dei simboli religiosi, ma giunge a minacciare anche le festività di tradizione cristiana, il governo italiano ha annunciato la piena assunzione di 9.229 insegnanti di religione.

“Un passo importante verso una più piena attuazione di quanto il Concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede prevede”, ha dichiarato monsignor Manlio Asta, direttore dell’Ufficio Scuola, Insegnanti di religione, del Vicariato di Roma, che in questa intervista concessa a ZENIT risponde anche alle critiche mosse al riguardo dal sindacato di CGIL.
Qual è il senso e la novità dell’assunzione degli insegnanti di religione?

Asta: La situazione italiana è – per fortuna – diversa da quella spagnola, francese o tedesca. In questi paesi la affermazione della laicità dello Stato (principio riconosciuto dallo stesso Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, dove parla di “legittima autonomia delle realtà temporali”) si confonde spesso con una sorta di “religione laicista”.

In quei contesti sociali sembra che ogni espressione di appartenenza religiosa debba necessariamente rimanere confinata nell’ambito rigorosamente privato; un laicismo esagerato porta non già a riconoscere le differenze, promuovendo così la convivenza di culture, sensibilità e tradizioni diversificate, ma a sopprimere le differenze, almeno nell’ambito della scena pubblica.

In Italia, per fortuna, la Costituzione stessa ci aiuta a pensare altrimenti: l’art. 2 recita infatti: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

In altre parole, la nostra Costituzione sostiene che tra il singolo e la res pubblica esiste uno spazio intermedio che va tutelato: lo spazio delle aggregazioni in cui il singolo può riconoscersi come “appartenente” ad una realtà che eccede la sua singola persona e tuttavia non si identifica né con lo Stato né con la società nel suo insieme.

Nonostante alcune preconcette posizioni ideologiche, in Italia difficilmente si potrà negare che impedire l’accesso ad scuola ad una persona consacrata solo perché indossa l’abito religioso sia una palese manifestazione di intolleranza.

Quanto all’ingresso in ruolo degli IdR (Insegnanti di Religione), si tratta di un passo importante verso una più piena attuazione di quanto il Concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede prevede. Era una situazione di precarietà che chiedeva di essere sanata.

E’ paradossale, ma la CGIL, il più vasto sindacato italiano, si è opposto all’assunzione degli insegnanti di religione, ed ha minacciato ricorsi alla magistratura. Perché questa avversione verso gli insegnanti di religione?

Asta: Il motivo dell’avversione della CGIL all’ingresso in ruolo degli IdR va rintracciato, a mio parere, nel presunto antagonismo tra IdR e i cosiddetti “precari storici” della scuola. È vero, infatti, che molti insegnanti, per diversi motivi, non sono entrati nei ruoli dello Stato, pur svolgendo da anni o lustri (se non decenni) il loro lavoro.

Tuttavia, una contrapposizione tra la precarietà di questi docenti e quella degli IdR non è sensata. Gli IdR sono docenti allo stesso titolo degli altri, l’IRC (l’Insegnamento della Religione Cattolica, ndr) non è una “nicchia” appaltata alla Chiesa e benevolmente tollerata dallo Stato, ma un insegnamento di pari dignità, che viene lasciato facoltativo solo perché investe la delicatissima sfera della coscienza personale.

I sindacati temono forse che, una volta entrati in ruolo tramite il recente concorso, gli IdR possano poi entrare in graduatoria per l’insegnamento di altre discipline, scavalcando altre persone. Ma si dimentica che la maggior parte degli IdR è ben contenta di insegnare questa disciplina, e non ha nessuna intenzione di scavalcare nessuno.

L’equivoco forse potrebbe essere superato se la CGIL – o qualsiasi altro sindacato – ricordasse che anche gli IdR sono professionisti che chiedono soltanto il riconoscimento del loro servizio per quello che è, e non degli scomodi antagonisti raccomandati dalle gerarchie ecclesiastiche.

C’è molta disinformazione circa il ruolo e lo svolgimento dei programmi scolastici degli insegnanti di religione. Potrebbe illustrare la realtà di questo lavoro e quale valenza ha sia in termini scolastici che sociali?

Asta: Ormai i programmi dell’IRC sono abbastanza ben definiti: mancano ancora soltanto i cosiddetti Obiettivi specifici di apprendimento per la scuola secondaria di secondo grado, ma sostanzialmente la vecchia polemica che accusava la Chiesa di “voler fare catechismo in classe a spese della collettività” mi sembra si sia estinta.

Infatti è ormai chiaro a tutti che la conoscenza del fenomeno religioso, e cristiano in particolare, è requisito assolutamente indispensabile per ogni italiano e membro della Comunità Europea che voglia comprendere la società in cui si trova a vivere.

Inoltre tra gli Obiettivi specifici di apprendimento già definiti dalla riforma della scuola sono elencati obiettivi formativi “alla convivenza civile”: la scuola si è resa conto che non basta provvedere all’istruzione degli alunni, limitandosi agli aspetti contenutistici dell’insegnamento, ma occorre una vera e propria strategia di educazione, attenta alla totalità della persona. A questo la comunità ecclesiale è pronta da tempo, e l’IRC può offrire un contributo significativo.

Per dissipare ogni equivoco, ancora una volta, non si tratta di “fare catechismo in classe”, ma di prestare attenzione ad ogni alunno nella sua globalità, attitudine che l’IdR, per vocazione e per competenza specifica, sviluppa spesso in alto grado.

Si è appena svolto un ritiro degli insegnanti di religione della Diocesi di Roma. Lei dirige la comunità degli insegnanti di religione cattolica da molti anni, potrebbe tracciare un bilancio delle cose fatte e degli obiettivi che vi prefiggete per i prossimi anni?

Asta: Non è facile ripercorrere con obiettività il percorso che uno ha compiuto. Mi sembra che elementi di soddisfazione possano essere considerati: un innalzamento della qualità e della professionalità degli insegnanti, grazie sia ad una costante attenzione alla formazione iniziale richiesta per il conseguimento dell’idoneità all’insegnamento, sia alla formazione permanente dei docenti stessi; il dialogo vivace tra il centro diocesano e gli IdR, dialogo che si è intensificato ulteriormente in quest’ultimo anno a causa del concorso per l’ingresso in ruolo; l’esito decisamente positivo delle iniziative sviluppate nella scuola in occasione del giubileo; il riconoscimento sempre più diffuso del valore dell’IRC da parte delle istituzioni civili.

Tra gli obiettivi in programma, vorrei ricordare il progetto di sviluppare una interazione sempre più efficace tra la formazione intellettuale offerta dalla scuola e la formazione di fede nell’ambito delle comunità cristiane di appartenenza, per raggiungere quella unità del processo educativo che, nella frammentazione attuale, si rende un impegno prioritario.

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